Stavano cercando di prendere le misure con Assassinio sul Nilo, Kenneth Branagh e Michael Green, nel tentativo di capire quanto margine di manovra avessero nel rielaborare il materiale di Agatha Christie, anche perché, come capita con gli scrittori famosi (soprattutto inglesi bisogna ammettere), adattare significa fare la 100 metri bendati su di un campo minato. La risposta, a vedere il film di cui stiamo per parlare, potrebbe essere stata “se questo è il risultato, allora, vi prego, ancora di più“. Senza essere crudeli, se bisognasse fare un’equazione fra differenza tra il libro e riuscita delle pellicole di questo Hercule Poirot allora l’augurio è che il prossimo lo scrivano direttamente loro due.
Avrete già capito, ma cominciamo la recensione di Assassinio a Venezia, al cinema dal 14 settembre 2023 con 20th Century Studios, dicendo che non solo è il più bello della trilogia (o dei primi tre), ma è anche, come si capisce dal titolo, quello che si discosta di più dalle avventure su carta stampata del detective belga.
In effetti il caso da cui è tratto, Poirot e la strage degli innocenti (in originale Hallowe’en Party), potrebbe essere considerato a tutti gli effetti un’avventura minore rispetto a quelle più importanti di Poirot. Non solo, all’epoca la critica non lo accolse per nulla bene, etichettandolo anche come piuttosto confusionario nella costruzione della vicenda e, soprattutto, irrisolto stando alla conclusione scelta. Questa cosa non è proprio secondaria in racconti come questo.
Com’è però spesso accaduto nella storia di ogni tipo di arte, la critica non c’ha capito nulla e il libro ha vinto la sfida del tempo, divenendo un cult tra gli appassionati. Ma infatti cosa leggete a fare le recensioni non si sà.
Senza essere crudeli, se bisognasse fare un’equazione tra differenza tra il libro e riuscita delle pellicole di questo Hercule Poirot allora l’augurio è che il prossimo lo scrivano direttamente loro due.
Non è solo la trama in sé quella che cambia, ma è per esempio la location, volutamente una parte integrante del film per il suo peso nella costruzione del detective nella versione di Branagh, soprattutto in relazione ai film precedenti (specialmente il secondo, quello sopracitato). Un’appropriazione del sir regista e attore, che fa una pellicola più nelle sue corde, decidendo per un impianto teatrale, giocando anche con Shakespeare e Mozart e pensando ad una struttura dalle due anime, horror e giallo.
Il cast è sempre corale, ma l’unico altro soprano oltre al protagonista (altra differenza) è la fresca premio Oscar Michelle Yeoh. Accanto a loro ci sono Kelly Reilly, Jamie Dornan, Tina Fey, Emma Laird, Kyle Allen, Camille Cottin, Riccardo Scamarcio e Jude Hill.
Come ci si diverte alla vigilia di Ognissanti
Il buio della sala è una dimensione magica sia per la gioia che può regalare agli spettatori e sia per il terrore con i quali li può catturare. Per la notte di Halloween le due cose possono combaciare, essa infatti è portatrice sana di quella inspiegabile patologia che hanno coloro che si divertono spaventandosi. Una roba da pervertiti.
Questa è l’idea della cantante lirica, Rowena Drake (Reilly), che organizza per il 31 ottobre, nel suo fatiscente palazzo veneziano abitato, si dice, dai fantasmi, una festa per gli orfanelli in cui fa vedere un film horror su di una leggenda tutt’altro che solare, per poi lasciarli liberi di fare ogni tipo di gioco “selvatico e infantile”, come li definirebbe il bimbo meno sano del palazzo. Un quattrocchi biondino che legge Poe. Il suo nome è Leopold (Hill) ed il personaggio migliore di Assassinio a Venezia.
Il momento clou è però vietato ai minori e sarà una seduta spiritica per evocare la figlia della padrona di casa, tragicamente scomparsa, proprio in quella casa, in circostanze misteriose. Evento per la cui supervisione è stato invitato niente meno che il pensionato Hercule Poirot (Branagh).
Conoscete qualcuno al mondo migliore per svelare di lui gli imbrogli di una medium? Anche fosse Joyce Reynolds (Yeoh), la migliore su piazza? Si? Beh, secondo Ariadne Olivier (Fey) no. Gli appassionati dei romanzi trasecoleranno.
Il momento clou è però vietato ai minori e sarà una seduta spiritica per evocare la figlia della padrona di casa, tragicamente scomparsa, proprio in quella casa, in circostanze misteriose.
Il detective è nichilista, super razionale, disilluso e ferocemente critico nei confronti di figure come quella di Joyce, per questo l’unica cosa che veramente lo colpisce della serata è l’omicidio che, puntualmente, si verifica. Anche se questa volta neanche lui può essere sicuro al 100% che non c’entri nulla l’aldilà.
Sarà la vecchiaia, sarà la casa, saranno le voci dei bambini, sarà l’occhio del pappagallo, sarà un pupazzo che sembra muoversi da solo, sarà che a volte l’unico modo per andare avanti è scegliere di parlare con i propri fantasmi, purtroppo.
Il Poirot di Branagh
A ben vedere sembra che stavolta Branagh e co. si siano divertiti sul serio.
Hanno innanzitutto tolto gli orribili green screen del film precedente per rimpiazzarli con scenografie reali, decidendo di enfatizzare il più possibile questa scelta rendendo la casa uno dei personaggi più importanti della storia. Quella di Assassinio a Venezia è veramente una casa – mondo, con una sua geografia e una struttura che sembra svilupparsi in modo apparentemente infinito.
Poi c’è l’impianto teatrale, che cita Eyes Wide Shut, Il Fantasma dell’Opera, Frankenstein e che rimanda di più all’idea di cinema del regista, il quale decide di coniugare l’idea claustrofobica del cluedo con un registro più horror (gotico) possibile per un film che rimane comunque appartenente alla sua saga di Poirot. Una serie di film che sembrano un “simil Marvel” più che altro. Trovate piuttosto classiche, nulla di esagerato o di originale. Trovate che vivono più nella composizione e nella posizione delle inquadrature, nel gioco cromatico o nell’illuminazione dei personaggi che nelle trovate narrative o cinematografiche. C’è l’amore per l’arte di Branagh, per la pittura, per la lirica, per il teatro
Quella di Assassinio a Venezia è veramente una casa – mondo, con una sua geografia e una struttura che sembra svilupparsi in modo apparentemente infinito.
Un’altra buona idea è la decostruzione del protagonista, che si riallaccia alla sua esperienza nella Seconda Guerra Mondiale (origin story), il cui richiamo ora, in un caso del genere, lo getta improvvisamente nella consapevolezza di vivere in un mondo di reduci. Morti viventi o fantasmi, divenuti tali dopo un trauma così grande da aver cambiato la Storia per sempre, riproposto da una tempesta esterna che li tiene tutti chiusi in una casa al di fuori del tempo. L’idea diventa quella di forzare un personaggio rigido e onnisciente ad un cambiamento che passi attraverso la visita metaforica delle sue ferite.
In conclusione, la parte più debole di Assassinio a Venezia è proprio la sua componente da giallo, quella che sta dietro il palcoscenico e il gioco degli attori parte in causa e che si rivela fin da subito molto cervellotica, molto farraginosa e nella risoluzione piuttosto fantasiosa e un poco scontata. L’effetto déjà vu che suona come il risveglio da un sogno che invece aveva dato l’impressione di poter andare definitivamente verso altri lidi e verso qualcosa di nuovo e più interessante. Tutto sciolto come neve al sole. Del mattino.
Assassinio a Venezia è al cinema dal 14 settembre 2023 con 20th Century Studios.
Assassinio a Venezia, il terzo film di Kenneth Branagh ispirato all'Hercule Poirot di Agatha Christie è senza dubbio il suo migliore, forse perché il più personalizzato ed originale. Il cineasta decide di farne un horror gotico in cui la scenografia la fa da padrona, una dimora solida in cui riesce ad infilare il suo amore per il teatro, l'arte e la lirica. Le soluzione sono classiche, nulla di così eccezionale, ma sono anche affascinanti e si legano benissimo all'idea di cambiamento di un protagonista così rigido, costretto con le cattive ad affrontare i proprio fantasmi. La componente "giallo" è invece ancora cervellotica, farraginosa e, in fin dei conti, incompiuta. Testimone l'ennesimo finale in serie.
- La parte horror è classica, ma funziona molto bene.
- Branagh è riuscito per la prima volta a fare un suo film su Poirot.
- La scenografia, soprattutto perché ha sostituito le componenti digitali.
- L'impianto teatrale e qualche scelta estetica.
- La parte da giallo è farraginosa e cervellotica.
- La conclusione accusa gli stessi problemi degli altri film.