La fotografia spiritica all’interno de “La Casa dei Fantasmi” è un elemento importante di parte della trama: qual è la storia di questo movimento? Fotografi di inizio novecento ingannavano centinaia di persone con la loro fotografia ed anche un famoso scrittore ne uscì coinvolto.
La Disney con l’ultima operazione “La Casa dei Fantasmi” cerca di bissare il successo ottenuto con il franchising Pirati dei Caraibi: cioè quello di trasformare un’attrazione turistica, prelevata da una dei suoi parchi (Phantom Manor), in un nuovo fenomeno di culto. Nonostante le premesse fossero le migliori, il risultato non è stato altrettanto stupefacente con il mito di Jack Sparrow veramente lontano da ogni più rosea aspettativa. Un peccato perché di base l’idea di inserire un gruppo di avventurieri, esploratori, scienziati all’interno di una casa infestata dai fantasmi poteva essere un buonissimo plot-twist da inseguire (la Disney sono più di 10 anni che rincorreva questa idea) tuttavia siamo certi che le avventure degli “strambi” acchiappa fantasmi non finirà qua. In mezzo a diversi alti e bassi (moltissimi bassi in realtà) ci sono delle situazioni che potevano avere un potenziale interessante poi inespresso: una fra tutte la fotografia spiritica del protagonista Ben interpretato da Lakeith Stanfield.
La fotografia “protonica”.
Il protagonista della pellicola, piccolo genio della fisica, per “catturare” i fantasmi attraverso i sensori della propria macchina fotografica (una Pentax) realizza un meccanismo che di base è molto simile a quello degli zaini protonici dei mitici Ghostbusters. Nelle pellicole cult anni ottanta lo zaino protonico, progettato da Egon Splenger e realizzato da Ray Stantz, era un acceleratore di protoni portatile, capace di catturare i fantasmi costituito da un fucile (fucile protonico) collegato a uno zaino posteriore chiamato appunto acceleratore protonico. Alla base della teoria di questo zaino c’è la concentrazione di protoni (nel primo film si definisce come collisore di positroni e la pistola è definita neutrona wand, cioè bacchetta a neutroni) utili per attaccare le entità ectoplasmatiche caricate negativamente. In poche parole il fucile protonico forma uno schermo di energia utile per immobilizzare fantasmi e posizionarli sopra una trappola per catturarli.
Nel film “La Casa dei Fantasmi” Ben Matthias è un fisico ed esperto del paranormale che da molti anni ha lasciato i suoi studi e ora si dedica a fare da guida turistica a New Orleans. Tra le sue invenzioni più importanti c’è una macchina fotografica quantistica, teoricamente in grado di immortalare i fantasmi…solo che non ne ha mai trovati (fino ad ora). La tecnica con la quale una macchina digitale (non analogica) riesce ad immortalare all’interno del proprio sensore un ectoplasma è proprio grazie ad un mix (fantasioso) tra fisica quantistica e la tecnologia dei primi e inimitabili acchiappa fantasmi. Ben utilizza una Pentax con un illuminatore molto particolare, il vero cuore della “macchina acchiappa fantasmi”. Un flash che nel momento dello scatto emette una quantità di elettroni necessari ad “illuminare” l’ectoplasma, nell’istante del flash la fotocamera “riesce” a registrare la scena e fotografare il fantasma di turno invaso dagli elettroni inviati e “sparati” dal flash.
Questo è quello che Ben all’interno del film riusciva a fare con la sua invenzione, ma quanto è fantasioso il suo progetto? E’ possibile fotografare un ectoplasma? E come? La fotografia spiritica è un tipo di fotografia il cui scopo dichiarato è quello di “catturare immagini di fantasmi” e altre entità spirituali. Fu utilizzata per la prima volta da William H. Mumler nel 1860. Mumler scoprì la tecnica per caso, dopo aver notato una seconda persona in una foto che doveva ritrarre solo se stesso, anche se Mumler capì subito dopo che si trattava semplicemente di una doppia esposizione. Tuttavia intuì la possibilità di guadagno nell’utilizzo di questa tecnica, ed iniziò a spacciarsi per medium fotografando persone, aggiungendo nelle foto le immagini dei loro cari defunti, dopo aver trattato i negativi (soprattutto utilizzando altre fotografie come base). La truffa di Mumler fu scoperta quando inserì come spiriti residenti di Boston ancora in vita finendo rapidamente da essere un eroe al classico truffatore di strada. Tuttavia l’interesse per il paranormale applicato alla fotografia non si è mai fermato e ancora oggi ci sono “fotografi acchiappa fantasmi” che millantano prove scientifiche di aver fotografato entità ectoplasmatiche.
Fotografare i fantasmi?
Tralasciando la tecnologia di Ben de La Casa dei Fantasmi, durante questi decenni la fotografia più volte è stata utilizzata a scopi “spiritici”. Soprattutto con l’analogico e l’utilizzo di varie tecniche e supporti, si è creduto per un lunghissimo tempo che la macchina fotografica potesse in qualche modo “immortalare” entità spiritiche.
Spoiler: nessuna valenza scientifica in tutto ciò, ma solamente degli effetti fotografici che ingannano i fruitori.
La “migliore” macchina fotografica da usare in questi casi è senza dubbio quella a infrarossi, cioè quella in grado di catturare ciò che non è visibile all’occhio umano; partendo dal presupposto che l’occhio umano ha uno spettro visibile con lunghezza d’onda tra i 400 e i 750 nanometri, tutto ciò che è inferiore prende il nome di radiazioni ultraviolette e ciò che lo supera si chiama radiazione infrarossa ecco perché grazie a queste macchine è possibile registrare su pellicola qualsiasi situazione non visibile all’occhio umano. Ed ecco che le scie all’interno di un appartamento diventano degli spiriti che viaggiano in casa oppure le particelle di polvere degli inspiegabili fenomeni chiamati Orbs. In mancanza di un sensore ad infrarosso anche una lunga esposizione può “rilevare” e registrare delle particolari situazioni, ma la tecnica più usata con la quale “fotografi spiritici” realizzavano le loro immagini dall’aldilà era senza dubbio la doppia esposizione.
Soprattutto nel periodo analogico, dove il pubblico non era avvezzo ancora alla post-produzione spinta, anche soltanto una foto di gruppo con un viso che usciva da un albero, o da una casa, poteva far credere qualsiasi cosa ai poveri avventori. Insomma la veridicità scientifica della “fotografia spiritica” non è stata, ovviamente, mai provata tuttavia è la fotografia in generale che permette di fantasticare, e di creare storie di ogni tipo, su qualsiasi elemento visibile grazie alle innumerevoli tecniche a disposizione (fotografia infrarosso, lunga esposizioni, doppia esposizione). Il fatto che esca un’immagine con degli “aloni misteriosi” può donare al fotografo la possibilità, raccontando storie di ogni tipo, di ingannare centinaia di persone, difatti fino agli anni venti la fotografia spiritica aveva un nutrito gruppo di seguaci e anche oggi sono tornati in auge molti “acchiappa fantasmi” fotografi. Insomma il mistero è sempre dietro l’angolo e la fotografia lo alimenta sempre di più.
I movimenti di fotografia spiritica.
Arthur Conan Doyle, il padre letterario di Sherlock Holmes era convinto che si potessero fotografare fantasmi. Nel 1922 intervenne in difesa di chi mostrava possibile fissare su una lastra fotografica un trapassato sotto forma di fantasma. Il libro si intitolava The Case for Spirit Photography, tradotto per la prima volta in italiano, a distanza di cent’anni dalla prima edizione, da Alessandro Giammei: Fotografare gli spiriti. Si tratta di quello che oggi chiameremmo un instant book, ovvero un libro scritto per difendere la fotografia spiritica praticata dal cosiddetto Circolo di Crewe, città della contea del Cheshire in Inghilterra. Il gruppo era stato fondato da William Hope, ex muratore di mezza età, devoto alla religione, che Giammei definisce un po’ cafone, a cui s’era unita la sua “scagnozza” e i membri delle due rispettive famiglie (un gruppo sgangherato molto simile a quello della Casa dei Fantasmi). Conan Doyle mette in fila, come se si trattasse di un caso poliziesco, le prove circa l’autenticità delle immagini che mostrano la presenza di esseri dell’altro mondo, ovvero di spiriti attraverso l’acquisizione fotografica. Questi appaiono accanto alle persone in carne e ossa sotto forma di ectoplasmi, grazie all’intervento di un “medium”, il fotografo spiritista, Hope appunto. Ma che cosa faceva il fotografo all’epoca? Il medium in questo caso non riportava voci e parole, ma trasferiva immagini, un’attività che da quando esisteva la fotografia è diventata possibile a tutti, per quanto pochissimi siano stati i fotografi dell’oltretomba.
Erano i primi anni del movimento spiritico, che nasce negli Stati Uniti più o meno alla fine degli anni Quaranta, quando le due giovani sorelle Fox cominciarono ad attirare l’attenzione di giornalisti e curiosi presso la loro fattoria a Hydesville, nello Stato di New York, per via di misteriosi rumori attribuiti a spiriti di defunti, che desideravano mettersi in contatto con loro. Il caso, riferito da alcuni come forma di “telegrafia spiritica”, venne presto ripreso da Andrew Jackson Davis (1826-1910), fondatore dello spiritismo statunitense. Egli sosterrà in seguito la validità anche scientifica delle fotografie spiritiche di Mumler, concependo la fotografia come ponte tra religione e moderna scienza, ovvero come mezzo empirico e nuova tecnologia capace di catturare le profonde verità spirituali provenienti dall’Aldilà (Kaplan 2008, p. 8).
Mumler aveva cominciato, proprio in uno dei periodi più terribili della storia americana, durante la Guerra di Secessione (1861-1865), a produrre ritratti in posa di persone a lutto, che presentavano alle loro spalle la sagoma spettrale dei loro parenti deceduti (Harvey 2007). Grazie alla collaborazione della moglie Hannah, medium professionista che aveva il compito di “attirare magneticamente gli spiriti dei defunti sulla scena fotografica”, Mumler aveva prodotto una grande quantità di fotografie spiritiche, primo esempio del genere, anche con personaggi molto famosi, dalla vedova di Abraham Lincoln, oppure Henry Wilson, braccio destro del Presidente degli Stati Uniti Ulysses Grant. Questo fu tra i primi casi di riorganizzazione semantica del rapporto tra scienza e religione, che vedeva nello spiritismo fotografico proprio il supporto di passaggio tra i due.
Ovviamente tutto ciò durò fino ad un periodo fino a quando lo stesso Mumler venne arrestato con l’accusa di frode e furto, e messo sotto processo dal 21 aprile al 5 maggio 1869, presso il tribunale di New York. Grazie al successo della sua attività, Mumler era infatti riuscito a rilevare un grosso studio fotografico a Broadway. La buccia di banane (inevitabile) a quanto pare però è stata scovata da uno dei suoi clienti che aveva scoperto che uno degli spiriti ritratti, rassomigliava un po’ troppo a un individuo che – secondo l’accusa – era di fatto ancora vivo quando la foto era stata scattata. I tabloid giornalistici, furono tra i più accaniti detrattori dell’opera di Mumler, stigmatizzata per essere contraria ai valori morali americani fondati sulla fede cristiana, e contraddittoria rispetto ai risultati della scienza odierna.