Twitter potrebbe rimuovere l’opzione di bloccare gli altri utenti

In un mondo dove la comunicazione digitale assume un ruolo sempre più centrale, le piattaforme social devono bilanciare tra innovazione e sicurezza degli utenti. Di recente, Twitter ha annunciato l’intenzione di eliminare l’opzione che permette di bloccare altri utenti, limitando tale funzione solamente ai messaggi diretti. Una decisione che ha sollevato non poche polemiche.

Elon Musk aveva precedentemente espresso il suo desiderio di rimuovere questa funzione, sostenendo che “non ha senso” bloccare altri utenti quando è possibile semplicemente silenziarli. La funzione di silenzio rimarrà infatti disponibile.

Tuttavia, molte persone utilizzano l’opzione di blocco per proteggersi dalle molestie. Questa funzionalità è stata a lungo considerata un’importante misura di sicurezza della piattaforma. La sua rimozione potrebbe esporre gli utenti a contenuti offensivi o indesiderati nei loro feed e notifiche. Come sottolineato da CNBC, alcuni utenti bloccano pubblicità e brand per non visualizzarli, e se un numero significativo di persone dovesse adottare tale pratica, potrebbe avere un impatto significativo sulla redditività di Twitter.

D’altro canto, la questione è finita in diverse occasioni al centro del dibattito pubblico e in alcuni Paesi è perfino stato oggetto di giurisprudenza. È giusto che una personalità pubblica possa bloccare i suoi critici, limitando il dissenso?

Del resto, non sono soltanto gli utenti comuni a bloccare le altre persone: la funzione viene spesso utilizzata anche da celebrità, giornalisti e politici. Il risultato è che figure pubbliche possano limitare l’accesso ai loro tweet, silenziando il dissenso — e dando così l’idea che le loro posizioni siano molto più popolari di quanto non siano veramente. Nel 2018 un tribunale degli Stati Uniti ha stabilito che i politici – e in generale chiunque ricopra cariche elettive – non ha facoltà di bloccare gli elettori su Twitter: «sopprimere i commenti critici (…) è esattamente quel tipo di discriminazione basata sulle opinioni da cui il Primo Emendamento è chiamato a proteggerci», aveva scritto il giudice James Cacheris, motivando la sua decisione.

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