Good Omens 2, recensione: torna il teatro dell’assurdo di Gaiman, ma senza lotte

Quando nel 2019 Amazon Prime decise di adattare l’opera scritta dall’incredibile duo composto da Neil Gaiman e Terry Pratchett a una serie TV, ci trovammo dinanzi a un fenomeno dell’entertainment davvero unico. Da un lato un autore che ha fatto del surreale la propria forza, con un fantasy umoristico che ha avuto pochi altri emuli (tra cui sicuramente Douglas Adams), messo insieme a uno dei più illuminati e visionari narratori dell’epoca moderna. Dalle mani di Gaiman, d’altronde, abbiamo avuto delle serie di indubbio valore anche televisivo, non ultima Sandman, ma anche American Gods, per quanto l’ultima stagione abbia sofferto del non avere una base letteraria di appoggio. Per Good Omens, ora, il rischio era lo stesso, perché dopo una prima stagione che aveva seguito il romanzo scritto da Gaiman e Pratchett, la seconda non aveva nulla su cui appoggiarsi se non l’estro appunto dello scrittore americano. Un pericolo arginato in parte, che ci ha lasciato tra le mani un prodotto di indubbio valore, ma che sembra aver perso parte della propria direzione spirituale.

Buona Apocalisse a voi

Alla fine della prima stagione di Good Omens sia l’angelo Azraphel (Sheen) che il demone Crowley (Tennant) erano riusciti a evitare l’Armageddon, salvando quella Terra e quell’umanità alla quale tanto si sono affezionati. Come risposta, in ribellione a quanto compiuto, i due avevano deciso di lasciare le rispettive fazioni, staccandosi dal Paradiso e dall’Inferno, adattandosi a una vita in solitaria, per sé stessi. Una vita di grande serenità che vede Aziraphale continuare a gestire la propria biblioteca in centro a Londra e Crowley vivere nella propria Bentley, dopo aver perso l’affitto dell’appartamento concessogli da Belzebù. A interrompere questa temporanea pausa adesso, però, ci pensa l’Arcangelo Gabriele, estromesso dal regno dei Cieli e spedito senza vestiti sulla Terra, privato dei suoi ricordi e delle sue ideologie, munito solo di una scatola e una mosca, catapultato in un mondo umano con una sola informazione da fornire all’angelo: sta per accadere qualcosa di terribile.

Gaiman ha assicurato che l’intera vicenda raccontata per la seconda stagione di Good Omens è totalmente originale e che non nasce da quel sequel che avrebbe voluto scrivere con Pratchett e che rimarrà per sempre incompiuto (l’autore è morto nel 2015 con un suicidio assistito): tutto il materiale, che pertanto è originale, ci cala in una nuova avventura che unisce all’umorismo dell’inedita coppia, un demone e un angelo, il mistero di ciò che è successo a Gabriele, che acquisisce molto più screen time nonché spazio per esprimere il proprio potenziale come personaggio. La serie perde il proprio narratore, che in originale era affidato a Frances McDormand, calando lo spettatore in una vicenda che sembra più umana e tangibile: tutte le profezie, i miracoli (tranne uno, importantissimo) sono relegati al passato, a quella parte di ognuna delle sei puntate che decide di raccontare il pregresso, quello che è successo prima che noi potessimo conoscere l’angelo e il demone. Un ottimo espediente per intrattenerci con costumi d’epoca, con riferimenti storici del passato e anche per fornirci un background molto più espanso di quanto accaduto a Crowley prima di diventare un demone e di come si creato il suo rapporto di partnership con Azraphel. La risoluzione del mistero, affidata all’ultima puntata, è ben congegnata e ben pensata, proposta in maniera saggia e in grado di fornire un finale adeguato alle esigenze dello spettatore, che potrebbe, però, avere altro di cui recriminare.

Cos’è bene e cos’è male?

Good Omens 2 vive dell’esigenza – voluta o forse accaduta in maniera colposa, non siamo in grado di dirlo – di andare a ridurre sempre di più la dicotomia tra bene e male, collocando i due protagonisti in una sorta di limbo grigio. Se l’angelo continua, però, ad avere atteggiamenti caritatevoli e accondiscendenti con gli umani, non si può dire altrettanto per il demone, che mantiene la sua acidità e la sua arroganza di fondo, esprimendo molto di più il concetto di cattiveria rispetto a quanto possa esprimere bontà Azraphel. La narrazione si conduce nella direzione in cui le fazioni devono essere annullate e ognuno deve agire per il proprio bene e interesse, senza confonderlo con l’egoismo, ma semplicemente un’indipendenza che possa portare anche a una emancipazione dei ruoli. Lo stesso personaggio di Belzebù finisce per essere messo in discussione per rivederne i connotati e anche le intenzioni, senza riuscire a creare una linea di demarcazione ben definita. Se da un lato questo aspetto potrebbe anche giovare a quelle che sono interferenze nei confronti del Paradiso, là dove Gaiman scrive dei personaggi austeri e molto seriosi in linea con quella che potrebbe essere una visione del bene molto à la Ezechiele, non riescono a fare lo stesso per l’Inferno, che viene reso molto più bonario e ridicolo di quanto dovrebbe.

La necessità di mettere in piedi una vicenda molto più corale, comunque, spinge Good Omens ad arricchirsi di un cast di grande effetto, coinvolgendo attori che possano dare vita anche a personaggi biblici di grande spessore, come Giobbe. La sua vicenda esalta tutta la capacità umoristica che poteva appartenere a Pratchett e che viene ben declinata, in questo caso, da Finnemore, co-autore della seconda stagione. Da segnalare anche l’interessante aggiunta ai personaggi di Maggie (Maggie Service) e Nina (Nina Sosanya), la cui storia d’amore rappresenta una sottile quanto sagace sottotrama della seconda stagione di Good Omens, tanto da spingere gli stessi Crowley e Azraphel a riflettere su quelle che sono le loro reali intenzioni e sentimenti. A Miranda Richardson, invece, spetta recuperare il ruolo di demone ufficiale dell’Inferno sulla Terra nei panni di Shax, anche lei ben caratterizzata e in grado di seminare lo scompiglio che Crowley oramai non vuole più far serpeggiare nel mondo degli umani. L’aggiunta di valore principale l’abbiamo, però, già nominata perché Jon Hamm ci regala un Gabriele umoristicamente perfetto, dalla grande profondità e in grado di trasmetterci tutto il suo essere naif nei confronti di un qualcosa che per lui è totalmente nuovo, a partire dal corpo umano.

È indubbio che ciò che tiene in piedi lo show per le sei puntate, che insieme sfiorano la durata complessiva delle sei ore, è la chimica che c’è tra Tennant e Sheen. I loro due personaggi sono scritti benissimo, sono caratterizzati in maniera impeccabile e sono interpretati con grande trasporto. Entrambi gli attori ci danno la possibilità di andare a esplorare nuovi aspetti del loro carattere, anche nel momento in cui – come già detto – viene totalmente meno la dicotomia tra quelle che sono le loro inclinazioni. Certo, Crowley lo dirà a un certo punto: “Non sono sempre stato un demone”. Proprio questa grande attenzione al fornirci un contesto, un background narrativo è l’aspetto più avvincente del tutto, per andare a esplorare quelle che sono le necessità di entrambi per rispondere a bisogni atavici. Il finale, tra l’altro, lascerà un po’ tutti col fiato sospeso, perché al di là di quella che può essere un epilogo gradito o meno tra i due protagonisti, è indubbio che Good Omens ha ancora tanto da raccontare e potrebbe farlo in una terza stagione.

70
Good Omens 2
Recensione di Mario Petillo

Good Omens nella sua seconda stagione è andato a spremere un limone che Gaiman avrebbe potuto lasciare sull'albero, senza pretendere altro da lui. La vicenda raccontata nel romanzo, dal quale poi è stata adattata la prima stagione, era di una grande genialità e l'autore ha dovuto estrarre dal cilindro qualcosa che funzionasse ulteriormente adesso per una seconda iterazione: il mistero di Gabriele è interessante, convincente, ma a rendere la seconda stagione funzionale ai 6 episodi sono le vicende pregresse dei due protagonisti e una sottotrama funzionale a ciò che Good Omens vuole raccontare. Tutto il resto è quasi accessorio, ma si lascia guardare e godere proprio grazie alle interpretazioni di Tennant e Sheen, che valgono il prezzo delle 6 ore che deciderete di dedicare al teatro dell'assurdo messo in piedi da Gaiman, in memoria di Pratchett.

ME GUSTA
  • Un cast perfetto ancora più allargato
  • Gaiman scrive un mistero che intrattiene fino alla fine
  • Tennant e Sheen sono micidiali insieme
FAIL
  • L'assurdità di alcune vicende non è per tutti
  • Si è persa la magia della dicotomia tra bene e male
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