Il primo grande successo al botteghino (in realtà solo in Giappone, perché in Occidente il film ha avuto notevoli problemi di distribuzione) dello Studio Ghibli è anche una delle pellicole più piene, sfaccettate e personali scritte da Hayao Miyazaki.
Sì, perché nonostante Kiki – Consegne a domicilio del 1989 sia tratto dall’omonimo romanzo di Eiko Kadono pubblicato 4 anni prima, esso è stato notevolmente rimaneggiato dal Maestro, provocando anche uno screzio importante con l’autrice, la quale però ha dovuto fare ammenda qualche tempo dopo, confessando di essersi resa conto che le modifiche fatte dal cineasta erano tutte opportune per una corretta trasposizione. Già questo dice molto di come lavora Miyazaki.
La pellicola torna al cinema con Lucky Red dal 13 al 20 di luglio 2023, nell’ambito della programmazione della seconda edizione della rassegna “Un mondo di sogni animati” (qui per scoprire la programmazione completa).
Per tanti versi Kiki può essere considerata una pellicola “di mezzo”. Un passaggio tra la dimensione favolistica de Il mio vicino Totoro e l’inizio dei successi indelebili che inizierà con Porco Rosso fino a Il castello errante di Howl. E da questo punto di vista magari lo è sul serio, ma ciò non toglie che sia un titolo che gode di una incredibile maestria cinematografica, dalla scrittura alla messa in scena. Tale da avere poco o nulla da invidiare alle pellicole “maggiori” dello Studio (la cosa varia di caso in caso), perché il minimalismo o la semplicità sono scelte autoriali, non minusvalori.
Per tanti versi Kiki può essere considerata una pellicola “di mezzo”.
Noi teorici lo chiameremmo un film di puro “realismo magico”, definizione che vuole individuare quel genere che sta perfettamente in mezzo a due dimensioni solitamente antitetiche. In maniera più precisa e meno accademica, possiamo invece dire che la pellicola è una storia di formazione classica, che nasce da una destrutturazione di una figura, la strega, che nella mente di Miyazaki ha sempre trovato delle rappresentazioni fiacche e poco umane, in quanto il racconto delle loro capacità ha sempre scavalcato quello del loro carattere.
In questa idea il Maestro inserisce elementi autobiografici, riflessioni sociali e politiche (tutta l’ultima parte in cui i protagonisti sono una scopa volante e un dirigibile in caduta: tradizione e avanguardia) e la dimensione del volo, iniziando un bellissimo ed efficace parallelismo con il vento della vita, che indica i momenti di cambiamento per librarsi in aria.
Dopo tutto Kiki – Consegne a domicilio inizia e finisce proprio con un soffio di vento.
Il coming of age secondo Miyazaki
Kiki è una streghetta di 13 anni, che, come da usanza, deve partire per una città diversa da quella dove è cresciuta e compiere il suo apprendistato e trovare così il proprio posto nel mondo. Un rituale che riguarda tutte le sue coetanee e che ha riguardato anche sua madre prima di lei.
La giovane è talmente entusiasta che, convinta anche dalle previsioni, decide di anticipare la partenza, lasciando il padre abbastanza preoccupato, ma talmente contento dell’intraprendenza della figlioletta da decidere di non opporsi, anche conscio dell’irrinunciabilità dell’evento e forse rinfrancato dal fatto che sarebbe stata accompagnata dal gatto Jiji.
Da subito il film diviene una metafora evidente dell’adolescenza, organizzata per rituali emancipatori imprescindibili per divenire adulti e anche un accenno autobiografico a quello che ha dovuto fare Miyazaki quando ha deciso di divenire illustratore. Le premesse sono quindi quelle di un coming of age classico, in cui l’animale domestico della protagonista diviene una sorta di sua coscienza parlante, ma anche la sua parte più infantile e attaccata a casa, tant’è che nel momento in cui egli smetterà di parlare verrà meno il magico, elemento di disturbo per il passaggio all’adolescenza di Kiki, che dovrà riappropriarsene in modo più adulto.
Un rituale che riguarda tutte le sue coetanee e che ha riguardato anche sua madre prima di lei.
Quando la streghetta si trasferisce vengono poste in evidenza le difficoltà delle ragazze comuni, che si ritrovano vulnerabili e sole, restie ad aprirsi e a fidarsi dell’altro, soprattutto quando è un maschietto che prova qualcosina in più della semplice simpatia.
La complessità e le mille sfaccettature di questo delicato momento è narrato da Miyazaki in modo così preciso ed esemplare, perché costruito su movimenti insicuri, tremolii della voce o delle mani, le diversità dei feedback proveniente dall’ecosistema intorno alla protagonista o, semplicemente, dalle sue reazioni più o meno infantili. Lo svolgimento di questa parte si incastra benissimo (ribaltandola) con la concezione semplicistica che può riguardare il concetto di rituale tradizionale, antico e arcaico. Anche Kiki confesserà di aver maldestramente considerato “desueto” l’apprendistato, scoprendone invece una grande utilità.
La misura del passaggio di crescita, in senso cinematografico, lo fornisce il volo sulla scopa, che è la dote principale della giovane strega (se ne intravede forse un’altra) e anche ciò che le permette di incontrare i tanti volti di se stessa, rappresentati dalle varie persone a cui fa le consegne o che incontra durante questa attività. Esemplare la decisione del regista di far posare la protagonista come modella, dato che una delle modalità di funzionamento del diventare grandi è il vedersi negli occhi degli altri.
Il realismo umanistico
Kiki è una streghetta all’interno di un racconto incredibilmente realistico, anche dal punto di vista della resa estetica. Come suo solito Miyazaki infatti si è ispirato ai paesaggi reali per imbastire la città dove si svolte tutta quanta la storia (rifacendosi più che altro a località europee), la quale, nonostante sia circondata da un alone di immobilismo temporale, è piena di un dettagli che ne fanno ribollire la vita, anche tecnologica.
Gli sfondi sono strapieni di dettagli, sia per quanto riguarda gli interni che gli esterni, e si vede come il regista si sia incredibilmente divertito a lavorare sulle particolarità di tutti gli ambienti, quasi tutti riconoscibili e che, nel loro complesso, formano un mosaico, anche cromatico, fortemente armonioso con i colori della sua protagonista.
Kiki è una streghetta all’interno di un racconto incredibilmente realistico, anche dal punto di vista della resa estetica.
Questa ricerca minuziosa verso il realismo, il minimale e il ricco è la metodologia con cui Miayazaki restituisce la misura della storia di formazione, che è un racconto di piccole cose viste da molto vicino. Questo perché l’adolescenza è un cambiamento epocale, si, ma è soprattutto summa di cose minime, che avvengono quotidianamente.
Nonostante lo strappo iniziale, in cui la protagonista mostra grande baldanza, ella dovrà poi ricredersi e prendersi i suoi tempi e affrontare tutte le crisi del caso, alcune veramente molto impegnative. Non proprio un racconto magico, quanto un fedele ritratto di un momento così delicato.
Kiki – Consegne a domicilio è il film sull’adolescenza di Miyazaki e dunque è un film sulla conquista tramite una ricerca fatta su stessi, che richiede tempo, volontà e determinazione. Poi però, una volta compiuta, il vento cambia e si può spiccare il volo e affrontare nuove sfide.