Kizazi Moto: intervista ai creatori della nuova serie sci-fi animata di Disney+

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Una volta di più, il pregiudizio base riguardo all’offerta di catalogo di Disney+, basata sulle aree tematiche più forti (Classici Disney, Marvel, Star Wars) “e poco più”, viene a mancare quando una nuova produzione originale diversifica l’offerta e lo fa con qualcosa di straordinaria qualità tecnica, artistica e contenutistica, per di più in modo originale: Kizazi Moto fa propria l’idea di serie antologica, solitamente più affine ad altre piattaforme, ma ultimamente prolifica anche su Disney+, vedasi progetti come What If? e Star Wars: Visions, basandosi sulla fantascienza e, per di più, su visioni proprie di artisti provenienti da Paesi solitamente poco esplorati dalla cultura pop e mainstream, come in questo caso l’Africa, che spesso per gli occidentali è (per nostra ignoranza e vergogna) un continente quasi indistinto pur nell’evidente molteplicità non solo di nazioni ma anche di culture, che sarebbero tutte da scoprire e riscoprire.

Kizazi Moto è un’antologia sci-fi animata ricca di azione, avventura e tematiche spirituali rapportate anche alla tecnologia e a come l’uomo si proietta verso l’avvenire, con dieci visioni futuristiche dall’Africa ispirate alle diverse storie e culture del continente. Il regista vincitore del premio Oscar Peter Ramsey è il produttore esecutivo di questa decina di cortometraggi, realizzati da una nuova generazione di creatori di animazione che attingono a prospettive unicamente africane per immaginare nuovi e audaci visioni su tecnologia avanzata, alieni, spiriti e mostri.

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Abbiamo avuto la fortuna e il privilegio non solo di aver visionato tutta la serie in anteprima rispetto alla sua uscita ufficiale, prevista per il 5 luglio su Disney+, ma anche di poter scambiare qualche interessante chiacchiera con quattro dei fautori del progetto, ovvero Tendayi Nyeke (Executive Producer), Tshepo Moche (regista dell’episodio First Totem Problems, Ng’endo Mukii (regista di Enkai) e Tafadzwa Hove (regista di Muku). Questo il resoconto del nostro incontro.

Kizazi Moto: qualcosa di nuovo, con le radici nel passato

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C’è grande fermento e una bella vetrina per serie animate innovative su Disney+. Kizazi Moto è qualcosa come probabilmente non ne abbiamo mai visto prima. Come è partito questo grande viaggio, cosa vi ha ispirato maggiormente e qual è la cosa che più di tutte unisce i vari episodi dell’antologia?

Tendayi Nyeke:

In Triggerfish ci siamo spesso chiesti quale sarebbe stato il futuro delle altre nazioni. Nessuno di noi, però, stava pensando all’Africa, non solo come singolo continente. Poi è arrivato Black Panther, con il suo paesaggio “Afro-futuristico” e tutto il mondo ne parla, tutti di colpo lo amano. E quindi ci siamo detti “Aspetta un attimo, che succederebbe se i cineasti africani cominciassero a raccontare storie futuristiche?” e allora l’abbiamo fatto. Siamo andati da Disney a proporre “Vorremmo fare questa serie animata antologica di fantascienza con i nostri migliori sceneggiatori per fargli raccontare quel che hanno da dire in proposito”. Abbiamo trovato 73 straordinari talenti e gli abbiamo chiesto di immaginare il futuro in maniera ottimistica e come lo avrebbero reso. Hanno cominciato a tratteggiare storie con queste caratteristiche e nell’arco di un anno circa ne abbiamo scelte dieci, alla fine. Quattordici registi di sei nazioni africane diverse. Esplorazioni personali, sul tema che avevano a cuore.

Ng’endo Mukii:

Quando alla fine abbiamo visto tutti i nostri film insieme è stato fantastico, circa un mese fa, a Los Angeles. Non avevamo realizzato l’esistenza di un tema comune, che alla fine era una sorta di spiritualità collegata al culto degli antenati, che però serve anche a spingerci verso il futuro. Non c’eravamo accorti che, in qualche modo, l’avevamo usata tutti. Noi abbiamo lavorato individualmente ai nostri progetti, confrontandoci solo in determinati punti di lavorazione e casi, vedendo solo frammenti dei lavori di ognuno, quindi è stata una sorta di fantastica esperienza simbiotica quella di sederci tutti assieme e visionare assieme l’antologia. E anche se avevamo lavorato indipendentemente, c’era questo vivo filo conduttore che legava tutti i progetti insieme in un modo bellissimo. Spero sia stato bello per voi come lo è stato per noi.

Dal mito classico al mito moderno

Ogni episodio (e l’insieme degli stessi) è molto interessante nel suo mescolare tecniche d’animazione diverse ma anche nel modo in cui offre un mix unico di folklore, fantasy e sci-fi. A tal proposito, siete partiti da dei miti tradizionali, creando una vostra versione fantascientifica degli stessi, o sono storie originali in cui avete inserito elementi del folklore classico del paese d’appartenenza?

Tafadzwa Hove:

Abbiamo tutti avuto approcci diversi alla lavorazione, a dir la verità. La nostra storia era basata su questo mito in cui se non rispetti i luoghi come le rovine sacre, scompari… e quando ricompari, sei una persona diversa, più matura. Il senso è che ovunque vai, impari una lezione. Questo il mito che ha ispirato la nostra storia. Quindi in buona parte abbiamo preso qualcosa che esisteva nella nostra cultura per trasporla in fantascienza. Ad esempio, nel film i personaggi volano su questi hooverboard a forma di dischi. E questo deriva dal mito in cui si poteva volare all’interno di… ceste. Quindi qualcosa di mitico, buffo, che fa pensare alla magia, ma che abbiamo trasformato in qualcosa che potesse essere comprensibile a tutto il pubblico moderno.

Ng’endo Mukii:

C’è una cosa particolare nel modo in cui abbiamo rappresentato la fantascienza, soprattutto da un punto di vista occidentale. Abbiamo tante domande riguardo alla spiritualità, alla mitologia e a come si ricollega alla fantascienza. Penso che alla fine all’interno della nostra stessa cultura, nelle sue sfaccettature, c’è molta di quella che chiameremmo “fantascienza” all’interno delle nostre pratiche, che può esser vista ora sotto una luce diversa. Noi ora lo vediamo come sci-fi, ma era mitologia che tramite l’animazione prende nuova vita e si espande verso la fantascienza e il futurismo.

Tafadzwa Hove:

Del resto, una cosa che fa la fantascienza è permettere e favorire agli spettatori la sospensione dell’incredulità, proprio come i miti raccontati dagli anziani, che recepisci per quello che sono, senza stare a questionarli.

Tendayi Nyeke:

Ricollegandomi a questo, c’è da dire che in altre comunità il fantasy è un genere, con creature fantastiche etc. ma per le culture africane è proprio parte del nostro DNA, non lo separiamo dal resto, per noi è difficile anche immaginare un futuro senza di esso. Noi siamo così, siamo gente spirituale. La nostra identità passa attraverso la fantascienza.

Spunti di approfondimento e riflessione

Pensate che per un pubblico occidentale che – colpevolmente – poco conosce e distingue della cultura africana in generale e dei singoli Paesi, Kizazi Moto possa essere un punto di partenza per una migliore comprensione delle vostre culture? Da dove dobbiamo partire se vogliamo approfondire il discorso?

Tshepo Moche:

Penso che questa antologia sia un ottimo modo per esplorare differenti culture africane ma non è certo un’introduzione, anzi, approfondiamo anche alcuni aspetti secondo la nostra visione, mostrandovi “qualcosa di più”. Speriamo chiaramente che riesca a ispirare sempre più interesse. L’importante è sedersi e ascoltare pazientemente quel che gli altri vogliono mostrarti, così che potrai trovare quel che stai cercando. Tutto quel che concerne quest’antologia, compresi i crediti e quindi non solo la storia, è qualcosa che mostra come noi africani di diversi paesi siamo in grado di connetterci, lavorare insieme e creare.

Ng’endo Mukii:

Vorrei specificare che questa serie non va vista come una prima esposizione alla cultura africana. L’ispirazione di Picasso veniva dall’Africa. Abbiamo una relazione tra i nostri popoli già da molto tempo. Non dobbiamo cancellare le persone che sono venute prima di noi e ci permettono di essere qui. Se possiamo parlare tra noi con facilità è proprio perché abbiamo comunque una storia comune.

Tendayi Nyeke:

Oltretutto questi corti sono l’espressione personale di quattordici registi diversi, ma l’identità africana è così diversificata. Al di là dei film, abbiate conversazioni con gente africana, di ogni tipo. Non c’è una sola identità africana. Ma apprezzo molto la domanda perché è un dubbio che potrebbe venire. Grazie per l’interesse e le domande interessanti.

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