La Sirenetta, recensione: un live action rispettoso, ma svilito della linea umoristica

La Sirenetta nel 1989 rappresentò una svolta epocale per la Walt Disney Pictures. Alan Menken e Howard Ashman vennero convocati, per la prima volta, da Jeffrey Katzenberg per mutare completamente quella che è la linea produttiva adottata fino a quel momento a Burbank. Venne chiesto loro di portare l’esperienza di Broadway nei set di Los Angeles, così da poter far ripartire l’industria dell’animazione finita in disgrazia durante gli anni Ottanta. Con il supporto di Ron Clements e John Musker,  reduci da un’esperienza formativa su Basil L’investigatopo, Disney diede vita a quel periodo florido noto come Rinascimento, segnando quella svolta commerciale che serviva. Ci piace pensare che non sia un caso che proprio nel 100esimo compleanno si vada a celebrare La Sirenetta, nel medesimo anno in cui l’uscita di Wish il prossimo 21 dicembre celebrerà quei desideri e quei sogni che a Burbank hanno sempre dominato, sin dal 1923. Oggi, però, vi raccontiamo di che cosa ci ha lasciato il live action de La Sirenetta.

La figlia più emancipata di Re Tritone

Dal punto di vista della trama, La Sirenetta di Rob Marshall non punta a raccontare nessuna storia diversa da quanto fatto da Musker & Clements nel 1989: la vicenda segue il desiderio di evasione da parte di Ariel, una delle sette figlie di Re Tritone, signore dei mari. Il conflitto che vive col padre viene giustificato da alcuni intermezzi, affidati a delle linee di dialogo da classico “spiegone” che ci permettono di contestualizzare alcuni elementi rimasti sopiti per questi trent’anni: trova compimento sia una flebile origin story riguardante Ursula, che avrebbe potuto avere maggior soddisfazione in un film la cui durata di quasi un’ora maggiore rispetto al Classico, così come il motivo dell’odio nei confronti degli umani da parte di Tritone. Per il resto, al di là di un solo personaggio originale aggiunto, ossia la madre di Eric, l’intera struttura narrativa non muta in alcun aspetto, anzi la direzione del doppiaggio fa in modo che, in concerto con l’adattamento, molte linee di dialogo vengano replicate nel rispetto di quella che fu la tradizione del Classico che inaugurò il Rinascimento.

(L-R): Jonah Hauer-King as Prince Eric and Halle Bailey as Ariel in Disney’s live-action THE LITTLE MERMAID. Photo by Giles Keyte. © 2023 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.

A voler valutare, quindi, il lavoro fatto in sede di riproposizione possiamo dire che La Sirenetta fa il suo dovuto compito, porta a termine ciò che ci aspettavamo, ossia una storia rispettata e che ricalca quanto abbiamo già visto. Noterete una sottile e quasi impercettibile differenza nel finale, ma niente di clamoroso: si tratta semplicemente, da parte di Disney, della volontà di continuare a perpetrare un discorso di emancipazione femminile, confermando che non c’è sempre la necessità di un cavaliere azzurro che corra in soccorso delle innocue e indifese ragazze. Per il resto ogni personaggio viene gestito nel modo adeguato e nel rispetto di quello che ha rappresentato nella versione originale, tranne per delle sbavature riguardanti Scuttle e Sebastian. Per quanto riguarda il primo ci troviamo dinanzi a un cambio di sesso del tutto trascurabile, ma a una caratterizzazione molto meno ironica, anzi a tratti indecisa: la versione originale di Buddy Hackett (Marco Mete in italiano) era inarrivabile e votata al dare a Scuttle le sembianze di uno svampito, così da giustificare anche la crescita del personaggio, vero risolutore del mistero che avvolge Ursula. Nel live action tutta questa crescita è annullata da un personaggio solo impiccione e nient’altro, che finisce a soffrire di un appiattimento che non meritava.

I problemi riguardanti Sebastian si riscontrano in quella che è stata la scelta in sede di doppiaggio: Mahmood interpreta benissimo le parti cantate, regalandoci una “Baciala” appassionata, calda, avvolgente, così come una ben ritmata “In fondo al mar”, forse non adeguatamente supportata dalla scelta registica di attenersi alla veridicità dei fondali. Insomma, non vedrete un luccio suonare il blues, né il nasello suonare il violoncello. I problemi si palesano quando dobbiamo ascoltare la recitazione di Mahmood, che nel tentativo di emulare quanto fatto nell’89 da Ronny Grant (doppiatore italiano originario di Aruba, nei Caraibi) si ritrova a dar vita a una voce caricaturale, forzatamente ricercata e che stona tantissimo su un personaggio che dovrebbe rappresentare l’austerità a palazzo, in quanto consigliere del Re. Uno scivolone che si adagia nelle nostre orecchie col passare del tempo, ma che ci regala uno stridio ogni volta siamo tenuti ad ascoltare una battuta da parte del granchio di corte, che allo stesso tempo, nella sua caratterizzazione, ne perde. Il tutto condizionato dal fatto che le loro dimensioni, parlando anche di quelle di Flounder, vengono ridotte di molto, il che rende loro impossibile essere protagonisti di una delle scene più iconiche e imponenti de La Sirenetta: il momento in cui Ariel ottiene le gambe e rischia di soffocare sott’acqua, ma emerge tempestivamente grazie al supporto di Sebastian e Flounder. Nel live action questo, a causa di quella veridicità di cui sopra, non avviene. Aveva una potenza inaudita per la crescita di entrambi i personaggi, ma nella visione d’insieme di Rob Marshall non aveva un peso altrettanto importante.

Quando appare il materiale originale

Se volessimo soffermarci, quindi, sul valutare la qualità del live action solo domandandoci se è stata rispettata la trama del Classico finiremmo per il dover dire che La Sirenetta è un ottimo adattamento, ma in realtà alcune pecche vanno riscontrate. Partiamo dal fatto che la sceneggiatura si affida troppo agli “spiegoni”, soprattutto nella persona di Ursula. L’avere nelle famiglie il target principale rende necessaria una scrittura banale, desiderosa di dire piuttosto che di mostrare, commettendo il più banale degli errori di scrittura, ma agli occhi di quel pubblico nostalgico, cresciuto con i Classici tutto ciò risulterà stucchevole, se non proprio da creare un effetto da audiovisivo prescolare. Lo stesso rapporto creato tra Eric e sua madre risulta posticcio, relegando l’unico contenuto originale di questo film a una sommarietà per niente espressiva e incapace di andare a stratificare ancora di più quello che è il principe, sul quale sapevamo poco e, onestamente, ci è sempre andato bene così.

Nonostante questo noterete che la seconda metà del film, una volta scrollatisi di dosso quella riproposizione 1:1 tra il Classico e il live action, si apre maggiormente e ci permette di prendere più aria. Il regno di Eric si palesa ai nostri occhi e ci permette di scoprire di più sulla condizione degli umani, di sentirlo parlare di quelli che sono stati i suoi viaggi, dal Brasile fino a Cartagena, in Colombia, così da contestualizzare anche quella che è la carnagione dei suoi cortigiani, più votata a un popolo caraibico. Lo stesso world building in superficie finisce per funzionare più di quanto fatto sott’acqua, dove – tolti i movimenti di Ursula, molto polpeschi – sembra di assistere a un continuo fluttuare in aria, soprattutto di Ariel. Una pecca della CGI, con l’acqua che funziona molto di più quando si è terra. CGI che comunque è riuscita a dare buona vitalità a tutti gli animali chiamati in causa, da Scuttle fino a Flounder, per quanto il loro design, compreso quello di Sebastian, resti ancorato a quella già ampiamente citata ricerca di veridicità che stona con tutto il contesto proposto.

(L-R): Jonah Hauer-King as Prince Eric and Halle Bailey as Ariel in Disney’s live-action THE LITTLE MERMAID. Photo by Giles Keyte. © 2023 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.

Altri contenuti originali possono essere riscontrati nella colonna sonora, per la quale Lin Manuel Miranda si è unito ad Alan Menken, autore dell’originale insieme al compianto Howard Ashman. Oramai sulla cresta dell’onda e indiscusso padrone della musicalità Disney, Miranda affianca il decano Menken creando tre nuove canzoni, tutte abbastanza orecchiabili, gradevoli e rispettose della tradizione rinascimentale di Burbank, compreso uno squinternato rap che il compositore americano decide di affidare a Scuttle e Sebastian: siamo sicuri che qualcuno andrà a riascoltarlo più volte dopo la prima visione. Soffermandoci sempre sull’aspetto audio possiamo confermare che nulla è stato deturpato e nulla è stato edulcorato in funzione di consensi e quant’altro. La colonna sonora è salva, così come i testi, ma dovrete scendere al compromesso di vedere un po’ di lip-sync errato, causato dal fatto che i testi non sono stati riadattati e si è deciso di mantenere gli originali. Meglio così, a nostro parere, che come accaduto per La Bella e la Bestia. Eccezionali, a proposito, le interpretazioni canore di Yana C e di Simona Patitucci, che dopo aver dato voce ad Ariel nell’89 adesso la presta a Ursula, compiendo finalmente il tanto anelato sogno della Strega del Mare di possedere la voce di una sirena.

65
La Sirenetta
Recensione di Mario Petillo

La Sirenetta di Rob Marshall è un film gradevole, che quasi sorprende viste le premesse dei mesi precedenti in cui è stato issato un muro di pregiudizi su ciò che sarebbe accaduto. La colonna sonora è stata rispettata e resta intatta, così come la trama, che si affida fedelmente al Classico. Le interpretazioni sono tutte indovinate, sia degli attori originali che dei doppiatori, fatta eccezione per la recitazione di Mahmood, che si riscatta sul canto. Non esaltante Javier Bardem, così come siamo delusi dalla caratterizzazione piatta di Sebastian e Scuttle, ai quali avremmo potuto chiedere di più: il loro scarso impiego, però, è figlio di quella linea umoristica e comica che dai live action viene elisa, come abbiamo potuto notare già in altre declinazioni sul grande e piccolo schermo. Tirando le somme, in ogni caso, siamo dinanzi a un buon lavoro, in totale onestà con l'opera originale, portando a casa un compito registico adeguato alla richiesta e che, nel panorama dei live action Disney, si può giudicare come uno dei lavori più accorti e più inquadrati.

ME GUSTA
  • Molto fedele al Classico
  • La colonna sonora è salva e arricchita
  • Aggiunte originali gradevoli...
FAIL
  • Sceneggiatura a volte troppo da spiegone
  • Sebastian e Scuttle hanno perso la loro forza
  • ...ma a volte troppo forzate
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