Nella prima parte di questa serie abbiamo visto come si trattavano malattie come la sifilide, l’epilessia o l’insonnia con metodi che oggi ci sembrano assurdi o crudeli. In questa seconda parte vedremo altre pratiche mediche che sono state usate per secoli o decenni, ma che ora sono state abbandonate o sconsigliate per la loro inefficacia o pericolosità. Si vedrà come si curavano malattie come il cancro, la depressione o il raffreddore con sostanze radioattive, interventi chirurgici o rimedi casalinghi. Si scoprirà come alcune di queste pratiche siano ancora in uso in alcune parti del mondo o abbiano influenzato la nostra cultura. Un viaggio nel lato oscuro della storia della medicina, che mostra quanto sia importante la ricerca scientifica e il progresso tecnologico per la salute umana.
Lobotomia per la depressione
La lobotomia per la depressione era una pratica medica che consisteva nel tagliare o danneggiare le connessioni tra i lobi frontali e il resto del cervello di un paziente affetto da disturbi mentali, come depressione, schizofrenia o ansia. Si pensava che la lobotomia potesse curare la depressione eliminando le emozioni negative e rendendo il paziente più calmo e docile. La lobotomia fu inventata nel 1935 dal neurologo portoghese Egas Moniz, che ricevette il premio Nobel per la medicina nel 1949 per questa scoperta. La lobotomia fu praticata su migliaia di pazienti in tutto il mondo, spesso senza il loro consenso o quello dei loro familiari. Era molto invasiva e rischiosa: richiedeva un intervento chirurgico al cervello con anestesia generale o locale, poteva causare emorragie, infezioni, epilessia o morte. La lobotomia era anche molto inefficace: non curava la depressione ma provocava gravi danni cognitivi ed emotivi, rendendo il paziente apatico, confuso, incapace di pensare o provare piacere. La lobotomia fu abbandonata negli anni ’50 e ’60, quando
Malarioterapia per la sifilide
La malarioterapia è un trattamento sanitario che consiste nel provocare nei pazienti un’infezione malarica. Fu introdotta nel trattamento dei disturbi mentali nel 1917 da Julius Wagner-Jauregg sulla base dell’osservazione che le manifestazioni terminali della paralisi progressiva dovuta alla sifilide si riscontravano molto raramente nei paesi in cui la malaria era endemica. Il medico austriaco ricevette il Premio Nobel per la medicina nel 1927 per l’introduzione di questo protocollo terapeutico. La malarioterapia per la sifilide era una pratica che consisteva nell’inoculare il parassita della malaria (parassita protozoo del genere Plasmodium, Plasmodium) a un paziente affetto da sifilide, una malattia sessualmente trasmissibile causata da un batterio. Si pensava che la malarioterapia potesse curare la sifilide provocando una forte febbre che uccideva il batterio. La malarioterapia fu proposta sempre dal medico Julius Wagner-Jauregg. La malarioterapia fu usata su migliaia di pazienti in tutto il mondo, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. L’idea era che la febbre provocata dalla malaria potesse distruggere il batterio della sifilide, che era sensibile al calore. Il paziente doveva subire almeno 8-10 episodi febbrili con temperatura superiore ai 39 °C, poi veniva curato con chinino (un principio attivo antimalarico) per eliminare gli effetti collaterali: la malaria, appunto. Le prime applicazioni di tale protocollo terapeutico, anche in associazione con neosalvarsan, mostrarono risultati importanti, con elevate percentuali di remissione completa, a fronte di una bassa mortalità attribuibile alla malarioterapia, portando a pensare che tale trattamento portasse effettivi benefici. Tuttavia, gli studi clinici del tempo non furono condotti in modo ottimale, non essendo né controllati, né randomizzati e mancando una definizione univoca di remissione. Ciononostante, la fiducia sul funzionamento di questo tipo di terapia la portò a essere utilizzata anche nel trattamento della schizofrenia, dell’oligofrenia, delle psicosi post-encefalitica ed epilettica, tuttavia senza i risultati ritenuti straordinari riscontrati con la neurosifilide. il parassita della malaria poteva causare gravi complicazioni come anemia, coma o morte, e il paziente doveva sopportare forti dolori e sofferenze. La malarioterapia fu abbandonata negli anni ’40, quando fu scoperta la penicillina, un antibiotico efficace e sicuro contro la sifilide. La malarioterapia fu sostituita da altre forme di terapia basate sullo shock, come lo shock insulinico o la terapia elettro convulsivante. Oggi la malarioterapia è considerata una pratica obsoleta e inumana, che mostra quanto fosse limitata la conoscenza medica del passato.
Barbieri chirurghi
Un altro esempio di pratica medica strana e discutibile era quella dei barbieri chirurghi, che si occupavano sia di tagliare i capelli e la barba ma anche di fare piccole operazioni chirurgiche, come salassi, estrazioni dentarie, suture di ferite o cura di emorroidi. Questa figura professionale nacque nel Medioevo, quando la Chiesa vietò ai sacerdoti e ai monaci di fare la chirurgia, considerata una violazione del corpo umano. I barbieri, che avevano già delle capacità manuali e degli attrezzi taglienti, si proposero di fare questo lavoro, spesso in collaborazione con i medici. I barbieri non avevano una formazione universitaria, ma imparavano il mestiere per tradizione o per esperienza. Si riconoscevano dai medici per il colore del loro abito (rosso invece che nero) e per il simbolo della loro corporazione: il palo da barbiere, un’asta con delle strisce rosse e bianche che simboleggiavano il sangue e le bende usate nei salassi. I barbieri chirurghi furono molto comuni in Europa fino al XVIII secolo, quando la chirurgia divenne una scienza più avanzata e richiese una maggiore specializzazione e competenza. I barbieri chirurghi furono quindi progressivamente sostituiti dai chirurghi diplomati, che avevano una formazione più approfondita e potevano fare operazioni più complesse e delicate.
Salasso
Il salasso è una vecchia pratica medica che consisteva nel drenare il sangue da un paziente vivente per curare un disturbo o una malattia. Già gli antichi egizi pensavano che avrebbe liberato gli spiriti cattivi e l’energia che poteva far ammalare una persona. Si basava sulla teoria degli umori, secondo cui il corpo umano era composto da quattro fluidi (sangue, flemma, bile gialla e bile nera) che dovevano essere in equilibrio per garantire la salute. Quando uno di questi fluidi era in eccesso o in difetto, si manifestavano dei sintomi come febbre, dolore, infiammazione o debolezza. Il salasso serviva quindi a ristabilire l’equilibrio degli umori, eliminando il sangue in eccesso o contaminato. Veniva praticato con vari metodi: si poteva tagliare una vena con una lametta, un coltello o un rasoio; si poteva applicare una sanguisuga sulla pelle; si poteva fare una piccola incisione con una ventosa riscaldata. Il salasso era usato per trattare una vasta gamma di malattie, da quelle infettive a quelle croniche, da quelle mentali a quelle digestive. Tuttavia, aveva spesso effetti negativi: poteva causare anemia, infezioni, shock o morte per emorragia. Inoltre, non risolveva la causa della malattia, ma ne alleviava solo i sintomi. È stato usato per secoli in diverse culture e civiltà, fino al XIX secolo, quando è stato progressivamente abbandonato grazie agli sviluppi della medicina scientifica. Oggi il salasso è usato solo in casi molto rari e specifici, come per il trattamento dell’emocromatosi o della policitemia.
Urinoterapia
L’urinoterapia era una pratica medica che consisteva nel bere le proprie urine per prevenire o curare determinate malattie. Ha origini antiche e si basa sull’idea che l’urina sia un distillato del sangue, ricco di sostanze benefiche per l’organismo, come antigeni, anticorpi, ormoni, enzimi ecc. L’urinoterapia è stata usata in diverse culture e tradizioni, sia ad oriente che in occidente, per trattare malattie come l’asma, l’emicrania, l’acne, il cancro e molte altre. Inoltre, è stata anche associata a pratiche religiose o spirituali, come il tantrismo indù o il buddhismo tibetano. Alcuni riferimenti all’urinoterapia sono stati rinvenuti anche nei testi latini e greci. L’origine dell’urinoterapia è rintracciabile nella tradizione conosciuta tantra Pare infatti che l’urina, con il nome di amaroli, venisse menzionata in antichi testi descrittivi di riti Indù. Queste pratiche si basavano sul fatto che l’urina, provenendo dagli organi implicati nel sesso, potesse agire, se assunta per via orale, come fattore “catalizzatore” dell’energia sessuale. Si trovano molti riferimenti storici all’uso terapeutico dell’urina anche in fonti greche e romane. Galeno e Ippocrate nell’antica Grecia, lo scrittore Plinio (nella sua Storia Naturale consigliava l’impiego dell’urina per le ferite da morso e le malattie della pelle) e il romano Diodoro Sicule (riferiva dell’uso dell’urina che alcune popolazioni antiche facevano per l’igiene dentaria…). Pare poi che per i monaci tibetani quell di bere l’urina sia una tradizione mai interrotta. L’urinoterapia ha quindi radici antiche, tuttavia, non ha alcun fondamento scientifico e non ha alcun effetto terapeutico dimostrato. Al contrario, può essere dannosa per la salute, in quanto l’urina contiene sostanze di scarto o in eccesso che il corpo ha eliminato attraverso i reni. Bere l’urina può causare disidratazione, infezioni, intossicazioni o squilibri elettrolitici.
Bagni di paraffina
I bagni di paraffina consistevano nell’immergere le mani, i piedi o i gomiti in un contenitore con della cera di paraffina fusa. Avevano lo scopo di alleviare il dolore causato da artriti, reumatismi o infortuni sportivi, sfruttando le proprietà termiche della paraffina che manteneva il calore quando si solidificava. Questa pratica era diffusa anche per lo scopo estetico, in quanto la paraffina idratava e ammorbidiva la pelle secca o screpolata. I bagni di paraffina erano molto diffusi in passato, sia nei centri termali che nelle case private. Per fare un bagno di paraffina si doveva sciogliere la cera a bagnomaria fino a raggiungere una temperatura tra i 49°C e i 57°C, poi si doveva immergere ripetutamente l’arto da trattare nella cera liquida, creando diversi strati che formavano una sorta di guanto o calzino di paraffina. Si doveva poi avvolgere l’arto con dei sacchetti di plastica e degli asciugamani e lasciare agire per circa 20 minuti. Infine, si rimuoveva la cera e massaggiare la zona trattata. I bagni di paraffina non erano adatti a tutti: erano sconsigliati per chi soffriva di diabete, ipertensione, vene varicose o altri disturbi circolatori. Inoltre, potevano causare scottature, infezioni o reazioni allergiche. I bagni di paraffina sono stati sostituiti da altri metodi più efficaci e sicuri per il trattamento del dolore e della pelle, come le creme idratanti, gli antinfiammatori o le terapie fisiche.
L’apparecchio per rimuovere le lentiggini
Le lentiggini adesso vengono considerate una bella e particolare caratteristica estetica, ma un tempo, periodo fu addirittura creato un macchinario per eliminarle. Un medico italiano sviluppò la macchina per rimuovere le lentiggini, che utilizzava il ghiaccio secco per “congelarle”. Il Dottor Matarasso pensava che l’anidride carbonica potesse rimuovere questi puntini e macchie dalla pelle. Il ghiaccio secco toccava brevemente ogni lentiggine, facendola “cadere” una settimana dopo. Il trattamento non funzionava molto bene, e la temibile macchina fu presto ritirata a favore di trattamenti laser, peeling chimici e metodi di cura della pelle più moderni. Nella tradizione popolare, si riteneva che anche le cipolle provocassero un effetto schiarente se applicate nella zona, però la ragione scientifica è sconosciuta, perciò dubbia.
Il Brandy per le coliche
Il brandy per le coliche era un rimedio casalingo che consisteva nel dare al bambino affetto da coliche gassose qualche goccia di brandy diluito in acqua o latte. Il brandy è un distillato di vino che ha un’alta gradazione alcolica (circa 40%) e un sapore dolce e aromatico. L’idea era che il brandy potesse calmare il dolore e favorire la digestione del bambino, grazie alle sue proprietà antispasmodiche. Il brandy per le coliche era usato soprattutto nei paesi anglosassoni, dove era considerato un toccasana per molti disturbi. Tuttavia, era estremamente molto pericoloso e dannoso per la salute del bambino. L’alcol, infatti, può causare gravi effetti collaterali nel neonato, come sonnolenza, disidratazione, ipoglicemia, intossicazione o dipendenza. L’alcol può anche interferire con lo sviluppo del cervello e del sistema nervoso del bambino, compromettendo le sue capacità cognitive e comportamentali. Il brandy per le coliche è quindi una pratica obsoleta e ovviamente inutile.
Fare diagnosi assaggiando il cerume
Assaggiare il cerume per una diagnosi era una pratica medica che consisteva nel prelevare con un bastoncino di cotone o con una sonda il cerume dall’orecchio del paziente e assaggiarlo per valutare il suo sapore e la sua consistenza. Il cerume è una secrezione cerosa prodotta dalle ghiandole ceruminose e sebacee del condotto uditivo esterno, che ha lo scopo di proteggere l’orecchio da agenti esterni, lubrificare la pelle e prevenire le infezioni. Il cerume ha normalmente un colore giallo-bruno e un sapore amaro. Assaggiare il cerume per una diagnosi era basato sull’idea che il cerume potesse riflettere lo stato di salute del paziente e rivelare eventuali malattie o disturbi. Ad esempio, si riteneva che il cerume dolce fosse un segno di diabete, il cerume salato fosse un segno di disidratazione o malattie renali, il cerume acido fosse un segno di infezioni o infiammazioni, il cerume secco fosse un segno di stipsi o disbiosi intestinale, il cerume umido fosse un segno di coliche o diarrea. Era una pratica molto antica e diffusa in diverse culture e tradizioni, sia ad oriente che in occidente (Ippocrate ne era un sostenitore). Era usata soprattutto dai medici cinesi, indiani e arabi, ma anche da alcuni medici europei fino al XVIII secolo. Tuttavia, è una pratica molto pericolosa e inaffidabile. Pericolosa perché poteva trasmettere malattie infettive, inaffidabile perché non esisteva alcuna correlazione scientifica tra il sapore o la consistenza del cerume e le condizioni di salute del paziente.
In questa seconda parte abbiamo visto altri esempi di pratiche mediche strane e discutibili che erano usate in passato per curare o prevenire diverse malattie o disturbi. Come per le pratiche del primo articolo, anche queste si basano su idee errate, superstizioni o semplice disperazione, e che spesso erano inefficaci o addirittura dannose per la salute. Abbiamo anche imparato che queste pratiche sono state sostituite da metodi più efficaci e sicuri, grazie ai progressi della scienza e della tecnologia. L’appuntamento è per la terza e ultima parte