Dead Island 2, la recensione: uno scanzonato gore dalla qualità altalenante

Di sviluppi tortuosi l’industria videoludica ne è piena, ma di Dead Island 2, a essere onesti, ce n’è uno solo. Sequel del titolo pubblicato nel 2011 e terzo capitolo della saga, è ambientato 10 anni dopo gli eventi che hanno colpito Dead Island: Riptide, cambiando anche ambientazione, passando alla California, tra Los Angeles e San Francisco. Annunciato nel 2014, il gioco ha vissuto un periodo molto travagliato col suo sviluppo, passando attraverso diversi cambi di studi: inizialmente era Yager Development a essersene occupata, avendo iniziato la lavorazione nel 2012, dalla quale è stata poi strappata nel 2015, vedendo subentrare Sumo Digital, il team di Crackdown 3. Nel 2019, poi, l’ultimo cambio avvenuto per mano di Deep Silver, che ha trasferito l’intera commessa a Dambuster, reduci dalla pubblicazione di Homefront: The Revolution, altro titolo distribuito proprio da Deep Silver. In poco più di tre anni il team ha saputo portare in porto la nave, provando a riscrivere ciò che era già stato creato dai due precedenti team, con risultati altalenanti e sofferenti, che hanno palesato in più occasione i limiti della produzione.

Benvenuti a Hell-A

Dead Island 2 ci mette dinanzi a un ennesimo cataclisma, un’epidemia che ha colpito tutti gli Stati Uniti, dei quali abbiamo una visione parziale, un occhio di bue fisso su Los Angeles. Hell-A, l’inferno che prende piede dall’assonanza con la pronuncia americana della città degli angeli, ci mette dinanzi a sei diversi personaggi in cerca di salvezza. Niente a che vedere con le scritture pirandelliane, ma semplicemente una vasta scelta di eroi con caratteristiche e peculiarità differenti, che dovremo andare a scegliere a seconda di quella che potrebbe essere la nostra inclinazione al gameplay e l’approccio al gioco. La trama non andrà a cambiare, ma muteranno alcune linee di dialogo, a seconda di quello che è il vostro carattere, e ovviamente alcune interazioni con gli NPC. Noi abbiamo affrontato la quest principale con Ryan, un pompiere che ha dalla sua l’abilità innata di recuperare salute a ogni uccisione, così da poter essere più aggressivi e meno attendisti nell’approccio al battle system. Tutti i personaggi, in ogni caso, hanno sette diverse caratteristiche: robustezza, resistenza, recupero salute, danno critico, agilità, salute massima e resilienza, con una di queste come picco e una di queste come punto più basso.

Per darvi una panoramica sull’offerta ludica iniziale, oltre lui ci sarà Jacob, la cui ferocia vi permetterà di avere dei danni critici più impattanti con la resistenza bassa, ma anche Bruno, che invece punta a essere l’underdog della situazione: quando la salute è bassa, il danno critico è maggiore, oltre ad avere una pugnalata alle spalle che permette di esaltare la componente stealth, in altri casi non preponderante e, anzi, con Ryan del tutto impalpabile se non per gli attacchi a sorpresa alle spalle. Insomma, il ventaglio di proposta iniziale è molto variegato e permette di, nell’eventualità foste bramosi di curiosità, riprovare l’avventura con altri personaggi, così da lanciarvi alla scoperta di come sarebbe andato quel combattimento se giocato con un altro personaggio. Vi siamo sinceri, però: sarà una scelta da prendere solo in casi estremi, perché la trama non cambierà, l’esperienza non differirà di troppo e alla fine giungerete sempre alla medesima conclusione.

Una volta scelto il vostro alter ego, quindi, vi ritroverete a riemergere dai rottami di un aereo sul quale eravate saliti per sfuggire da Hell-A, invano. Consci di ciò che sta accadendo attorno a voi e pronti a scoprire quale sarà il vostro destino, raggiungerete una ampia villa a Bel Air, il vostro primo hub di gioco, dove entrerete in contatto con gli NPC che più vi saranno d’aiuto durante l’avventura, a partire da Emma Jaunt, la VIP losangelina per eccellenza. Il concatenarsi di vicende, di problematiche, di psicologie umane pronte al tracollo dinanzi a un’epidemia che ha livellato l’esistenza di tutti, vi permetterà di approcciarvi al dramma umano che Dead Island 2 vuole mettere a nudo, creando una buona dicotomia anche tra la morale dell’uno e dell’altro, tra chi persegue il benessere comune e chi invece anela solo al proprio. Nel tentativo di scalare, così, l’onda degli zombie finirete per incocciare contro le barriere innalzate dall’esercito di stato e a inseguire improbabili scienziati pronti a supportarvi in una missione suicida di salvezza della razza umana.

È palese sin da subito che Dead Island 2 non punta a una trama elaborata, ma semplicemente a un canovaccio che prende dalle zombie story gli elementi chiave e li declina a modo proprio, soffermandosi più sull’aspetto gore che su quello realmente horror. Tra mutilazioni e sangue sparso per strada, la vicenda punterà maggiormente sul creare personaggi che danzeranno intorno alla nostra moralità, con i quali potremo interagire in maniera univoca, ascoltando ciò che hanno da dire e replicando in maniera molto asettica. Tra tutti è proprio il nostro alter ego quello che meno si esalta, vestendosi solo di una giubba da cavaliere senza macchia, pronto a sacrificarsi per il prossimo, un paladino di Los Angeles senza, però, un sottotesto ben chiaro. Questa condizione spuria di una sceneggiatura che non trova soddisfazione nemmeno nel world building ci lascia con l’amaro in bocca dopo le prime ore di gioco, facendoci capire che forse qualcosa è andato storto nella scrittura dello scenario stesso.

Zombie mutilati e infetti decapitati

Arriviamo al cuore pulsante di Dead Island 2, che è il combattimento, l’aspetto che più ci terrà impegnati nel corso dell’avventura tra le strade degli States. Ogni personaggio, come anticipato, ha delle abilità innate, delle quali due ci vengono regalate all’inizio del gioco e proseguendo, invece, verranno sbloccate di livello in livello. A nostra disposizione ci sono le carte capacità, le carte superstiste, le ammazzazombi e le numen, che saranno le ultime a sbloccarsi e che vi permetteranno di gestire delle mutazioni in linea con ciò che sta accadendo al vostro corpo e che scoprirete nel corso della trama. Per il resto tutte le carte, a lungo andare, sono arrivate a un generale appiattimento delle caratteristiche, fornendoci dei bonus molto simili tra loro: il calcio in corsa si è solo potenziato di carta in carta, così come il recupero salute e il moltiplicatore del critico in determinate situazioni. Al di là delle carte numen, che ci hanno permesso di, una volta equipaggiate, rendere più frizzante il gameplay, le altre sono finite spesso nel dimenticatoio di una personalizzazione che non arriva a un grande dettaglio di profondità, rimanendo in un catino di similitudine abbastanza ristagnante.

Una volta chiarito l’aspetto della customizzazione arriviamo al punto focale, quello in cui possiamo stendere un infetto con un tubo di ferro. Avremo due colpi a nostra disposizione, uno potente ma lento e uno veloce ma meno forte, più un calcio che fa da attacco melee, ottimo per allontanare i nemici da noi, e una parata che attiverà, in caso di ottimo tempismo, un contrattacco. Quest’ultima meccanica si è rivelata forse la più interessante, soprattutto perché ci permette di attivare un QTE in grado di infliggere due colpi molto potenti all’avversario, approfittando di una finestra di immunità: inoltre sarà possibile indirizzare il colpo del QTE dove vogliamo, così da evitare di colpire l’eventuale armatura di alcuni infetti corazzati. A vostra disposizione anche una finisher, il classico pestone sul cranio che si attiva nel momento in cui dovrete dare il colpo di grazia allo zombie. Siamo consci dell’avervi descritto un battle system molto basic e molto derivativo degli altri titoli del medesimo genere, ma Dead Island 2 è questo, niente di più.

L’unico aspetto che si è esaltato e che è importante sottolineare dal punto di vista estetico, è la mutilazione degli zombie. I nostri colpi, sfruttando il sistema di puntamento della visuale in prima persona, possono essere inflitti dove preferiremo: nel caso in cui fossimo in possesso di un’arma da taglio piuttosto che una solo di impatto (una spada o un macete al posto di una mazza da golf, per dire) potremo puntare forte su un arto dell’avversario e mutilarlo, così da far contenti anche i completisti che inseguiranno i trofei/obiettivi di gioco; se mutilata una gamba potrete vedere lo zombie arrancare e iniziare a trascinarsi, oppure potrete puntare forte sulla testa, così da vedergli la mandibola dondolare tenendosi attaccata chissà a cosa. Tutto tenendo ben presente che il gore è di casa e che l’ambizione del team di sviluppo è quello di rendere quanto più paradossale possibile l’esperienza di gioco, grazie all’intervento del FLESH system, fiore all’occhiello dei Dambuster Studios. Il sistema permette di registrare la forza e la posizione dei colpi inferti agli zombie, anche tenendo conto del vostro possibile colpo caricato, così da determinate gli effetti sul corpo stesso dell’infetto.

Verticalità e crafting al servizio della California

Va da sé che la proposta più ludicamente divertente di Dead Island 2 è il poter trasformare qualsiasi oggetto in un’arma, un po’ sulla falsariga di Dead Rising 4. Non solo mazze da baseball, ma tubi di ferro, pezzi di impalcatura, coltelli, mannaie, mazze da golf, spade recuperate da teche di vetro in case di lusso e così via. Tutto ciò che diverte, però, prima o poi finisce e anche i vostri giocattoli si romperanno, a causa dell’usura. In soccorso arriva il crafting, che si esalta grazie al loot recuperato dai cadaveri e dalle abitazioni: grazie a dei tavoli di lavoro che sono stati sparsi per la mappa avremo la possibilità di riparare, modificare e potenziare le nostre armi, aggiungendo delle caratteristiche che infliggeranno danni elementali agli zombie, dal fuoco all’elettricità. Da evidenziare anche una meccanica che vi permette di potenziare le armi equiparandole al vostro livello di gioco (il level cap è settato a 30), così da aumentarne la potenza e tenerla di pari passo alla vostra progressione.

Siamo molto in prossimità anche di Dying Light, come avrete intuito, del quale però Dead Island 2 non riesce a replicare il senso di verticalità. Lì supportata dal parkour, qui soltanto dagli edifici di Los Angeles che si ergono su diversi piani: che siano case o che siano hotel, vi ritroverete a salire rampe di scale, ascensori rimasti bloccati, botole e solai con l’unico obiettivo di osservare la città dai punti più alti e raggiungere quegli infetti che sono riusciti a rantolarsi fino ai piani alti della società. A tal proposito, di boss battle viene difficile parlare, perché le sfide più intense le abbiamo riscontrate con infetti più resistenti e dotati di una maggior potenza, oppure da zombie letali che facevano parte di missioni secondarie o di strade che abbiamo imboccato prima del tempo, con un livello ancora troppo basso. Niente che si possa definire davvero boss battle, con meccaniche diverse da quelle canoniche.

È in tutto questo insieme che Dead Island 2 fa fatica a emergere e a regalarci un’esperienza interessante, perché lo stesso core loop finisce per essere molto monotono, spingendoci da un punto A della mappa a un punto B, lasciandoci una parvenza di open world, che in realtà è declinato in enormi ambienti da attraversare con un viaggio veloce in prossimità di tornelli di smistamento. Le missioni, sia quelle principali che quelle secondarie, si dipanano attraverso delle ricerche all’interno di edifici che dovranno essere spogliati della loro componente infetta per poi fuggire verso il prossimo obiettivo; persino in quei momenti in cui sembra che ci si possa divertire con una deviazione per soddisfare sfide e richieste secondarie, come il rintracciare armi leggendarie e il setacciare le piscine di Los Angeles, ci si ritrova presto avvinghiati nelle stesse ripetitive meccaniche, smorzando l’entusiasmo e il divertimento.

Gli zombie sono rimasti indietro

Arriviamo in chiusura all’analisi dell’aspetto tecnico di Dead Island 2, sul quale pende sulla spada di Damocle che ci ricorda di un annuncio risalente al 2014 e strascinato fino al 2023 come uno zombie gambizzato. L’ambiente, in quell’open world fittizio, soffre di eccessivi pop-in di elementi a distanza, poche interazioni con altrettante poche animazioni, soprattutto nel momento in cui finiremo per riversare dell’acqua su delle pozze di acidi o su delle fiamme, che svaniranno come se seppellite da nuovi liquidi. Allo stesso modo il movimento del nostro alter ego sembrerà quasi fluttuante nel vuoto, accompagnato da un effetto sonoro dei passi poco realistico e che non segue per niente il nostro movimento, anzi finisce per essere abbastanza fastidioso per il suo essere asincrono. Poco credibile anche il ciclo giorno-notte, con l’alternarsi delle ore che si palesa solo dopo un determinato viaggio veloce e che segue più il ritmo della narrazione che il reale incedere del tempo.

Compromessi finalizzati all’ottenimento di un frame rate molto solido, che riesce a tenere sempre molto alta la fluidità e ci assicura un divertimento scanzonato nel prendere a pugni i nostri nemici. Persino nei momenti più concitati, con numerosi zombie addosso, siamo riusciti a mantenere quel livello di immediatezza in grado di esaltarsi in ogni contesto. Dal punto di vista dei bug segnaliamo, infine, soltanto un’occasione in cui siamo stati costretti a riavviare il gioco a causa di una compenetrazione poligonale che ci ha proiettati nelle profondità di Los Angeles rimanendovi incastrati. In tutta onestà Dead Rising 2 sembra un po’ ancorato a un bel po’ di anni fa, nonostante una direzione artistica di grande pregio e che riesce a creare quella dicotomia tra luci delle ribalta e pandemia che ha infettato il mondo, ricreando una Los Angeles in grado di mostrarsi per quello che è: un enorme e fittizio set cinematografico condito di palme e una vita di sfarzo, il cui contenuto è fortemente latente.

75
Dead Island 2
Recensione di Mario Petillo

Dead Island 2 soffre molto di una monotonia e ripetitività di fondo che lo penalizza e smorza qualsiasi divertimento sul lungo periodo. Le 24 missioni principali che dovrete portare a termine, il level cap a livello 30 e il crafting delle armi a disposizione non faranno altro che diluire un'esperienza che dopo le prime 5 ore rischierà di diventare subito prolissa e ridondante. Un vero peccato perché Dambuster è riuscita col sistema di mutilazione a rendere molto divertente un battle system altrimenti troppo ripetitivo, che sa di già visto, condizionato anche da un approccio tecnico altalenante sui grandi ambienti e sull'assetto macroscopico. Resta un'esperienza affascinante per chi arde del desiderio di sgomberare Los Angeles dagli zombie e portare a casa un meritato premio di paladino della giustizia, sbaragliando l'ennesima invasione di infetti e una pandemia che ancora una volta si mostra con le medesime caratteristiche di sempre.

ME GUSTA
  • Il sistema di mutilazione funziona
  • Buono l'approccio variegato con sei diversi personaggi
FAIL
  • Core loop troppo monotono dopo le prime ore
  • Tecnicamente non è di questa generazione
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