La più grande valutazione genetica mai effettuata sul mammut lanoso ha fornito nuove informazioni su questo cugino dell’elefante, un’icona dell’era glaciale, tra cui il pelo vaporoso e crespo, le orecchie piccole, la tolleranza al freddo, l’accumulo di grasso e persino il cerume secco. I ricercatori hanno dichiarato di aver analizzato i genomi di 23 mammut lanosi – tra cui 16 appena sequenziati – sulla base di resti conservati nel permafrost siberiano. Li hanno poi confrontati con i genomi di 28 elefanti asiatici e africani moderni.
“L’obiettivo era trovare le mutazioni presenti in tutti i mammut ma non in nessuno degli elefanti, ovvero gli adattamenti genetici esclusivi del mammut lanoso”, ha dichiarato il genetista evolutivo David Díez-del-Molino del Centre for Palaeogenetics di Stoccolma, autore principale dello studio pubblicato sulla rivista Current Biology. “Abbiamo scoperto che i mammut lanosi avevano adattamenti molecolari nei geni legati alla gestione degli ambienti freddi dell’Artico, come la pelliccia spessa, l’immagazzinamento dei grassi e il metabolismo e la sensibilità termica,”, ha aggiunto Díez-del-Molino.
I genomi comprendevano un mammut di 700.000 anni fa – vicino all’epoca di origine di questa specie nelle steppe siberiane – e altri vissuti più tardi, mostrando così come si sono evoluti gli adattamenti genetici. La specie, nata in un periodo di raffreddamento del clima terrestre, abitava parti dell’Eurasia settentrionale e del Nord America. La maggior parte dei mammut si è estinta circa 10.000 anni fa, in seguito al riscaldamento del clima alla fine dell’ultima era glaciale, e gli scienziati discutono se la caccia umana abbia giocato un ruolo importante. Gli ultimi esemplari si sono estinti sull’isola di Wrangel, al largo delle coste della Siberia, 4.000 anni fa. Il primo genoma completo del mammut è stato sequenziato nel 2015, dopo un sequenziamento nel 2008. Il nuovo studio ha dimostrato che il 92% delle mutazioni uniche esisteva già all’inizio della storia specie, con un’evoluzione continua di alcuni tratti. Ad esempio, i mammut hanno evoluto nel tempo una pelliccia sempre più soffice e orecchie sempre più piccole. “Il nostro mammut lanoso di 700.000 anni fa potrebbe aver avuto orecchie più grandi dei mammut dell’ultima era glaciale”, ha dichiarato Love Dalén, genetista evolutivo del Centre for Palaeogenetics e autore senior dello studio. Un gene altamente evoluto è quello che, se “spento” nei topi di laboratorio, produce orecchie insolitamente piccole. I mammut lanosi avevano le dimensioni dei moderni elefanti africani, circa 4 metri di altezza, ma avevano orecchie molto più piccole per evitare di perdere il calore corporeo da una superficie auricolare più ampia.
La sindrome del pelo impettinabile
Diversi geni che riguardano il tipo di pelliccia e la crescita differiscono dagli elefanti moderni. Uno di questi negli esseri umani è associato alla sindrome dei capelli impettinabili (UHS), o pili trianguli et canaliculi, è una displasia rara del fusto pilifero del cuoio capelluto che genera una condizione caratterizzata da capelli secchi e crespi che non possono essere pettinati. Nei mammut, i peli più soffici e i depositi di grasso avrebbero contribuito all’isolamento dal freddo. I mammut presentavano una mutazione in un gene che nelle persone è associato alla secchezza del cerume, anche se non è chiaro come questo abbia dato loro un vantaggio. La stessa mutazione è associata a una riduzione dell’odore corporeo sotto le ascelle negli esseri umani, anche se questo potrebbe non significare che i mammut avessero un odore delicato. Lo studio ha contribuito a chiarire le sfumature variabili del colore del pelo dei mammut – bruno con un tocco di rosso. Le mutazioni in un gene legato al sistema immunitario indicano che la specie si è adattata a una grave epidemia di agenti patogeni. Anche se i ricercatori non sono coinvolti nel tentativo di resuscitare il mammut attraverso la clonazione, il loro lavoro potrebbe essere d’aiuto in questo senso. “Il set di dati che presentiamo potrebbe essere visto come il primo elemento di una road map verso la resurrezione”, ha detto Dalén. “Ma va sottolineato che la strada da percorrere è lunga, probabilmente piena di buche e, nel peggiore dei casi, non porta da nessuna parte”.