Lo strangolatore di Boston, la recensione del nuovo film di Keira Knightley

Lo Strangolatore di Boston: qual'è la storia vera di un caso risolto 50 anni dopo

Da tempo ci chiedevamo quando avremmo potuto rivedere l’amatissima protagonista femminile di Pirati dei Caraibi sul piccolo schermo della nostra tv o su quello gigante delle sale cinematografiche. A rispondere alla nostra domanda è intervenuta Disney+, la piattaforma di Topolino che ha appena distribuito il nuovo film di Matt Ruskin con protagonista la splendida Keira Knightley. Gli amanti delle storie true crime non posso assolutamente perdere il freschissimo giallo firmato 20th Century Studios. Se conoscete la storia dello strangolatore di Boston saprete già cosa andrete a vedere e non resterete delusi. Chi invece non si è mai approcciato al caso non deve avere alcun timore: la pellicola diretta da Matt Ruskin ripercorre i fatti di cronaca nera avvenuti a Boston dal 1962 al 1964 e colma qualsiasi lacuna storica dello spettatore. Ovviamente, la trama del film romanza diverse parti della storia vera. Le vere protagoniste sono le donne interpretate da Keira Knightley e Carrie Coon, due giornaliste che non si arrendono davanti a niente e nessuno pur di ottenere la verità, mettendo persino a rischio la loro sicurezza e la loro vita. Keira Knightley si riconferma una buona interprete. La pellicola non brilla per originalità e innovazione ma è un discreto thriller perfetto da vedere nelle serate di pioggia. Ecco la nostra recensione di Lo strangolatore di Boston. 

Lo strangolatore di Boston è disponibile sulla piattaforma streaming di Disney+ nella sezione Star, la sezione destinata ad i contenuti per adulti. Non consiglio infatti la visione della pellicola ad un pubblico di giovanissimi spettatori, men che meno ad un pubblico con la presenza di bambini. Si tratta di un thriller true crime con tematiche legate agli omicidi, come tale non è l’ideale per gli spettatori più piccoli. 

Lo strangolatore di Boston, la storia del nuovo film Disney+

Lo strangolatore di Boston prende il nome dal vero caso di cronaca nera avvenuto negli anni 60 a Boston. Il regista, Matt Ruskin, è sempre stato particolarmente ossessionato dal caso. Durante le interviste che hanno preceduto la distribuzione della pellicola ha affermato che da sempre era a conoscenza del caso dello strangolatore di Boston, avendo vissuto nella nota città americana. Realizzare un film sul tema era per lui una vera necessità, soprattutto quando ha scoperto l’ingiustizia che ha colpito le donne che hanno consegnato alla giustizia il killer senza tregua. Durante le sue indagini per la costruzione della pellicola, è rimasto fin da subito affascinato dalle storie di Loretta e Jean. Peccato che le informazioni rilasciate dalla stampa dell’epoca fossero davvero scarne, online non ha trovato quasi nulla. Fortunatamente è riuscito a rintracciare le famiglie delle donne che sarebbero state le protagoniste del suo film grazie all’aiuto di un amico in comune. L’artista ha avuto la possibilità di conoscere le due donne per il tramite delle figlie. Dalla sua pellicola traspare una conoscenza delle due protagoniste che possiamo addirittura definire intima. Infatti, egli ha affermato che più dialogava con le figlie delle due giornaliste e più sentiva la necessità di narrare la storia dello strangolatore di Boston dal loro punto di vista. Si sentiva obbligato a farlo poiché spinto da un vero senso di giustizia.

Dovete sapere che all’epoca dei fatti, così come il film mostra chiaramente, le due instancabili giornaliste si sono imbattute in diversi ostacoli. La loro vita da giornaliste di cronaca veniva arginata sia dalla polizia locale, che non gli consentiva facili accessi alle informazioni come invece era solita praticare con i colleghi uomini, che per mancanza di credibilità ed attendibilità associata alla figura femminile. La figura femminile all’epoca era considerata come l’immagine della purezza e dalla custode dalla dimora famigliare. Era già difficile per un uomo pensare che una donna potesse svolgere mestieri diversi da quelli che fino ad allora aveva compiuto, figuratevi immaginare due donne giornaliste in carriera con l’ambizione di risolvere un complicato caso di omicidi a Boston. 

Lo Strangolatore di Boston: qual'è la storia vera di un caso risolto 50 anni dopo

Peccato per i dissidenti ma le donne protagoniste di questa storia non si sono mai arrese e, convincendo pian piano colleghi e poliziotti, sono riuscite praticamente da sole a ricostruire i tasselli del caso fino a giungere alla sua risoluzione. Matt Ruskin in Lo strangolatore di Boston desiderava rendere protagoniste assolute le due forti donne della storia. Seguire le vicende dal loro punto di vista era essenziale per poter donare alle famiglie delle due giornaliste la giustizia che meritano e che nel corso degli anni la stampa ha sempre faticato a riconoscere. Loretta e Jean sono state volutamente sottratte del merito della risoluzione del caso, il loro aiuto non è mai approdato sotto il loro nome e con la loro firma ai grandi media dell’epoca. Lo strangolatore di Boston riesce a ripristinare le cose al loro giusto posto. 

Le donne sono quindi le grandi protagoniste della storia di Ruskin. Loretta apparentemente è una donna semplice, senza spiccate capacità da dimostrare o l’obbiettivo di una brillante carriera. Loretta McLaughlin è una giornalista del quotidiano Record-American a cui generalmente vengono assegnati articoli di recensione dedicati a piccoli elettrodomestici e strumenti o oggettistica varia della casa, non è la donna che mandano sul campo. Loretta però è un’abile osservatrice, riesce a dedurre cose prima degli altri e a collegare subiti gli indizi di una storia ingarbugliata. Così, quando vengono scoperti i corpi di tre donne anziane è Loretta McLaughlin (interpretata da Keira Knightley) la prima a pubblicare una storia che collega tra di loro i vari omicidi. Loretta giunge alla conclusione della connessione tra i casi ancor prima della polizia e dei suoi colleghi maschi. Purtroppo, i massacri non cessano e mentre il misterioso assassino miete sempre più vittime, Loretta tenta di continuare le sue indagini non più da sola ma facendosi assistere dalla collega e confidente Jean Cole, interpretata da Carrie Coon.

Come ben sappiano negli anni 60 (e in certe circostanze o luoghi di lavoro ancora oggi è così) il sessismo era dilagante e le due giovani e brillanti giornaliste si ritrovarono ostacolate dai colleghi maschi del giornale, che non le consideravano credibili o idonee a seguire il caso, e dalla polizia che si rifiutò di condividere con loro le giuste informazioni. Mi duole constatare che il sessismo tuttora resta feroce in, purtroppo, fin troppi settori e ambienti lavorativi.

Per scoprire la verità la McLaughlin e la Cole sono disposte a mettere a rischio la loro sicurezza e persino la loro vita. Sono due donne determinate, caparbie e che non si tirano indietro di fronte alle prime difficoltà. La verità è la loro priorità, anche se questa si scontra con la paternità della scoperta. In un periodo storico in cui la donna non viene riconosciuta come figura autorevole e meritevole di attenzione da parte dei media e della polizia, Loretta e Jean pensano come il serial killer (anche il termine stesso di “serial killer” non esisteva nemmeno ai tempi dei fatti narrati nel film). Le due giornaliste per riunire gli indizi e risalire al colpevole spingono le loro menti a diventare dinamiche, ad analizzare attentamente tutte le prove e a collegare tra loro gli indizi apparentemente scollegati. Solo tramite la forza incrollabile delle due donne, che temevano per loro stessa sicurezza e per quella delle altre cittadine di Boston, i puntini sparsi su un foglio bianco di un report a prima vista illeggibile sono stati collegati e l’assassino fermato.

La pellicola fonde sapientemente realtà e finzione creando un thriller true crime che lascia lo spettatore incollato allo schermo dall’inizio alla fine. Regia e fotografia non hanno nulla di speciale o nulla di nuovo ma il film non ne risente. Al caso dello strangolatore di Boston non occorrevano particolari guizzi di regia per poter essere rappresentato come si deve. L’importante era trasmettere allo spettatore l’incessante e imponente sensazione di paura e terrore. Le donne non erano al sicuro nella Boston degli anni 60 e questo doveva emergere dal film. La sceneggiatura, aiutata dalla sapiente fotografia grigia e tetra, riesce ad instillare nello spettatore quelle sensazioni di angoscia e timore costante che affliggevano le cittadine di Boston in un periodo storico in cui nessuna si sentiva al sicuro nemmeno se rintanata nelle, in teoria, confortevoli mura della propria dimora. L’omicida seriale sembra intoccabile, impercettibile e inavvicinabile. Il film riesce a costruire la tensione tipica dei thriller proprio giocando sulla presenza-assenza dell’omicida. Il non sapere di chi si tratta e il non vederlo agire genera timore e quella sensazione di impotenza generale che suscita paura e disagio. La tensione è palpabile dall’inizio alla fine, fortunatamente non crolla a metà film ma regge fino al vero finale. Il killer, per gentil concessione della sceneggiatura, non viene mai osannato, reso interessante e/o attraente. Resta un mostro dall’inizio alla fine. 

Le forza delle donne: Keira Knightley torna a casa Topolino

Lo Strangolatore di Boston: qual'è la storia vera di un caso risolto 50 anni dopo

La pellicola non è la prima a trasporre in salsa live action il caso dello strangolatore di Boston. Già nel 1968 il celebre caso di cronaca nera appariva sul grande schermo dei cinema. Il titolo era omonimo a questo, Lo strangolatore di Boston, ma i punti di vista e i protagonisti della storia sono decisamente diversi. Nel film del 1968, complice anche la vicinanza storica del girato fittizio con i reali accadimenti e quindi con la scarsa informazione della verità dei fatti, i protagonisti erano soltanto uomini: giornalisti e poliziotti, uomini ritenuti i salvatori della città ed i protettori delle donne e delle giovani ragazze di Boston.

In assoluto questa è la più grande differenza tra le due pellicole: il cambio di prospettiva. Molti fatti, molte verità cambiano a seconda degli occhi con cui le osserviamo. Il regista del nuovo film dedicato al caso dello strangolatore di Boston ha scelto consapevolmente di dare giustizia alle due figure femminili più importanti nel caso stesso. Loretta e Jean sono gli occhi dello spettatore in questo film, sono loro che si “scontrano” con l’omicida. La sfida è uomo contro donne, singolo contro squadra e violenza contro potenza della penna e della carta stampata. Sono le testimonianze raccolte da queste due forti donne a parlare, la loro capacità di osservare la scena del crimine, di ricordarla perfettamente mendiate la loro infallibile memoria a portare queste due grandi protagoniste alla risoluzione del caso. Alla distrazione dei poliziotti ad all’incuranza dei colleghi maschi Loretta e Jean rispondo con l’estrema cura che mettono nel loro lavoro, un’attenzione maniacale ai dettagli, persino alle cose potenzialmente superficiali. Nulla è irrilevante o scontato per loro. 

Keira Knightley non è più l’interprete insicura e acerba, benché utile alla pellicola, di Orgoglio e Pregiudizio o l’incerta e non troppo convita pirata di Pirati dei Caraibi. In Lo strangolatore di Boston mostra tutta la sua maturità stilistica, è espressiva e minimalista. Non vi aspettate un’interpretazione della Knightley stravagante o sopra le righe. Keira Knightley sceglie di operare in sottrazione, non cede a espressioni esagerate o eccessivamente finte. L’attrice mediante brevi cenni e movenze delicate e sottili lascia parlare il suo sguardo. Gli occhi di Keira Knightley comunicano davvero molto di più di tanti gesti inutili. La carta di Loretta parla e così la voce e lo sguardo di Keira Knightley. Dimenticate le precedenti interpretazioni dell’attrice diventata famosa per il ruolo di Elizabeth Swann nella saga Disney con protagonista il tanto controverso Johnny Depp, Pirati dei Caraibi. L’assenza dei set della Knightley le ha fatto decisamente bene. La bellezza è innegabile e apparentemente intramontabile dato che Keira Knightley non sembra invecchiata di un giorno da quando l’abbiamo vista per la prima volta al fianco di Orlando Bloom a bordo della nave più famosa della storia del cinema. La bravura e, oserei dire, la dedizione, invece, è cresciuta. 

Devo menzionavi anche la collega Carrie Coon. Anche lei sceglie uno stile interpretativo simile a quello di Keira Knightley. Non risulta mai esagerata o eccessiva, fa parlare le sue espressioni e le sue puntualissime osservazioni. Le donne del film “vinco” la battaglia della giustizia grazie alle buone maniere, alla ragione ed alla bravura che solo due giornaliste capaci e coscienti sono in grado di sviluppare e sfruttare al proprio servizio. Infondo quello che Loretta e Jean chiedevano era semplicemente di essere accolte e non rifiutate o non credute poiché donne. Ruskin da a loro lo spazio e la voce che all’epoca gli è stata sottratta restituendo i meriti a chi davvero spettano.

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70
Lo strangolatore di Boston
Recensione di Chiara Giovannini

Se conoscete la storia dello strangolatore di Boston saprete già cosa andrete a vedere e non resterete delusi. Chi invece non si è mai approcciato al caso non deve avere alcun timore: la pellicola diretta da Matt Ruskin ripercorre i fatti di cronaca nera avvenuti a Boston dal 1962 al 1964 e colma qualsiasi lacuna storica dello spettatore. Ovviamente la trama del film romanza diverse parti della storia vera. Le vere protagoniste sono le donne interpretate da Keira Knightley e Carrie Coon, due giornaliste che non si arrendono davanti e niente ed a nessuno pur di ottenere la verità, mettendo per sino a rischio la loro sicurezza e la loro vita. Keira Knightley si riconferma una buona interprete. La pellicola non brilla per originalità e innovazione ma è un discreto thriller perfetto da vedere nelle serate di pioggia.

ME GUSTA
  • La naturalezze l'interpretazione in sottrazione delle due protagoniste
  • La sensazione di tensione è costante e allarmante per tutto il film
  • La storia vera trova finalmente un corrispettivo in salsa cinematografica
FAIL
  • Non è una pellicola che brilla per regia particolare o unica
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