Si parla di greenwashing quando un’azienda pubblicizza il suo impegno per l’ambiente e la sostenibilità in modo ingannevole o esagerato, con l’obiettivo di attirare i consumatori che cercano prodotti sostenibili. Questo può includere affermazioni false o esagerate sulle pratiche sostenibili dell’azienda o sulle caratteristiche ambientali dei loro prodotti. Questo fenomeno è diffuso perché molte aziende vedono l’eco-compatibilità come un modo per aumentare le vendite e migliorare la loro immagine di marca.
Ad esempio, un’azienda potrebbe affermare che i loro prodotti sono “eco-compatibili” senza fornire prove concrete o un’azienda di combustibili fossili potrebbe pubblicizzare un piccolo investimento in energie rinnovabili come se fosse un impegno significativo per il clima. È importante per i consumatori essere informati e saper identificare il greenwashing, per evitare di essere ingannati e di sostenere aziende che non stanno effettivamente facendo abbastanza per aiutare l’ambiente.
Il lato oscuro del marketing verde
Il greenwashing è una situazione in cui un’azienda promuove un’immagine verde nonostante le sue azioni non siano realmente sostenibili o danneggino l’ambiente. Si tratta di una forma di inganno marketing dove l’azienda cerca di presentarsi come eco-friendly senza effettivamente essere impegnata nella sostenibilità ambientale. Il termine “greenwashing” è stato coniato nel 1986 da Jay Westerveld in un saggio sul multiculturalismo, che descriveva la sua esperienza in un resort alle Fiji che affermava di avere pratiche ecologiche ma che in realtà aveva solo un minimo impatto ambientale.
Questo fenomeno è molto diffuso, con un’analisi che ha mostrato che il 40% delle affermazioni di sostenibilità ambientale fatte da aziende affidabili e serie sono ingannevoli. Il greenwashing è una pratica comune nel mondo delle imprese che consiste nell’affermare di preoccuparsi dell’impatto ambientale dei loro prodotti senza effettivamente fare nulla per ridurre tale impatto. Nel 2007, la società di consulenza pubblicitaria TerraChoice Marketing ha identificato sette tipi di affermazioni fuorvianti che le aziende usano per ingannare i consumatori riguardo alla loro attenzione per l’ambiente.
Il primo tipo è il “compromesso nascosto“, in cui un’azienda descrive un prodotto come verde basandosi solo su alcuni aspetti limitati, senza considerare altri fattori importanti. Il secondo tipo è “nessuna prova”, in cui un’azienda afferma qualcosa che non può essere facilmente verificato da certificazioni affidabili di terze parti. Il terzo tipo è “vaghezza”, in cui un’azienda usa definizioni vaste o vaghe per ingannare i consumatori.
Il quarto tipo è “adorare false etichette“, in cui un’azienda dà l’impressione di avere l’approvazione di una terza parte che in realtà non esiste. Il quinto tipo è “irrilevanza”, ovvero affermazioni non importanti o inutili per i consumatori.
La responsabilità di supportare un futuro realmente sostenibile
I consumatori hanno il potere di riconoscere e combattere il greenwashing facendo scelte informate basate su fatti e non sulla pubblicità verde. È importante informarsi sull’impatto ambientale delle aziende e dei loro prodotti, e supportare quelle che hanno politiche veramente sostenibili.
Questo fenomeno inganna i consumatori facendoli credere che stanno facendo una scelta ecologica, quando in realtà non lo sono. In secondo luogo, danneggia l’ambiente, poiché le aziende che lo praticano non sono realmente impegnate a ridurre il loro impatto sull’ambiente. Supportare aziende veramente eco-compatibili è una responsabilità di tutti noi per garantire un futuro sostenibile per le generazioni future. Scegliere prodotti realmente sostenibili e informarsi sull’impatto ambientale delle aziende, sono azioni concrete che ognuno di noi può fare per aiutare a proteggere l’ambiente.
A tal proposito, per avere una letteratura consistente sull’argomento, il politico americano Ed Gillespie ha elaborato i suoi tipi di greenwashing, tra cui “immagini suggestive”, ovvero l’uso di immagini che fanno sembrare che un prodotto abbia un impatto positivo sull’ambiente quando in realtà non è così, e “gobbledygook“, che si riferisce all’uso di termini tecnici per confondere i consumatori.
Un sondaggio anonimo condotto da Google Cloud ha rilevato che due terzi dei CEO delle aziende negli Stati Uniti hanno dubitato delle iniziative di sostenibilità delle loro aziende. Molte delle più grandi aziende globali sono state accusate di greenwashing in un momento o nell’altro, tra cui Unilever, Amazon, Ikea, Nestlé, Starbucks, Coca Cola e molte altre. Nel 2018, Nestlé ha affermato che entro il 2025 tutti i suoi imballaggi sarebbero stati riciclabili o riutilizzabili al 100%. Tuttavia, le organizzazioni ambientaliste si sono chieste come avrebbe fatto la società a farlo e Greenpeace ha affermato che l’impegno di Nestlé era semplicemente un’altra forma di greenwashing.
CocaCola, il primo esempio del fenomeno greenwashing
Coca Cola è un’azienda che ha spesso utilizzato la pratica del greenwashing per presentare un’immagine verde e sostenibile della sua attività e dei suoi prodotti. Tuttavia, la sua storia è costellata di critiche per l’impatto negativo che ha sull’ambiente e la salute pubblica.
La Coca-Cola è stata classificata come il primo produttore di plastica inquinante al mondo per due anni consecutivi, secondo una ricerca effettuata dalla campagna Break Free From Plastic. Nel 2020, l’azienda è stata criticata per aver affermato che non avrebbe abbandonato le bottiglie di plastica poiché non erano gradite dai clienti. Nonostante ciò, Coca-Cola ha dichiarato di stare facendo progressi nella gestione dei propri rifiuti di plastica. Anche Starbucks è stato accusato di greenwashing quando ha lanciato un “coperchio senza cannuccia” nel 2018. Il coperchio aveva in realtà più plastica rispetto alla vecchia combinazione di coperchio e cannuccia. La società non ha contestato questo e ha dichiarato che il coperchio era realizzato in polipropilene, un tipo di plastica che Starbucks ha detto potesse essere riciclato.
Eppure, la maggior parte della plastica in tutto il mondo non viene riciclata. Anche i marchi di fast fashion sono stati accusati di greenwashing negli anni. Ad esempio, H&M ha lanciato una linea di abbigliamento “verde” chiamata “Conscious Collection” nel 2019.