Fire Emblem Engage, la recensione: più immediatezza per un ricco successo

Il quattordicesimo – senza contare i capitoli minori della saga – titolo della saga di Fire Emblem è arrivato su Switch il 20 gennaio. In questa recensione vi raccontiamo cosa ci ha lasciato Engage.

Annunciato a settembre 2022, a distanza di tre anni dalla release di Three Houses, Fire Emblem Engage è il secondo titolo della longeva saga di jRPG ad arrivare su Nintendo Switch, con l’obiettivo di continuare il percorso avviato dal suo predecessore e confermare quanto di buono fatto dalla saga in questi anni, dal 1990 fino a oggi. Con l’intenzione di snellire alcune farraginosità createsi con il precedente capitolo, Intelligent System ha messo in piedi una struttura più lineare, sia dal punto di vista narrativo che contenutistico, in favore di una immediatezza che però non sacrifica la difficoltà.

È consuetudine del mercato giapponese, tanto da averci abituato abbastanza bene, accompagnare un jRPG con una trama che possa restare negli annali delle produzioni videoludiche. Parliamo di consuetudine perché sin da quando Hironobu Sakaguchi si impuntò con Final Fantasy in quella direzione – e altri prima di lui – si è sempre puntato sul proporre delle storie intense che potessero restituire un pathos tale da diventare memorabili nel nostro cuore e nella nostra memoria. Fire Emblem Engage da questa lezione non ha imparato molto, soprattutto nel modo in cui va a costruire il pretesto narrativo di un soldato la cui amnesia improvvisa ha cancellato qualsiasi ricordo. Non c’è modo di ricordare cosa gli è successo, perché dinanzi al volto di sua madre non sia in grado di riconoscerla, né per quale motivo ha con sé un Emblema.

Venuto a convertire bestie e genti

Potrebbe rappresentare anche un aspetto affascinante da cavalcare, qualora quell’amnesia potesse dare vita a dei dialoghi pregni di empatia, di dramma. Aspetti che non si palesano, però, perché – al solito delle produzioni giapponesi che insistono su territori puerili – i dialoghi prediligono il naif piuttosto che l’epica. Il mondo di Elyos, quindi, si ritrova a dare il benvenuto al Drago Divino Alear, un eroe che ha dormito per dieci secoli e che adesso è stato risvegliato con l’obiettivo di rispedire Sombrom, il Drago Maligno, nella prigione nella quale era stato rinchiuso mille anni prima gli eventi raccontati in Engage. Alear ha dalla sua la possibilità di evocare Marth, il protagonista del primo Fire Emblem, e di sfruttarne le tecniche di combattimento per diventare l’eroe leggendario annunciato dalle scritture, quasi come un messia.

Sebbene Three Houses avesse puntato molto sulla narrativa multi-branching provando a dare al giocatore la possibilità di scegliere il proprio destino, con Engage si è spinto molto sulla linearità del canovaccio, così da poter assicurare al giocatore quell’univoca direzione che conduce all’unica conclusione possibile del conflitto bellico. Questo permetterà allo stesso Alear di vivere un classico percorso di crescita, da viaggio dell’eroe fatto e finito, che vi permetterà di ritrovarvi anche tra le mani una caratterizzazione dettagliata e coerente con quello che potrebbe succedere al momento di un risveglio durato dieci secoli e che genera un’amnesia totale. Il contraltare di tutto questo, però, è che dovrete sopportare dei dialoghi per i quali sarebbe bastato alzare l’asticella verso l’alto e avrebbero restituito quell’epica che una storia del genere avrebbe potuto mettere in piedi con maggior serietà.

Una difficoltà tarata verso l’alto

Fire Emblem Engage, dal momento che la trama lascia molto a desiderare e che offre ben pochi spunti di riflessione se non a livello macroscopico per quella che è un’offerta sempre più puerile da parte dei prodotti asiatici, si concentra molto sul gameplay. Confermata quella che è l’immancabile scacchiera sulla quale muoversi, il titolo di Intelligent System ci mette dinanzi a una complessità ridotta rispetto ai precedenti titoli, favorendo una sorta di entry level per quei giocatori che vorrebbero approcciare la saga adesso senza trovarsi spaesati dinanzi a mille feature da seguire. Questo non significa che Engage sia un titolo facile, ma solo che la stratificazione è meno complessa dei precedenti capitoli.

Partiamo da quelle che sono le condizioni che potete scegliere in partenza, legate per lo più alla difficoltà: potrete scegliere se attivare o meno la morte permanente, che vi porterà a perdere tutti quei personaggi che cadranno in battaglia, senza possibilità di riportarli in vita una volta terminato lo scontro. Una scelta coraggiosa, ma anche affascinante, che vi spingerà ad avere quel momento di riflessione molto più intenso prima di mandare allo sbaraglio un’unità. Tarato verso una difficoltà comunque non indifferente, soprattutto nel dover prevedere e calcolare il danno da contrattacco che subirete quasi sempre, Fire Emblem Engage è stata una sfida molto avvincente in molti aspetti, che ha richiesto più di una volta l’utilizzo di quell’espediente di gameplay che prende il nome di Cronogemma.

Parliamo di un manufatto che consente di riavvolgere il tempo e tornare a un turno precedente, così da evitare la morte di un combattente e fare una mossa diversa: un dono di veggenza, praticamente, che però può essere usato solo un certo numero di volte in caso di difficoltà massima, all’infinito, invece, in caso abbiate scelto di tarare la sfida a livello normale. Potrete persino decidere di riavviare l’intera battaglia, perdendo di conseguenza tutti i progressi ottenuti fino a quel momento, soprattutto in sede di punti esperienza e di aumento di livello, dinamico e pertanto ottenibile durante lo scontro: un compromesso più che accettabile per chi decide di, di fatto, caricare un salvataggio precedente e aggirare il problema.

L’anello dell’emblema

Va da sé che l’aver inserito una feature del genere è un’ammissione di onestà da parte del team di sviluppo, consapevole di averci lasciato tra le mani un prodotto davvero difficile e che richiede grande strategia e attenzione. Per il resto, il combat system non ha bisogno di grandi spiegazioni, se non per quanto riguarda proprio l’esistenza degli Emblemi, cuore pulsante di quella che è la novità proposta da Engage.

Siamo dinanzi a quelli che erano i protagonisti dei precedenti capitoli della saga, tornati in auge per poterci aiutare e supportare nei momenti più concitati della nostra battaglia: il loro ruolo è quello di conferire alle unità delle capacità che possono essere sfruttate sin da subito nell’avventura, avvantaggiando di molto gli scontri. Il loro ritrovamento è graduale e disseminato nel corso del gioco, così da poter sbloccare sempre più potenziamenti e abilità che andranno a infarcire il combat system, giovando di una caratterizzazione e di una profondità figlia del fatto che ogni personaggio aveva le proprie caratteristiche e peculiarità da sfruttare, dall’attacco fino a delle condizioni particolari da affliggere al terreno di gioco.

In totale gli Emblemi saranno dodici, mentre le sinergie da creare saranno molte di più, soprattutto perché siamo in presenza di venti livelli Legame da sbloccare per ogni Emblema e poco meno di trenta unità a disposizione per insegnare loro qualsiasi tipo di abilità derivante dai precedenti Fire Emblem. Il gioco stesso provvederà a farvi scambiare il più possibile gli anelli, così da far sì che tutti possano imparare tutte le abilità, senza che nessuna unità rimanga indietro. L’espediente, in questo caso, è costringervi a perdere, durante la progressione, Emblemi e guadagnarne degli altri, facendo poi tornare, successivamente, quelli che si sono assentati solo in maniera temporanea. Insomma, la narrativa al servizio del gameplay, come d’altronde capita spesso.

Fuga dal Somniel

Al di fuori della scacchiera, al di là del movimento libero sull’overworld, avremo a disposizione il Somniel, feature che Fire Emblem porta con sé dal precedente capitolo e che ripropone con l’obiettivo di fornire al giocatore un hub che faccia da smistamento per le successive missioni e anche di ritrovo per rinvigorire l’animo e le statistiche del party. Negli ultimi anni di hub così ne abbiamo visti tantissimi, verso la fine dell’anno scorso anche da The DioField Chronicles, con l’obiettivo di darci l’occasione di interagire con i nostri compagni di battaglia, creare delle connessioni sociali (qualcuno ha detto Persona?) e spezzare il ritmo con dei minigiochi che includono l’immancabile pesca, oramai attività preferita da parte dei giapponesi non solo nella realtà, ma anche nei videogiochi.

Ben presto vi renderete conto che l’hub di gioco non è tra le migliori proposte di Fire Emblem Engage e cercherete di ridurre – almeno per quella che è stata la nostra esperienza di gioco – sempre di più all’osso il tempo trascorso all’interno delle mura del Somniel, con l’obiettivo di tornare il prima possibile sul campo di battaglia e riprendere a misurarvi con quella sfida che rappresenta il focus dell’intera esperienza. Questo anche perché, al di là di quello stile grafico che caratterizza da sempre la serie e che rappresenta uno dei punti cardini dello sviluppo di Fire Emblem, dal punto di vista tecnico anche gli scenari riescono a restituire un buon feedback, sempre nelle proporzioni di ciò che ha da offrire l’hardware di Switch.

Una gioia per lo schermo

La modellazione 3D di tutti i personaggi, in quella che è una direzione creativa che riprende in pieno lo stile anime, è di altissimo livello. Le animazioni, allo stesso tempo, riescono a rendere il tutto molto affascinante, facendosi quasi sentire, soprattutto durante le cutscenes, dinanzi a un episodio di un anime in visione su uno schermo portatile. La stessa regia, nonostante quelle problematiche enunciate in apertura di disamina, riesce a giocare bene con i movimenti di camera, con gli zoom e con tutti gli effetti di luce che servono per esaltare quella che è, alla fine di tutto, una storia di guerra. In questo Fire Emblem Engage non ha davvero nulla da contestare o da criticare, proprio perché ci permette di essere dinanzi a qualcosa che sfrutta a pieno l’hardware a disposizione e senza cercare un fotorealismo esasperante si accontenta di cavalcare quella grafica che lo ha reso noto nel tempo.

Dal punto di vista del doppiaggio si segnala la presenza dell’inglese e del giapponese, mentre i testi sono interamente tradotti in italiano, così da permettervi di giocare eventualmente anche con l’audio mutato. Un qualcosa che, comunque, non vi consigliamo soprattutto perché vi perdereste la colonna sonora che ha il suo modo soddisfacente di accompagnarvi durante le battaglie in maniera epica, sfruttando anche la connessione tra gli Emblemi e i precedenti capitoli della saga da cui sono tratti, così da regalarvi anche quel piglio di fan service che, all’interno di una saga del genere, non guasta mai.

85
Fire Emblem Engage
Recensione di Mario Petillo

Senza alcun dubbio siamo dinanzi al miglior capitolo realizzato da Intelligent Systems per quanto riguarda Fire Emblem: abbiamo sottolineato i problemi che la narrativa ha creato alla saga, ma allo stesso tempo ci sentiamo di dire che il combat system ha delle intuizioni interessanti, soprattutto per la possibilità di combinare Emblemi e legami in maniera pressappoco infinita. La forte base dalla quale partiva Fire Emblem dal punto di vista delle battaglie è confermata e continua a essere il punto di forza, in questo caso penalizzato solo da dialoghi troppo naif e da delle ingenuità stilistiche che rallentano troppo il ritmo e vanificano l'epicità dell'intero canovaccio.

ME GUSTA
  • Gameplay immediato e funzionale
  • Fan service ben calibrato grazie agli Emblemi
  • Direzione artistica coerente e affascinante
FAIL
  • Dialoghi asfissianti in più occasioni
  • L'hub di smistamento diventa pedante nel tempo
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