Glifosato: il no per un’agricoltura più green

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Raggiungere un’agricoltura priva di fertilizzanti di origine sintetica ed erbicidi come il glifosato sembra essere possibile. In uno studio del Centro di ricerca in Scienze delle Piante della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, pubblicato sulla rivistra Agronomy for Sustainable Development, della durata di 3 anni ha valutato gli effetti della semina su un terreno non lavorato del girasole sul quale erano presenti dei residui di una coltura di copertura di veccia,  pianta erbacea comune nei prati.

La presenza di questa copertura ha consentito di proteggere il suolo riducendo la presenza di piante infestanti ed è stata in grado di fornire azoto ai girasoli. Nel caso in cui la veccia è stata devitalizzata nel periodo della fioritura con un attrezzo in grado di far appassire le piante comprimendole mentre sono ancora attaccate al suolo, si è notato che le piante infestanti sono state controllate del tutto, dando risultati comparabili, se non addirittura superiori, alle tecniche che prevedono l’uso di glifosato.

Si riteneva che il glifosato fosse indispensabile per controllare le piante infestanti, soprattutto nell’agricoltura conservativa in cui le nuove piantagioni sono coltivate sui residui di quelle vecchie.

Dal 1996, anno da cui in gran parte del mondo (Europa esclusa) sono coltivate varietà di soia, mais, cotone, colza, barbabietola ed erba medica geneticamente modificate in grado di tollerarlo, le quantità di glifosate utilizzate a livello globale sono aumentate di 15 volte. Numerose evidenze scientifiche indicano che il glifosate e i suoi prodotti di degradazione non sono così innocui come sembravano. Negli Usa e in Europa fino all’80 per cento delle persone e degli animali allevati hanno residui di glifosate nelle urine, e l’erbicida è stato inserito dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come sostanza sospettata di causare tumori.

Paolo Bàrberi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee della Scuola Superiore Sant’Anna

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