Netflix ha lanciato un progetto davvero molto interessante già da qualche tempo chiamato Parliamone. Si tratta di una tavola rotonda, che vede diverse figure confrontarsi su un tema chiave, ovvero quello della rappresentazione nei media. Un argomento che giorno dopo giorno diventa sempre più centrale e dibattuto, su cui la piattaforma ha dimostrato di avere una posizione precisa. Ne non nate diverse discussioni molto profonde, che vale la pena di recuperare.
È particolarmente azzeccato il titolo che Netflix ha scelto di dare a questo progetto. Cosa significa non vedersi mai rappresentati sullo schermo? riassume molto chiaramente il problema del nostro Paese e non solo che vuole raccontare. Per esempio l’episodio precedente si soffermava su un aspetto che è stato sottolineato e messo in evidenza per la prima volta è che nella nostra produzione non è che ci siano pochi prodotti incentrati su persone non caucasiche: non ce n’è praticamente nessuna.
Ma perché questa grande assenza sullo schermo? Le conseguenze di questa assenza sono molto numerose. Il fatto di avere dei modelli, reali o fittizi, che siano simili per background o semplicemente aspetto fisico a noi, influenza tantissimo il pubblico. Durante la tavola rotonda lo sottolinea chiaramente Sumaya Abdel Qader, quando racconta che per i primi casting di Sana otto anni fa non si è presentato praticamente nessuno.
Non è solo questione però di dare una rappresentazione a etnie, nazionalità differenti, minoranze di qualsiasi tipo ma è importante anche che questa sia positiva o quantomeno variegata.
Pregnante anche l’intervento di Haroun Fall, che cerca sempre di proporsi per parti in cui è fuori ruolo perché questo gli dà la possibilità di rappresentare qualcosa al di fuori di me. Poter rappresentare delle categorie della società che non vengono mai rappresentate perché nella nostra società siamo visto solo nei panni di migranti, ladri o stupratori…
Quanto è stato forte l’impatto del mostrare al pubblico continuamente la stessa immagine? Non siamo forse tutti condizionati da quello che abbiamo sempre visto, ascoltato e sentito dire? La questione del razzismo ha sicuramente radici varie e profonde, ma è giunta l’ora di parlarne e di trovare il bandolo della matassa.
Il Pride Month perché è a giugno?
Netflix ha deciso di fare la sua parte celebrando il mese del Pride con uno speciale episodio di Parliamone, il format YouTube di Netflix Italia che parla di rappresentazione. Dopo l’episodio di cui vi abbiamo parlato nell’introduzione, intitolato La nuova Italia, con protagonisti Sumaya Abdel Qader, Coco Rebecca Edogamhe, Haroun Fall, Beatrice Bruschi, Momoka Banana e Adrian Fartade – e Raccontare le donne per davvero – con Michela Murgia, Fumettibrutti, Madame, Ludovica Martino, Isabella Ferrari, Daniela Scattolin e Alice Urciolo – il terzo appuntamento è con È stata una serie tv a farmi capire di essere gay, un intimo confronto dedicato al tema della rappresentazione della comunità Lgbtq+ che trovate già in rete.
Ma sapete perché si celebra proprio a giugno? Perché è il mese in cui si verificarono i moti di Stonewall. Fu proprio nelle prime ore del 28 giugno 1969, infatti, quando la polizia di New York fece irruzione nello Stonewall Inn, un club gay situato nel Greenwich Village di New York. Il raid scatenò una rivolta quando la polizia trascinò brutalmente dipendenti e clienti fuori dal bar, provocando sei giorni di protesta e violenti scontri con le forze dell’ordine fuori dal bar in Christopher Street, nei pressi di Christopher Park. Così, a partire dal 1970, Brenda Howard organizzò la prima parata del Pride, dove giugno di attivisti organizzarono la marcia per la liberazione di Christopher Street.
Il coming out, la rappresentazione della comunità nei film e nelle serie tv, esperienze e condivisioni di emozioni, questo e molto altro nella tavola rotonda condotta da Pietro Turano, attore e attivista, con Michele Bravi, cantante e autore, Charlie Moon, content creator e videomaker, e Vladimir Luxuria, celebre attivista ed ex politica italiana (la prima persona transgender a essere eletta al parlamento di uno Stato europeo).
E proprio ad una citazione di Parliamone si ispira il nuovo messaggio del Marquee di Netflix a Piazza di Fontana di Trevi a Roma. Da oggi, infatti, sulla speciale affissione permanente si leggerà È stata una serie tv a farmi capire di essere gay, frase pronunciata da Pietro Turano. Il messaggio sul Marquee, il pannello retroilluminato utilizzato per raccontare le novità del mondo Netflix attraverso lo stile ed il tono di voce iconici del servizio, arriva dopo “Marcello Eccoci!”, la dichiarazione di amore per la storia cinematografica e la comunità creativa italiana lanciata in occasione dell’apertura ufficiale dell’ufficio italiano di Netflix a Roma, e O famo Stranger, ironico riferimento al film Viaggi di Nozze affisso in occasione del lancio di Stranger Things 4.
Numerosi contenuti ed interventi che celebrano la comunità Lgbtq+ vivranno durante il mese di giugno sui canali ufficiali di Netflix Instagram, Facebook, Twitter e Tik Tok. Sul servizio invece, una speciale raccolta celebrerà storie e personaggi della comunità Lgbtq+.
La discussione ha toccato tanti aspetti differenti del tema. Gli ospiti hanno avuto la possibilità di raccontare la propria esperienza in maniera diretta, parlando non solo delle difficoltà nel trovare modelli a cui ispirarsi nella cultura popolare, ma anche condividendo episodi di razzismo e discriminazione vissuti in prima persona. Storie che colpiscono, soprattutto se rapportate all’idea diffusa e riportata con puntualità da Adrian Fartade che “in Italia nessuno è razzista“. Di seguito la puntata pubblicata su YouTube:
Un’ultima lezione che possiamo raccogliere da questo video (che consigliamo caldamente di recuperare) è proprio lì nel nome del progetto. Perché Parliamone è un consiglio diretto dato da Netflix, che può essere eccezionalmente d’aiuto.
Affrontare il problema di petto, discuterne, in maniera non necessariamente conflittuale, ma che sia costruttiva, che non punti a nascondere le difficoltà sotto il tappeto, è un altro passaggio chiave nella crescita. Ascoltare le esperienze altrui, confrontarsi e scoprire le reali difficoltà ancora presenti che a volte facciamo finta di non vedere.
Se poi a tutto questo si affianca l’impegno, come quello sostenuto da Netflix stessa, nel cercare di proporre protagonisti diversi, storie nuove, racconti che forzino la routine in cui siamo immersi, si possono fare grandi passi avanti.
Una caratteristica di essere italiani di seconda generazione, raccontano gli ospiti, è quella di trovarsi a metà tra due culture e di vivere un grande conflitto per questo motivo: Momoka narra infatti di essere arrivata a vergognarsi di essere cinese per le prese in giro subite dai compagni di scuola, avendo poi imparato solo tardi invece a considerarlo come un arricchimento. Sumaya aggiunge che le persone come lei sono cresciute attraverso lo sguardo degli altri che porta a odiare le proprie radici ed è molto lunga la strada per imparare a farci pace.
Nella realtà però, ancora c’è difficoltà nell’accettare la diversità nonostante siano molti decenni che l’Italia abbia acquisito lo status di nazione multiculturale: Adrian racconta che ai posti di blocco con i suoi amici lui è sempre l’unico ad essere fermato dai carabinieri, i quali gli chiedono spesso con molta indiscrezione cosa stia facendo nel nostro paese nonostante siano vent’anni che abita e lavora in Italia.
Il nuovo format, di cui attendiamo le prossime puntate, è un’occasione interessante da parte del colosso dello streaming Netflix di sfruttare la piattaforma di YouTube per instaurare un dialogo su temi sociali importanti coinvolgendo le personalità più seguite di internet sensibilizzando un potenziale grande pubblico.