Red, la recensione: chi ha paura del panda rosso?

Red

Quanto è difficile crescere? Un quesito eterno, un evergreen che ha segnato le storie di formazione nel corso dei secoli, ci azzardiamo a dire, e che la Pixar ha cominciato a porre di nuovo al centro della sue produzioni da diversi anni a questa parte (da Inside Out probabilmente), analizzando il quesito da diversi punti di vista, cercando di riaffermare l’interesse universale e intramontabile della tematica e coniugandolo con la creatività delle sue teste pensanti. Luca ne è l’esempio perfetto. Due obiettivi sicuramente raggiunti, al netto di alti e bassi che vertono su una traduzione filmica meno efficace a seconda dei casi, soprattutto per mancanze in sceneggiatura (l’annosa questione della progressiva mancanza di un villain o di un male concreto, per esempio), contrastate da una varietà di prospettive che hanno più che sventato il rischio di una ripetizione in cui si incappa, gioco forza, quando si batte sempre sullo stesso ferro, anche quando così caldo non è più.

Nella recensione di Red, ultimo film Disney Pixar (25esimo para la lista oficial) abbiamo di fronte un alto (non altissimo come il primo titolo sopracitato) per tanti motivi, tra i quali svetta lo splendido matrimonio tra autorialità e profondità di argomentazione.

D’altronde le premesse sono straordinarie. La regista e sceneggiatrice Domee Shi, la prima donna nella storia degli Studios a dirigere un lungometraggio d’animazione, riprende un punto di vista già adottato nel suo splendido corto vincitore dell’Oscar nel 2019, Bao, e approfitta a pieno della libertà datale arricchendo la sua opera seconda di un folto comparto autobiografico e di una tecnica visiva che mischia tradizione occidentale ed orientale.

Parla di quello che sa e lo fa decidendo di usare non solo ciò che conosce, ma anche ciò che ama e che ha amato, a volte anche solo per il gusto di farlo. Impossibile non essere originali.

L’autrice trova la formula vincente per rendere il personale anche universale e farlo in modo unico, creando, si, una storia intelligente e in cui tutti si possono rispecchiare (con una preferenza ovvia per la parte femminile della platea), ma, soprattutto, concedendosi una scintilla: mettere in bella mostra ciò che di solito si vuole tenere celato.

Meilin, la ragazza casa e tempio

A Toronto vive la famiglia Lee. Un cognome non proprio canadese, non trovate? Trattasi infatti di padre, madre e figlia originari della Cina e, per di più, molto attaccati alla propria tradizione, vista come un arricchimento, non solo da difendere, ma da esportare nella comunità che li ha accolti. La mamma gestisce un tempio dedicato ai propri avi, non a caso.

A darle una mano nell’attività c’è proprio Meilin, detta Mei, una tredicenne energica, colorata, goffa, un po’ nerd e in piena pubertà. Un’età in cui si cominciano a guardare per la prima volta i maschietti, in cui si prova a fare le cose senza il consenso dei genitori e in cui si cerca la complicità del proprio gruppo di amici, magari per raggiungere obiettivi comuni, come andare al concerto della propria boyband preferita, i 4Town (c’è lo zampino di Billie Eilish e Finneas O’ Connell nella musica). Tutte cose che non si sposano benissimo con il modo con cui la piccola è stata cresciuta, stretta nella morsa di una figura materna talmente presente e protettiva da impedirle di esprimere con serenità la sua costellazione emotiva.

La soppressione però porta all’esplosione, poco ma sicuro.

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Questo accade a Mei, che, nel tentativo estremo di continuare ad essere la brava bambina casa e tempio e complici le continue intrusioni anche molto violente della madre, alla fine non riesce più a tenersi e si trasforma in un… panda rosso. Un panda rosso? Perché un panda rosso?

Perché è l’animale simbolo delle donne della sua famiglia, le quali, fin dal patto che fece una loro antenata con un “demone”, ne assumono la forma, loro malgrado, quando provano emozioni troppo forti per essere tenute sotto controllo. Fortuna che si è sperimentato un rimedio efficace per questo tipo di situazione, non vogliamo certo che la parte più selvaggia di noi venga allo scoperto.

Nel frattempo però Mei si ritroverà a dover fare i conti con le proprie emozioni e i propri cambiamenti, imparando a sue spese quanto possa essere doloroso andare contro se stessi, continuando a negarsi ciò che può spaventare.

Il panda rosso

Il più grande merito del film di Domee Shi è la caratterizzazione dei personaggi e la cura nello svisceramento delle relazioni che li legano. Red non a caso è stato letto anche come una sorta di continuazione di Bao, che infatti narra di un rapporto madre-figlia.

Il mondo che ci viene presentato è sin da subito visto con gli occhi della protagonista. Ce lo dice la palette di colori (la loro importanza la si capisce anche dal titolo), gli ambienti scelti e le tecniche di animazione, veramente un punto in comune tra due culture, in cui è possibile ritrovare sia la componente anime che le tecniche stilistiche occidentali.

Un terreno decisamente fertile sul quale far nascere e fiorire un racconto che cavalca alla perfezione la libertà d’espressione e l’aspetto autobiografico. Dalle situazioni in cui Mei scopre se stessa a quell’età così difficile al momento dei confronti materni, tutto beneficia di una veridicità figlia della capacità della regista di portare sullo schermo la sua emotività, la vera padrona della pellicola, protetta da un animalone che fa da accentratore di attenzioni e dunque anche protettore di qualsiasi sua deriva.

Di questa mancanza di freni fa le spese soprattutto il percorso della storia, la quale non riesce a rimanere sempre su dei binari riconoscibili, accusando continui cambi di marcia e toccando forse troppi punti. In conclusione, rimanendo in parte vittima del turbinio che è il mondo interiore della protagonista stessa.

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“In parte” perché anche in questa pellicola è presente lo schema base: “uscita dalla comfort zone e superamento dello scoglio (villain) per maturare e scoprire una parte nuova di sé”, ma in una versione che prova ad essere rinnovata.

Nel viaggio a tappe che separa le ragazze dal concerto simbolo dell’ingresso nel mondo adulto, Red decide di affrontare il tema dello scontro generazionale decostruendo l’illusione di una semplice collisione di due mondi, allargando la propria visione fino a mettersi più concretamente nei panni del genitore. Una denuncia della superficialità di cui si macchia la semplice divisione tra vecchio e nuovo, giusto e sbagliato. Purtroppo è proprio il suo scioglimento a risultare la parte più goffa e meno soddisfacente della pellicola, che rimane comunque un primo passo importantissimo e su cui continuare a lavorare. Linfa vitale e aria fresca.

Red è disponibile su Disney+ dall’11 marzo 2022.

75
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Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Red è il 25esimo lungometraggio firmato Pixar e il primo della storia degli studios ad essere scritto e diretto da una donna, tale Domee Shi, regista cinocanadese vincitrice dell'Oscar nel 2019 per il suo corto Bao, precursore di questo suo nuovo lavoro, data la presenza del rapporto madre - figlia. Si tratta di un altro coming of age, come da uso del gigante dell'animazione da anni a questa parte, fortemente autobiografico e caratterizzato da una importante libertà autoriale. Un lavoro dalle premesse molto potenti in cui si sviscerano le tematiche inerenti all'accettazione del proprio cambiamento nel momento della pubertà e l'inevitabile scontro con il nido, ribaltando anche la prospettiva durante il percorso. Al netto di qualche imperfezione della gestione dei tempi della storia e di un esito non perfettamente appagante, il film segna, anche dal punto di vista stilistico, un primo passo importantissimo per il futuro dell'animazione. Si è certi si continuerà a percorrere questa strada.

ME GUSTA
  • La costruzione dei personaggi, le loro relazioni e il mondo della storia.
  • La coniugazione di creatività e componente autobiografica.
  • Lo stile che guarda alla sapiente unione di tante tecniche di animazione.
  • Le novità di questo nuovo percorso autoriale, fresco, potente e originale.
FAIL
  • Dei momenti goffi nella gestione della storia, specialmente il ritmo.
  • La voglia di toccare troppi temi.
  • L'esito della vicenda potrebbe non soddisfare a pieno.
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