Finalmente il nuovo film di Guillermo Del Toro arriva in sala, sebbene il periodo – nuovamente – non sia dei migliori e le sale facciano fatica ad andare avanti. Ma con questa recensione di La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, mi auguro davvero di riuscire ad instillare in voi un po’ di curiosità, quella necessaria a farvi alzare dalla sedia ed andare al cinema perché, ve lo dico, non andare in sala a vedere questo gioiello sarebbe davvero, davvero una follia.
Guillermo Del Toro si innamora del libro di William Lindsay Gresham, appunto Nightmare Alley, da cui era stato già tratto un film nel 1947. Per chi ha letto il libro (consigliatissimo, edito in italia da Sellerio) e conosce un minimo il cinema di Del Toro, è facile capire cosa abbia indotto il regista messicano a portare sul grande schermo questa storia.
Tra le tante cose, prendendo un po’ in prestito anche dal suo vissuto, e da un’abbondante uso della fantasia, Gresham scrive un vero e proprio trattato sulla psicologia umana, sulla dualità dell’essere umano, terrorizzato dai mostri senza realmente comprendere che, spesso e volentieri, il vero mostro è proprio lui.
Cosa definisce un mostro? Cosa un essere umano?
Guillermo Del Toro sembra quasi essere ossessionato da questa domanda e dalla cinematografia, letteratura, cultura pop che ha messo spesso e volentieri questo quesito, vero e proprio archetipo, al centro della narrazione. Ma mentre Gresham approfondisce la cosa e va ben oltre, discendendo in maniera analitica nella viscere della mente umana, estrapolando dai suoi personaggi veri e propri traumi e complessi, ritornando indietro nel passato, facendo a pezzi la mente, decostruendo la metropoli, la ferocia delle strade e mostrando con il circo e le sue inquietanti meraviglie, un posto sicuro, Guillermo Del Toro preferisce restare in “comfort zone”.
In La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley vengono esaltate le atmosfere, le ambientazioni e scenografie sono una vera e propria gioia per gli occhi, la luce gioca sui volti dei personaggi con i toni freddi e glaciali, esaltando poi picchi più passionali, come il rosso, esattamente come veniva fatto in Crimson Peak e in The Shape of Water. L’innocenza e la perversione di mescolano in quello che è un vero e proprio trip allucinato, un viaggio tra omaggio e discesa nelle tenebre.
A differenza delle pellicole precedenti dove il gusto della favola gotica aveva sempre un ruolo predominante, in questo film Guillermo Del Toro preferisce usare dei toni più maturi, un po’ a discapito di quell’innocenza che, invece, riesce sempre a creare quella giusta compensazione tra un mondo malato, marcio, capace di generare mostri fatti di carne ed ossa, privi di zanne o squame, ali o artigli. Qui il personaggio perfetto che potesse fungere dall’Elisa (The Shape of Water) o Ofelia (Il labirinto del Fauno) della situazione c’era, e nel romanzo originale viene descritto e caratterizzato anche molto molto bene, ma qualcosa non convince del tutto nella resa della trasposizione. Lo vedremo a breve.
La scelta, per quanto comunque ammorbidita da una prima parte completamente ambientata all’interno del circo, dove dominano le atmosfere più sospese e oniriche, viene giustificata dallo stampo della pellicola squisitamente noir.
In questo senso Del Toro non solo è fedele alla matrice principale del romanzo da cui il suo nuovo film è tratto, ma porta ancora una volta avanti il suo grande amore per il cinema regalandoci una vera e propria lezione sul cinema di genere, sul cinema noir degli anni ’40 e sulla sua evoluzione nel tempo quando, dalla fine degli anni ’50 in poi, i registi hanno cominciato a scardinarlo, contaminarlo e reinventarlo.
Guillermo Del Toro fa suoi i temi di Gresham nei quali si riconosce di più, mettendo però da parte tutto il resto. Del resto, Nightmare Alley non è esattamente un testo semplice da adattare, molto introspettivo, con una prima parte estremamente dilatata. Un romanzo che gioca molto con la psicologia dei personaggi, con il loro passato, i segreti sotto al tappeto e che spinge il lettore ad una riflessione molto profonda ed intimista. I tagli erano necessari, così come le scelte. Fermo restando che alcune scelte, come vedremo tra poco, potevano forse essere gestite meglio, Del Toro confeziona un film davvero meraviglioso, nonostante non arrivi ai fasti de Il Labirinto del Fauno o del più recente The Shape of Water. Un film che forse un po’ di amaro in bocca lascerà ai lettori, ma che oggettivamente, nella sua forma finale, è un prodotto estremamente piacevole ed appassionante.
La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, una storia sospesa nel tempo
Addentriamoci meglio in questa nostra recensione di La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley e cominciamo dal principio di questa storia: Stanton Carlisle (Bradley Cooper). Stan si ritrova “quasi per caso” nel circo dell’impresario Clem Hoatley (Willem Dafoe), scappando da chissà quale segreto, dove tra “mangiabestie”, donne elettriche, uomini forzuti e cartomanti, verrà assorbito da un mondo vorticante e magico.
I tendoni del circo e del villaggio degli artisti è impregnato di un’atmosfera inquietante ma, al tempo stesso, si respira l’odore di casa, di comprensione. Un posto sicuro dove ogni possibile stranezza è la pura e sola normalità, e ciò che conta è il talento, quello dell’illusione.
Come vedremo nel corso della visione, la particolarità di questa pellicola è quella di essere quasi due film in uno, mantenendo però la coerenza di un’unica e sola narrazione.
Questa è sicuramente la parte più giocosa, brillante e magica. Il mondo del circo ha sempre qualcosa di estremamente suggestivo e, recentemente, lo abbiamo visto proprio con il Freaks Out di Gabriele Mainetti.
L’estro di Guillermo Del Toro trova la sua massima espressione proprio qui. Dalle ambientazioni ai costumi, passando per i props, tutto in questa porzione di film sembra essere un parco giochi. Un continuo omaggio ai mostri degli anni ’30, ai freaks di Browning, a quel mondo più gotico e horror da cui lo stesso Del Toro deriva proprio come progettista e makeup artist.
Si ha quasi voglia di mettere piede nel circo di Mr. Hoatley ma, al tempo stesso, starci molto molto lontani. Quali altri segreti potrebbe nascondere questo circo? Quali sono i veri abomini che, sotto ad una maschera, sono pronti a turbare i nostri sogni?
Tornando alla storia principale, grazie a Zeena (Toni Collette), una delle prime figure cardine femminili della vita di Stan che sembra quasi ricercare in ognuna di esse un ricordo perso nel tempo, e al compagno Pete (David Strathairn), Stan viene introdotto sulla strada del misticismo, della cartomanzia e del mentalismo. Ma cosa c’è di vero in questo numero? Qual è il trucco? E la vita tra i tendoni di un circo ad un uomo come Stan, può davvero bastare?
Il carisma, la furbizia e una buona parlantina, convincono Stan di poter andare oltre, molto oltre. Ed infatti le carte in regola ci sono tutte, sebbene i tarocchi di Zeena chiedono di andarci piani, non pretendere più di quanto ci è concesso. Ma La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley è anche un film sul delirio di onnipotenza dell’essere umano, sulla corruzione dell’anima, sull’avidità ed ingordigia che ci spingono oltre il limite. E se nelle “mura” sicure di un circo possiamo davvero sentirci i padroni del mondo, forse nella giungla metropolitana non è esattamente così.
In bilico tra realtà ed illusione: i veri mostri siamo noi
La seconda parte di La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley è quella che acquista il tono più maturo, forse quello più sorprendete e malato. La pellicola entra nella sua anima da noir cupo e grottesco, portandoci nell’illusione che Stan ha creato per se stesso. Una brillante gabbia di numeri impressionanti, letture nel pensiero e crudeli giochi con l’emozioni altrui.
Il mentalismo può essere assai pericoloso, soprattutto quando lo si adopera con le persone sbagliate. Gli uomini e le donne della città non sono i gretti ed ignoranti gozzi con cui Stan, o Zeena, hanno sempre avuto a che fare nel circo. La metropoli è qualcosa di molto diversa e restare intrappolati nella propria rete è più facile di quanto si possa pensare.
Se il circo ci ha divertito e inquietato con i suoi “strani scherzi della natura”, le cose in città non sono da meno. Anzi, entriamo nel vivo della tematica, di quel focus che porta mostri ed esseri umani sullo stesso piano. Non era proprio Frankenstein ad insegnarci tutto questo? La folla inferocita, armata di forconi e tizzoni ardenti guizzanti scintille, che urla al “mostro, mostro, mostro” contro quella creatura così grottesca, ma al tempo stesso innocente, completamente priva di difese, privata del tempo necessario per adattarsi alla realtà in cui è stata violentemente sbattuta, non è forse il vero mostro della storia?
Nella pellicola di Whale del 1931, è proprio “il mostro” a sottolineare chi siano i veri mostri, ma non solo. Frankenstein fa qualcosa di ancora più rivoluzionario, anticipatore dei tempi: Frankenstein diviene mostro solo perché è la società a volere un mostro. Cosa può nascere, del resto, da una società malata, perversa, già mostruosa di suo, se non altri mostri? E non è forse la base di grandi pellicole come Non Aprite Quella Porta di Hopper o Halloween di Carpententer?
Il male è un punto di vista ed è molto più banale di quello che sembra. I mostri, quelli veri, come visto prima, non hanno bisogno di caratteristiche fisiche particolari per essere definiti tali. Non vivono sotto al letto. Non si nascondono nell’armadio. Ma sono uomini. Sono donne. Addirittura bambini. Vivono alla porta accanto o sotto il nostro stesso tetto o… siamo direttamente noi.
E come stiamo vedendo in questa recensione di La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, Guillermo Del Toro riesce ad esprimere tutto questo e molto di più. Una vera e propria lezione di cinema, e amore per il cinema stesso, che prende una larga fetta di storia. Dall’horror al noir, passando per la favola e per le tematiche universali, per la contaminazione e il desiderio, la voglia, il bisogno di creare qualcosa di veramente grandioso per il grande schermo. Curato nel dettaglio. Minuzioso. Accattivante. E al tempo stesso mostruoso. Del resto, lo stesso genere noir era stato designato come successore dell’espressionismo tedesco (e in questo film, qualcosa di Fritz Lang riuscirete a trovarla).
Il raggiungimento di questo risultato della messa in scena è dato sia grazie alla storia che ai suoi personaggi, nonché alla magnetica e riconoscibile fotografia di Dan Laustsen, amico fidato del regista messicano. I toni acquosi, i colori freddi e il vermiglio che risplende è qualcosa che abbiamo già visto in pellicole come Crimson Peak e The Shape of Water. Qui si fa ancora più intenso, diventando quasi lama affilata che squarcia di netto i personaggi, ne fa emergere la loro vera essenza, salvandone ben pochi.
La fotografia ci fa entrare completamente nella dimensione del noir, ma anche in quella dell’onirico, quasi come se fossimo intrappolati in una sfera di neve. Se nella prima parte, Laustsen riserva al circo colori più caldi, penetranti ed avvolgenti; la freddezza del noir, il verde e l’azzurro, le ombre che giocano sui volti, allungano le forme ed i palazzi. Rendono i corridoi infiniti. Le strade ancora più insicure. Danno vita alle paure.
Un vero e proprio dipinto in movimento. Estatico. Totalizzante.
Le donne di Nightmare Alley: la madre, la bambina, l’amante
In dirittura d’arrivo di questa recensione di La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, arriviamo un po’ al punto dolente. Dopo aver tessuto le lodi di questo meraviglioso film, è giusto anche tirare un po’ le fila di ciò che non ha esattamente funzionato per il verso giusto.
Partiamo dal presupposto che, come diciamo sempre, ciò che funziona su carta deve essere trasposto per funzionare anche su immagini filmiche. Per quanto un andare oltre la superficie del romanzo avrebbe dato un gusto ancora più tridimensionale alla pellicola di Guillermo Del Toro, il risultato finale ci ha soddisfatto.
Del Toro parla dei temi a lui più cari, gioca con le atmosfere create dallo stesso autore e le fa completamente sue, regalandoci una pellicola che – nonostante non sia tra i suoi capolavori, ma forse il suo lavoro più ambizioso si – va ben oltre il film, ma diventa vero e proprio manifesto cinefilo.
Non tutto però funziona così bene, nonostante la grande interpretazioni delle sue protagoniste. Proprio perché Del Toro sceglie di adoperare alcuni tagli, tagli che riguardano la stessa caratterizzazione dei personaggi, in primis lo stesso di Bradley Cooper – che ci regala la miglior performance di tutto il film – i personaggi femminili risultano abbozzati, monchi, non del tutto interessanti.
Si, ovvio che la Lilith di Cate Blanchett è la classica femme fatale tanto sensuale quanto letale, un personaggio che per la sua bellezza e fascino difficilmente si può dimenticare, ma manca qualcosa. Lilith compare e poi scompare, poi ritorna, poi ci da battute che sembrano presupporre scene che non abbiamo effettivamente visto. Come del resto capita alle stesse Toni Collette e Rooney Mara con le rispettive Zeena e Molly, Lilith è un personaggio volante che assume quella brutta, brutta, brutta connotazione del personaggio di… funzione.
Lilith deve scatenare una macchina. Lilith, di nome e di fatto, serve affinché Stan possa commettere quel passo che lo porti oltre, quell’oltre dal quale non si può davvero tornare indietro. È come se mancasse qualcosa. Qualcosa che resta in sospeso e ci lascia con l’amaro in bocca, non sentendoci pienamente soddisfatti da un personaggio che poteva, doveva, dare di più.
Sorte non diversa quella di Zeena. Zeena dovrebbe essere la mentore di Stan. Una figura femminile sicura, la spalla su cui piangere e farsi coccolare come si potrebbe fare con una madre; l’amante dalla quale tornare dopo una giornata pesante; la sicurezza di una matrona che porta sulle sue spalle il peso del mondo senza mai perdere davvero il sorriso. Saggia. Fiera. Dolce. Anche qui, un personaggio che però non va oltre la sua bozza nonostante l’interpretazione della Collette di cui possiamo godere veramente poco.
E poi abbiamo Molly… Grandissima delusione per come questo personaggio è stato trattato. Molly è la donna bambina. L’innocenza incarnata (ricordate il discorso di prima?) che può essere balsamo e al tempo stesso specchio delle proprie colpe. Bloccata lei stessa nei suoi traumi, nelle sue dipendenze affettive e nel bisogno di sentirsi protetta da una figura che sia padre, fratello, compagno; Molly è l’esatto opposto di Stan e, proprio per questo, l’uno è irrimediabilmente attratto dall’altra. Cosa abbiamo di tutto questo dal personaggio di Rooney Mara? Nulla. Figura evanescente che a stento lascia traccia, se non per l’esaltazione in immagine data dalla regia e dalla fotografia.
Questi tre meravigliosi personaggi sono solo la bozza di quello che sarebbero dovuti essere. Fondamentali per l’arco di sviluppo di Stan che si, arriva comunque a suo compimento, ma senza raggiungere la vera perfezione, forzando un po’ la mano e dando per scontato troppo.
Un breve accenno al complesso di Edipo che, invece, sarebbe dovuto essere altro tema cardine di questa pellicola e dare spessore diverso ai personaggi, alle loro azioni, ai loro pensieri. Alle loro illusioni. Ed è un peccato perché la troncatura, la mancanza di caratterizzazione, di approfondimento, di spazio, purtroppo si sente.
Nonostante questo, arrivati ormai alla fine di questa analisi sul nuovo film di Del Toro, non si può non amare una pellicola come La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley. Dalla regia alla fotografia, dai toni alle atmosfere, dalla narrazione a perdifiato che ci lascia un finale perfetto, giusto e che brucia in petto e fa riflettere.
Una pellicola che è una vera e propria gioia per gli occhi. Una lezione di cinema. Una lettera d’amore per la settima arte che si tramuta in un viaggio cupo, angosciante e perverso tra sogni ed incubi, speranze ed illusioni, uomini e mostri.
La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley vi aspetta in sala dal 27 Gennaio
La Fiera delle Illusioni - Nightmare Alley non è esattamente la trasposizione che qualche lettore potrebbe aspettarsi e non è neanche la miglior opera firmata da Guillermo Del Toro, ma è un film meraviglioso, una vera gioia per gli occhi. Un carosello di emozioni differenti tra magia, mistero, angoscia e paura. Un ritmo che sa trascinare fino alle fine, arrancando leggermente nella parte centrale ma senza distrarre troppo. Lo sconfinato amore per il cinema da parte di Del Toro esce ancora una volta in questo film, giocando con atmosfere in bilico tra l'incubo e il sogno, esaltate da una fotografia che scava dentro l'animo dei personaggi per far emergere la loro parte più mostruosa. Un cast eccezionale che, nonostante qualche imperfezione di caratterizzazione, sa essere coinvolgente e magnetico dall'inizio alla fine.
- La cura maniacale per i dettagli, le ambientazioni, i prop, i costumi in questo film trova una delle sue massime espressioni da parte di Guillermo Del Toro. Una gioia degli occhi.
- L'atmosfera è coinvolgente, trasportando immediatamente lo spettatore in bilico tra un film noir anni '40 e una visione onirica ad occhi aperti
- L'inconfondibile fotografia di Dan Laustsen che gioca con i colori freddi, i toni spettrali e i tocchi di colore che squarciano letteralmente lo schermo.
- Bradley Cooper è uno Stanton Carlisle eccezionale, oltre a dare ennesima prova di grande bravura e professionalità
- Nonostante la lunghezza, il film sa essere scorrevole e poco appesantita, coinvolgendo in una prima parte più circense per poi stupire con un cambio tono e diventare un tipico film noir
- Guillermo Del Toro si innamora dell'atmosfera e del concetto uomo-bestia, tema a lui molto caro, all'interno del libro, riuscendo a far emergere tutto ciò con una regia e sceneggiatura ispirata che non solo ne esalta le atmosfere ma celebra, ancora una volta, l'amore per il grande cinema
- I personaggi femminili, in particolar modo quello di Molly e Lilith, rimangono in superficie, dando la sensazione di monodimensionalità e poco approfondimento
- Rispetto alle tematiche del romanzo, il film raschia un po' troppo la superficie, portando a galla solo uno dei vari temi esistenziali che avrebbe potuto sviscerare
- Si ha la sensazione che più di qualcosa sia stato tagliato nel montaggio complessivo