Freaks Out, la recensione: la rivincita dei freak, tra neorealismo e pop culture

recensione di Freaks Out

Lo abbiamo aspettato. Lo abbiamo perfino immaginato. Ci eravamo anche illusi di poterlo già vedere a Natale 2020 ma, per cause di forze maggiore, così non è stato. Eppure non abbiamo mai smesso di crederci. Non abbiamo mai smesso di sperare, aspettare e credere nella forza, nella genialità e nel grande, grandissimo cuore nerd di Gabriele Mainetti.

Oggi, direttamente dalla Mostra del Cinema di Venezia, dal Concorso Ufficiale, con questa recensione di Freaks Out non solo posso dire che sì, questo film esiste, esiste eccome; ma posso anche dire che ne è valsa la pena tutta questa sofferente attesa. Ne è valsa davvero la pena!

Dopo la meraviglia e sorpresa con Lo Chiamavano Jeeg Robot, un’opera completamente diversa dal solito stantio cinema italiano. Un’opera che arrivò a segnare un momento di grande rivoluzione per il cinema italiano e che diede un bellissimo schiaffo in faccia a tutti quelli che non credevano possibile che un film del genere potesse essere fatto in Italia, da un regista italiano, da due sceneggiatori italiani e da attori italiani.

Ed, invece, se Jeeg Robot ad una produzione arenata su se stessa ha urlato in faccia che delle storie nuove, fresche e audaci si possono fare; oggi con Freaks Out Gabriele Mainetti va oltre ogni limite. Firma una pellicola gigante, fatta da personaggi alla ricerca del proprio posto nel mondo ma con un cuore grande, grandissimo.

Una pellicola che ritrae un periodo storico complesso e doloroso nella memoria di tutti noi e che parla del diverso, dell’emarginato, dell’anomalia che crea l’allarme e sfocia nell’odio e disprezzo, violenza e morte; ma, al tempo stesso, è proprio quell’anomalia che crea aggregazione, fa gruppo, fa famiglia e fa sì che perfino uno sgangherato gruppo di circensi può arrivare a cambiare le sorti del mondo.

recensione di Freaks Out

Certo, sarebbe stato bello se Matilde, Fulvio, Cencio, Mario ed Israel fossero esistiti davvero. Se i partigiani sporchi, storpi e “cattivi” de Il Gobbo (Max Mazzotto) avessero avuto catapulte e cannoni, ingegnosi accampamenti e la follia di credere che in un potere superiore usato a fin di bene.

Si, perché Freaks Out, nella sua essenza un po’ al Il Mago di Oz che incontra De Sica e Rossellini, nella sua fotografia neorealista ma che prende in prestito dal grande cinema di Spielberg e poi infarcisce le grandi scenografie e location di piccoli ed articolati easter egg che rendono il film ancora più gustoso, ancora più maniacalmente ricercato nel suo desiderio di rivolgersi ad un gruppo di appassionati, di “diversi”, di freaks, è anche un po’ un “what if…”.

L’opera di Mainetti è molto ambiziosa, lavorata, complessa. Si sente tanto la fatica, le ferite e la gestazione complicata, ma al tempo stesso si sente la soddisfazione, il cuore e la mente di Mainetti – così come le idee, i riferimenti e la grande scrittura di Nicola Guaglianone – che si rivolge al popolo con un’opera popolare che arriva a tutti, che parla a tutti e unisce. Unisce in sala e urla di essere visto in sala. In ogni suo effetto, ogni suo sforzo tecnico che arriva direttamente ad attingere dai grandi “film di cassetta” americani.

Non c’è solo azione, non c’è solo un carosello di personaggi che restano nel cuore, che si sviluppano e che offrono molteplici spunti di riflessione; è anche un film che prova a restituire un certo tipo di memoria storica. Prova a rendere giustizia ad un popolo perseguitato, studiando, documentando e riportando il dolore di un’intera comunità, lavorando anche sul linguaggio, sui cognomi, sugli scenari.

È un film che parla, parla tanto e parla a tutti. Un film che emoziona e che esplode in un compartimento di effetti speciali, di rappresentazione scenica e grandi sequenze adrenaliniche che nulla hanno da invidiare ai blockbuster più canonici.

recensione di Freaks Out

Probabilmente, a differenza di Jeeg Robot, Freaks Out non è il film roboante, bizzarro e completamente folle che ci aspettavamo. Non si forgia di quell’originalità più unica che rara del suo predecessore, ma in fondo non ne ha bisogno.

Mainetti ci ha già largamente dimostrato di essere un grande regista. Freaks Out è “solo” la conferma che sognare in grande, sebbene con tutte le complicazioni del caso e di un’industria cinematografica italiana che deve ancora oleare bene i suoi ingranaggi e credere, credere, credere ancora di più in un cinema diverso e dal respiro internazionale, è necessario.

E adesso, perdonatemi se sbrodolerò un po’, ma c’è bisogno di parlare, parlare tanto di questo film. Nessun spoiler, state pure tranquilli, ma se non avete voglia di approfondire troppo in questa sede, ci rivediamo su questa pagina il 28 Ottobre.

Benvenuti al Circo Mezzapiotta

recensione di Freaks Out

Nella Roma del 1943, un gruppo di strampalati, ma più speciali di quanto possano immaginare, artisti di strada viene privato del suo umile ma magico circo a causa dei bombardamenti. Israel (Giorgio Tirabassi) con i suoi freaks, ovvero Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio (Pietro Castellitto), Matilde (Aurora Giovinazzo) e Mario (Giancarlo Martini), sono costretti a pensare a qualcosa di nuovo, di diverso. Magari fuori dal circo. Fuori dall’Italia.

Non tutti sembrano essere d’accordo. Non tutti vivono la loro diversità nello stesso modo. C’è chi non si sente speciale. Chi sente di essere nato addosso con una condanna, una maledizione. Chi, invece, si reputa un mostro privo di valore al di fuori del circo. Ed è questo che provocherà una profonda frattura nel gruppo che dovrà perdersi per potersi ritrovare, affrontando quello che sarà un vero e proprio percorso personale e collettivo, di accettazione e liberazione dal preconcetto, dallo stereotipo, dal limite imposto e che diviene regola. Ma cosa ci rende normali? Cosa ci rende diversi? O speciali? O mostri?

È proprio da qui che inizia il viaggio. Un viaggio alla ricerca di sé stessi, alla ricerca di una famiglia, del perdono, dell’accettazione. Un viaggio che ha come centro di tutto Matilde e lei, a sua volta, al suo centro ha un fuoco che arde, che è pronto ad esplodere e lo fa con una potenza sonora, una potenza magnetica capace di coinvolgerci e sorprenderci fin dal primo istante.

Collante di una famiglia sgangherata di grandi uomini. Esseri davvero straordinari ma che hanno solo bisogno che qualcuno creda in loro, ancora una volta, ancora con più forza.

Gabriele Mainetti mette in scena un carosello di personaggi che sa esattamente come arrivare al cuore, come stregare e appassionare, a tal punto che se ne vorrebbe ancora di più. Se da una parte abbiamo una prima grande e strabiliante interpretazione di Aurora Giovinazzo, la quale brucia come una vera e propria Khaleesi (ma decisamente più brava) ma incarna in sé la purezza, la dolcezza, l’innocenza di un’infanzia rubata ma che si aggrappa con le unghie e con i denti, con gli occhi pieni di lacrime e le mani strette a pugno fino a far diventare bianche le nocche, agli attimi di breve felicità con quella che per lei è una vera e propria famiglia; dall’altra parte abbiamo il Fulvio di Santamaria, il Cencio di Castellitto e il Mario di Martini.

recensione di Freaks Out

Fulvio riassume la sintesi perfetta che si fa male a giudicare dall’apparenza. Dall’aspetto mostruoso, Fulvio è un uomo ricco di cultura, fascino ed intelligenza. Un po’ Rodolfo Valentino e un po’ Lon Chaney che sa come giocare con la sua duplice natura, ma che al tempo stesso è vittima del giudizio, delle apparenze, di quel manto di peli che fa di lui solo un mostro. Un’attrazione da circo e nulla più.

Cencio è il chiacchierone del gruppo. Veloce e sottile un po’ come gli insetti che sa comandare. Sempre con la battuta pronta, l’ironia un po’ sciocca e che porta alla risata che parte dalla pancia. Cambia un po’ come cambia il vento, ma in realtà solo perché ha paura di restare solo, come tutti. Pietro Castellitto detta il ritmo di molti dei dialoghi del film di gruppo. Sa entrare al momento giusto, smorzare i momenti di più grande tensione. Le sue battute sono già cult e, in un certo qual senso, pur incarnando un personaggio positivo e differente, è l’erede di Marinelli e del suo Zingaro.

Io comando tutti gli insetti. Tranne le api. Le api me stanno po po sur cazzo.

 

E poi c’è Mario (Giancarlo Martini) con la sua bontà, la sua ingenuità. Il suo essere docile ed ingenuo, eppure sempre pronto a battersi, a sacrificarsi, a cercare di far restare unito il gruppo. Un po’ grottesco, un po’ mattacchione e goliardico e al tempo stesso un vero e proprio bambino.

Non propriamente i circensi di Tod Browning, ma più una sottospecie di “guardiani della galassia in salsa neorealista”, che si muovono in una Roma non Roma, tra campagne, boschi e tendoni da circo. Segrete, laboratori e anche treni. Scoprono e scopriamo abilità mai viste mentre il film esplode in grandi esplosioni (perdonate il gioco di parole), scene d’azione che difficilmente il nostro cinema italiano ha avuto la capacità di realizzare.

lo chiamavano jeeg robot primo poster del film

Genio e follia: la nascita di un nuovo grande villain

recensione di Freaks Out

In una Roma assediata dai nazisti, fulcro della movida diventa il Zircus Berlin del tedesco Franz, un geniale pianista a sei dita alla disperata ricerca di quattro esseri straordinari che lo aiuteranno a far dominare il Nazismo su tutto il mondo e diventare in questo modo degno del rispetto, della fiducia e, soprattutto, dell’attenzione di Adolf Hitler.

Franz nasconde però un segreto. Non è, in fondo, troppo lontano dai nostri protagonisti. Anche lui è un freaks, un diverso, un emarginato. Mai preso sul serio tanto per il suo aspetto quanto per le sue folli idee. Eppure Franz ha una visione, una visione verso il futuro. La sua scrittura è suggestiva e geniale. Le intuizione di Mainetti e Guaglianone fanno rizzare i peli sulle braccia, rendendo il personaggio di Franz ancora più vicino a noi.

In bilico tra Il fantasma dell’Opera di Leroux e il Rotwang di Fritz Lang in Metropolis, Franz è un personaggio ambiguo che ha tanto in comune con i protagonisti di questo film.

Oltre a Matilda a rapire il cuore dello spettatore c’è lui. Carismatico e affascinante, eppure fragile, disperato. È proprio la sua disperazione, solitudine e dolore a portarlo a consumarsi, immolarsi verso la parte più malvagia dell’essere umano. L’arco di sviluppo ed evoluzione di Franz coincide un po’ con quello di Matilde, ma in modo diverso.

La sua fame di essere accolto, compreso ed accettato, un’accettazione che in primis non arriva da se stesso, sfocia nel più completo delirio che lo porta sulla strada di un non ritorno, regolandoci ancora una volta un cattivo davvero interessante, approfondito e sfaccettato.

Aggiungiamoci un grande interprete che incarna perfettamente le diversità, il disagio, la disperazione e la genialità di un personaggio di questo genere. Franz Rogowski sembra essere un novello Joaquin Phoenix, ed è incredibile quanto lui ed il suo protagonista si fondano alla perfezione.

Che cos’è un Freak?

recensione di Freaks Out

L’accettazione, del resto, è un tema assai caro a Gabriele Mainetti che già con Lo Chiamavano Jeeg Robot e il suo antieroe Enzo Ceccotti, o lo stesso villain de Lo Zingaro, aveva provato ad esplorare quelle corde nascoste dell’animo umano, quelle più recondite, quelle che ci costringono a fare prima pace con noi stessi e poi con il mondo che ci circonda.

Così come stiamo vedendo in questa recensione di Freaks Out, esattamente come il grande Freaks di Tod Browning del 1932, Mainetti porta avanti la tematica del diverso, del mostro, del freak, e la esalta all’ennesima potenza.

La pellicola è ricca di freak, alcuni più di altri, al di là della loro indole buona o cattiva. Il freak può essere l’uomo lupo così come una ragazzina che non crede abbastanza in se stessa, o ancora un partigiano con una gamba di legno o un genio incompreso con sei dita che vorrebbe aspirare alla gloria eterna ma che ancora non ha fatto i conti con la sua reale natura.

Accettare la parte più profonda di sé vuol dire accettare la parte di sè più oscura. Questo è un tema universale che va ben oltre qualsiasi caratteristica estetica.

Del resto uno dei topos più amati dalla storia del cinema è proprio quello di interrogarsi su cosa sia davvero un mostro. Deve possedere determinate caratteristiche mostruose (zanne, corna, squame…) o, come ci ha insegnato il maestro Carpenter nell’Halloween del 1978, potrebbe perfino essere un bambino?

Tra i molti temi affrontati da Freaks Out, quello della diversità ed accettazione parte proprio da questo, dal distinguere i veri mostri e non fidarsi mai delle apparenze. Uscire dallo schema fisso, dal ragionamento a compartimenti stagni. Accettare e accettarsi, senza fidarsi delle buone apparenze o diffidare di ciò che ci sembra anticonvenzionale.

recensione di Freaks Out

Io senza circo sono solo un mostro.

Inoltre il film, assieme all’arco narrativo dei nostri personaggi e l’avventura che andranno ad intraprendere, superando ostacoli e affrontando sfide – ricalcando i passaggi del viaggio dell’eroe di Vogler – impareranno anche a dare valore alla loro persona, alla loro essenza, superando anche l’etichetta del freak.

Matilde, Fulvio, Cencio, Mario ed anche Israel sono fortemente convinti di avere uno scopo solo tra le tende di un circo, loro casa da sempre, ma sarà il viaggio a spingerli a prendere piena consapevolezza di se stessi, delle loro potenzialità e capacità. L’essenza di un uomo, di una donna, di una persona non risiede nelle sue caratteristiche, o almeno non solo in quello; esistendo all’interno di ognuno di noi.

Comprenderla ed accettarla è il primo passo verso la liberazione, verso la realizzazione di sé stessi e del proprio lavoro – come in questo caso – a prescindere dalla loro natura, dal loro legame al circo.

jeegrobot

La “cazzimma” di Gabriele Mainetti

recensione di Freaks Out

Per fare alcuni film ci vuole coraggio, ci vuole ambizione, ci vuole follia e il desiderio di spingersi oltre, toccare il fuoco anche con il rischio di sbagliare. Sbagliamo subito, sbagliamo in fretta ma poi rimettiamoci in piedi e continuiamo a provarci, contro tutto e contro tutti per dimostrare proprio a questi “tutti” quanto sia fondamentale rompere le regole e poi ricostruirle da capo. Provarci e realizzare opere che la smettano di fare differenze su cosa un cinema italiano possa o non possa fare.

Il grande cervello (e coraggio) di Gabriele Mainetti ci era già stato dimostrato tanto con i suoi cortometraggi (Basette e Tiger Boy) quanto con il suo esordio (Lo Chiamavano Jeeg Robot), ma è con Freaks Out che si afferma.

A differenza di sedicenti critici che ritengo l’ambizione di questo regista una velleità che non gli compete e che lo ha portato a compiere il passo più grande della gamba, Gabriele Mainetti mette su un vero e proprio “circo” che ci riporta nell’Italia del 1943.

A partire dalla grande ricostruzione storica tra gli esterni e costumi (rispettivamente curati da Massimiliano Sturiale e Mary Montalto) o gli stessi luoghi interni, come il laboratorio di Franz che riflette la duplice natura del personaggio tra il rigoroso ordine nazista che ci dice chi vorrebbe essere e il caos di spartiti, disegni, libri, formule ed esprimenti che ci presentano l’ossessione e il disordine interno dello stesso, passando per il lavoro di studio sul periodo storico, sulla comunità ebraica e lo stesso linguaggio, per poi arrivare agli effetti speciali, la computer grafica e le grandi scene d’azione, Freaks Out è un film che vuole mettere il turbo. Vuole sorprendere con un cinema, un cinema che chiede con forza di essere goduto in sala, che ci dice “Si può fare!” e si può fare ancora, ancora e ancora.

È indubbio che lo sforzo produttivo ed artistico, per non parlare di quello fisico, logistico ed economico sia molto elevato, eppure Gabriele Mainetti non si perde d’animo e dopo le mille peripezie sforna una pellicola che emoziona, sorprende per il lato visivo e scenico e sa rendere estremamente realistico e credibile ogni singola esplosione, inseguimento, scena d’azione.

Ci coinvolge emotivamente ed anche fisicamente parlando. I suoi luoghi, le sue ambientazioni, di giorno o di notte, sono tangibili, sono reali. Arrivano con la forza di un tornando e vengono accompagnate da un sonoro che fa tremare la sedia. Un lavoro produttivo più unico che raro in Italia ma che si spera segni, nuovamente, un punto di passaggio fondamentale per produzioni di questo genere.

recensione di Freaks Out

Gabriele Mainetti ancora una volta ci mostra che si può fare e questa volta lo fa sognando ancora più in grande, regalandoci effetti speciali da cinema americano, coreografie, inseguimenti e combattimenti che lasciano con il fiato corto e personaggi che arrivano, emozionano e ci fanno sentire anche un po’ orfani quando se ne vanno. Personaggi che restano e che spingono a riflessioni più profonde e durature nel tempo.

In conclusione di questa recensione di Freaks Out, possiamo solo dire che Freaks Out resta, è un film che non va via. Torna costantemente. Torna nelle note suonate da Franz e nella precisa e meticolosa cura nello scegliere la colonna sonora. Torna nei momenti di dolore e solitudine, nell’esasperazione e nel toccare il fondo, così come torna negli sguardi, nei costumi, nella magia del mondo ibrido che Mainetti e Guaglianone creano e ci fanno venire voglia di urlare:

Io credo nelle fate!

O forse in questo caso sarebbe più opportuno dire:

Io credo in questo cinema!

E spero con tutta me stessa che questa cazzimma Gabriele Mainetti non la perda mai. Non perda mai la voglia di soffrire sui suoi film. La voglia di appassionare e appassionarsi. Di raccontare storie di uomini e donne straordinarie ma che parlano ad ognuno di noi.

La voglia di crederci. Di lottare. Di ribellarsi.

La voglia di urlare al mondo l’orgoglio di essere un freak!

 

Freaks Out vi aspetta in sala con 01 Distribution dal 28 Ottobre

 

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Segui la 78esima Mostra d’Arte Internazionale del Cinema di Venezia, dal 1 all’11 Settembre, con noi sull’hub: leganerd.com/venezia78

 

85
Freaks Out
Recensione di Gabriella Giliberti

Gabriele Mainetti ci mette cuore, anima, genio e anche audacia, coraggio. Il coraggio di chi parla al cuore della gente, di cui sceglie un gruppo di strampalati protagonisti e li trasforma in veri e propri eroi di guerra all'interno di un mondo ibrido che mescola fantasia e storia. Un film sicuramente ambizioso, sicuramente non perfetto e a livello di storia più convenzionale del previsto, ma che sorprende con scene d'azione adrenaliche, grandi effetti speciali, costumi e scenografie che lasciano davvero il segno confermandoci ancora una volta che un cinema italiano diverso e "più grande" si può fare e che sarebbe anche arrivato il momento di renderlo meno raro e più "quotidiano".

ME GUSTA
  • Il mondo creato da Mainetti non delude le aspettative: magico e realistico al tempo stesso, unisce il fantastico con la ricostruzione storica
  • I personaggi sono ben caratterizzati, appassionano e crescono nel cuore dello spettatore
  • Ancora una volta un villain che conquista, in bilico tra il fantasma dell'opera e metropolis, Franz è il "degno erede" de Lo Zingaro
  • Aurora Giovinazzo è una delle grandi scoperte attoriali italiane del 2021
  • Scene d'azione, effetti speciali, scenografie incredibile. A livello visivo un film così in Italia non lo avevamo mai visto.
  • Le battute di Cencio sono già cult.
FAIL
  • Chi si aspettava, a livello di storia, qualcosa di mai visto, potrebbe restare deluso. La storia di Freaks Out è più "convenzionale" del previsto
  • I personaggi di Fulvio, Cencio e Mario, in quanto comprimari, restano un po' di più sullo sfondo rispetto a quanto si vorrebbe vederli
  • Il respiro scenico particolarmente americanizzato potrebbe risultare, soprattutto all'estero, poco originale o comunque poco sorprendente.
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