Il Kosovo ha vietato il mining di criptovalute, ossia il processo con cui si validano le transazioni di una blockchain risolvendo complesse operazioni matematiche. Per farlo bisogna utilizzare macchine dedicate, che consumano molta energia. Le mining farm tendenzialmente utilizzano decine – più spesso centinaia – di macchine diverse, e in questo momento il paese sta vivendo una delle più gravi e drammatiche crisi energetiche della sua storia recente.

Perché il Kossovo ha vietato il mining

Il mining è fondamentale per il funzionamento di strumenti decentralizzati come le criptovalute. Ogni transazione delle più importanti blockchain – come quella usata dai Bitcoin, ma vale anche per la rete di Ethereum – viene infatti validata non da un ente centrale, ma da migliaia di attori diversi sparsi in tutto il mondo, che concorrono tra di loro a risolvere complesse operazioni prima di tutti gli altri – proprio perché vengono ricompensati con nuova valuta.

Man mano che una blockchain diventa più matura – e aumenta la quantità di valuta generata e quindi in circolazione -, tendenzialmente le operazioni matematiche necessarie per validare le transazioni (e ricevere valuta) diventano più complesse, richiedendo quindi non solo macchine con un hash power più elevato, ma anche un dispendio di energia superiore.

Oggi il Kosovo è colpito da una grave crisi energetica, ma in passato il paese – per il costo piuttosto basso della sua energia – era diventata una meta particolarmente ambita dalle aziende e dalle persone che si sono specializzate nel mining di criptovalute.

La crisi energetica in Kosovo

Il 40% dell’energia utilizzata in Kosovo è prodotta all’estero. Il paese, anche per la sua economia relativamente debole, è particolarmente soggetto alle conseguenze della crisi energetica che interessa pressoché tutta l’Europa.

A questo si sono aggiunti altri problemi fortuiti,  ad esempio verso la fine del 2021 le autorità erano state costrette a fermare momentaneamente la più grande centrale a carbone del paese, per far fronte ad un grave problema tecnico.

Dopo l’incidente il governo ha dovuto dichiarare uno stato d’emergenza di 60 giorni, ottenendo in questo modo l’autorità necessaria per prendere provvedimenti sempre più drastici – inclusi alcuni frequenti blackout controllati – per razionare l’energia.

Il Kosovo non è il primo paese a vietare il mining di criptovalute. A maggio del 2021 era stato il turno dell’Iran, che aveva preso questa decisione per motivi molto simili. Anche la Cina – che un tempo vedeva la più alta concentrazione di miner al mondo -ha vietato ogni forma di mining, anche se in questo caso, verosimilmente, le ragioni del ban, più che altro, vanno ricercate nella crescente ostilità del partito comunista cinese nei confronti delle criptovalute.