La Cina ha creato una task force incaricata di individuare e perseguire le organizzazioni che operano nel mining di criptovalute, nonostante la pratica sia ormai stata resa illegale questa estate. La task force vede la partecipazione di diverse agenzie di pubblica sicurezza cinesi.

La task force ha già condotto diverse operazioni di perquisizione e arresto all’interno di 20 unità immobiliari di proprietà dello Stato. Le autorità sono facilmente riuscite a risalire ad alcune mining farm di piccole dimensioni. Spesso i device usati dai miner per guadagnare criptovalute erano allacciati abusivamente alla rete elettrica delle istituzioni pubbliche. Ad esempio a Wenzhou la polizia ha inidividuato quattro diverse mining rig, per un totale di 32 GPU, allacciate abusivamente alla rete di un’università. Non stiamo parlando di un’attrezzatura in grado di generare grossi guadagni o di competere ad armi pari con le più grandi mining farm un tempo operative in Cina. E, infatti, nel caso di Wenzhou le autorità cinesi stimano un guadagno di grossomodo 2,4 ETH (un po’ meno di 9.000 euro) nell’arco di quattro mesi.

La Cina ha giustificato il suo cambio di rotta sulle criptovalute, e in particolare sul mining, con l’obiettivo di voler ridurre le emissioni di CO2. I consumi elettrici delle mining farm sarebbero incompatibili con questa ambizione.