Finch, la recensione: it was a very Goodyear

Finch

Tom Hanks è stato spesso e volentieri espressione di tutte le positività dell’essere un uomo normale, tanto da diventare a volte l’esempio più fulgido di perfetto super eroe. Anche in modo piuttosto palese. Logico che lo possa continuare ad essere anche adesso, con tutte le variabili e le possibilità che l’età avanzata permette. Lo è stato soprattutto quando doveva adattarsi in una Terra in cui è solo, che lo sia metaforicamente o realmente, in un’isola deserta, in mezzo al mare o chiuso in un terminal. A dir la verità è anche stato il perfetto faro da seguire nei film on the road, ne sa qualcosa Sam Mendes, anche se, per andare sul sicuro, dobbiamo guardare ancora una volta dalle parti dell’onnipresente Spielberg partner in crime (anche nel film di cui stiamo per parlare c’è lo zampino della Amblin dopotutto, che lo produce, tra gli altri, insieme a Robert Zemeckis). Questo ruolo per lui lo ha deciso l’America da diversi anni e da qualche tempo lo sta imparando Apple Tv, che ancora una volta accetta la sfida di un titolo fondamentalmente improntato sul volto del regista premio Oscar.

A dir la verità però nella recensione di Finch dobbiamo ammettere di esserci trovati di fronte ad un film in cui queste verità sono state alquanto manipolate dai due sceneggiatori Craig Luck e Ivor Powell. Perché, vedete, nel secondo lungometraggio di Miguel Sapochnik (conosciuto oltre che per Repo Men, anche per la regia di alcuni episodi di Game of Thrones, tra cui il premiatissimo Battle of the Bastards) Hanks non recita affatto da solo e diventa un esempio da seguire alquanto imperfetto, com’è la natura.

La migliore espressione delle imperfezioni dell’uomo normale. Il che è anche meglio no?

Queste sono le basi su cui si innesta tutto il rapporto di disneyana morale con il robot Jeff, che prima parla come Stephen Hawking e poi con la voce del suo interprete (in motion capture), il bravissimo Caleb Landry Jones. Bravissimo come anche il “cane attore” Seamus, che veste i panni di Goodyear. Sono loro i tre membri della spedizione on the road in una Terra devastata (in realtà c’è anche Dewey, il più simpatico di tutti) in cui il nemico più pericoloso siamo sempre noi. Una pellicola in comfort zone per Tom Hanks quindi, il che non vuol dire assolutamente che sia da buttare via.

Eravamo io, Jeff e il cane che appartiene a se stesso

Finch Weinberg (Hanks) è un ex ingegnere capo di grandissimo talento che ha da qualche anno il domicilio nei sotterranei di un “antica” struttura posta al di sotto una enorme pala eolica, costretto a sopravvivere saccheggiando supermercati ed edifici rigorosamente chiusi a doppia mandata. Il suo unico scopo nella vita è occuparsi di Goodyear, il cane che vive con lui, ma “appartiene a se stesso”.

Ma perché tutto ciò? Perché una persona così intelligente e preparata, capace di costruire un A.I. in grado di riproporre le umane emozioni partendo dalla scannerizzazione di un centinaio di libri di ogni genere (tolto Il piccolo principe, che ovviamente Finch tiene per sé) si è ridotta in questo stato? Ma ovvio, perché la Terra per come la conosciamo noi non esiste più. Il cibo più accettabile è scaduto da 5 anni se va bene e le città sono ridotte a cumuli di macerie fatiscenti e immerse in un deserto sterminato e invivibile in cui la temperatura di giorno si aggira tra le modiche cifre di 75 e 60 gradi. In compenso a teatro c’è ancora Shakespeare, l'”italiana” Molto rumore per nulla per l’esattezza (per le affinità con i film ci affidiamo ai posteri).

Cosa è stato questa volta ad interrompere in modo così violento la nostra terribile civiltà? Un’eruzione solare o, se preferite un’immagine più colorita, il cielo si è improvvisamente fatto groviera.

Si sa però che neanche la fine del mondo può fermare il Bardo dell’Avon.

Tom Hanks

Ora, Finch sicuramente è una persona creativa e brillante, ma se c’è un pregio che gli si deve riconoscere è quello della praticità, tant’è che crea un robot dalle potenzialità enormi con un solo semplice scopo, precisato come aggiunta prioritaria alle famose tre leggi di Asimov: occuparsi di Goodyear dopo la sua scomparsa. Previsione di una sua morte imminente o di una possibile catastrofe? Non è dato saperlo, fatto sta che lui tossisce sangue e che, fatalità, l’allegra combriccola dovrà presto traslocare a causa di una tempesta di appena un mese in arrivo.

Sarà poi l’autonominatosi Jeff a far capire al suo creatore come la sua nascita possa rappresentare per lui una possibilità preziosa, probabilmente irripetibile, per poter cambiare idea su una cosa che ha segnato per sempre la sua vita, portandolo ad apprezzare oltremodo la solitudine. Non è mai troppo tardi per cambiare idea, si dice, a meno che non siate Cheyenne dei Cheyenne & The Fellows.

Più human drama che sci-fi

Sapochnik confeziona una pellicola ordinata, dividendo la narrazione in tre atti fortemente riconoscibili perché scanditi da degli eventi catalizzanti. La sua è una regia piuttosto elementare e che ha nella composizione degli ambienti, sia interni che esterni, la sua forza maggiore, riuscendo a restituire le rispettive atmosfere in poche inquadrature.

La prova di Tom Hanks è come al solito più che valida, anche se è da sottolineare anche quella dei due co-protagonisti, così come la scrittura di Jeff, personaggio che da un’idea di iniziale stucchevolezza data dall’essere una linea comica neanche troppo richiesta per la facilità con la quale la pellicola si tiene su toni leggeri nonostante il dramma di fondo, a personaggio dalla profondità piuttosto interessante.

Finch

La struttura di Finch rimane prevedibile e non c’è nulla che accade durante il minutaggio che possa provocare dei particolari sussulti, tant’è che il cuore della pellicola sta nelle lunghe chiacchierate tra i due protagonisti dotati di umana parola. E anche lì non è che lidi a cui arriva siano particolarmente originali, eppure il modo in cui vengono affrontati e il rapporto che man mano si crea tra i personaggi riesce a toccare le corde giuste per il coinvolgimento emotivo che il terzo atto richiede.

All’avventura nelle lande desolate si preferisce dunque ciò che accade nel van super accessoriato, all’interno del quale apprendiamo come il problema per la vivibilità del mondo non sia tanto il disastro naturale quanto la natura umana, che, come al solito, si è fatta riconoscere in negativo anche di fronte all’apocalisse. Interessante è il fatto che lo stesso Finch rappresenti una variante del problema tutto nostro (almeno secondo la pellicola) di comprendere correttamente il concetto di fiducia e il riconoscimento dell’altro, gettando l’oltremodo ottimistico assist ad una possibile nuova generazione in grado di sopperire a questa nostra mancanza. Di qualsiasi natura essa sia.

Finch fa dunque bene tutto quello che deve fare, pur non brillando quasi mai di originalità, ma rimanendo in un suo apprezzabile per intrattenimento, resa cinematografica e modalità argomentative.

 

Finch è disponibile dal 5 novembre su Apple TV+

65
Finch
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Finch è la seconda pellicola Apple Tv+ con Tom Hanks protagonista assoluto in pochi mesi. Stavolta l'attore premio Oscar è al centro di uno sci-fi on the road post apocalittico diretto da Miguel Sapochnik, in cui è affiancato da Caleb Landry Jones in modalità motion capture e dal cane Seamus. Il film non gode di particolare originalità né per lo sviluppo della trama né per le argomentazioni che tocca, ma riesce a coinvolgere lo spettatore con delle buone prove attoriali, una regia ordinata ed efficace e una scrittura che, non avventurandosi in particolari intellettualismi, tocca tutte le corde giuste.

ME GUSTA
  • Le interpretazioni degli attori sono tutte ottime.
  • Pur rimanendo ordinato e prevedibile il film fa tutte le cose corrette per coinvolgere emotivamente lo spettatore.
  • Il rapporto che si crea tra i due protagonisti è ben pensato.
FAIL
  • Non c'è nessun sussulto a livello di trama.
  • Nessuno degli argomenti trattati gode di particolare originalità.
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