È una calda sera di aprile del 1973. Le strade di Beirut, la capitale del Libano, sono piene di uomini e donne che passeggiano, turisti, ragazzi e ragazze che si godono i molti locali che costeggiano le vie illuminate.

La città, a quel tempo, non sfigurava assolutamente rispetto alle capitali europee. I poliziotti libanesi tengono d’occhio la zona, ma non prestano molto caso ad alcune coppie di uomini eleganti e donne con vestiti colorati e tacchi alti che passeggiano romanticamente tenendosi sotto braccio.

Uno degli uomini sussurra alla compagna “Questa città è bellissima, mi ricorda Roma”. Lei gli sorride.

Le coppie entrano nella hall di un elegante palazzo.

Parrucche e scarpe vengono gettate via, da sotto i vestiti appaiono mitragliatrici Uzi e pistole di grosso calibro. Ora non ci sono più coppiette innamorate ma gli uomini del Sayeret Matkal il reparto d’elite delle Forze di Difesa Israeliane, i migliori incursori del mondo.

L’operazione Spring of Youth è cominciata.

Antefatto: Un Settembre Nero

È il 5 settembre 1972, a Monaco. Sono le 4 mattino, fa freddo. Otto persone si aggirano nei pressi del villaggio olimpico. A un certo punto scavalcano e sono dentro.

Sono tutti palestinesi, fanno parte di Settembre Nero un’organizzazione terroristica legata ad Al-Fatah.
Hanno armi ed esplosivi contrabbandati fino in Germania dalla Svezia. L’OLP aveva chiesto di partecipare alle olimpiadi ma, essendo priva di uno stato, era stato negato loro il permesso.

Questa è la motivazione addotta dai terroristi.

Nel villaggio ci sono solo 32 poliziotti, di cui solo 2 armati. Nessuno si accorge di nulla finchè i terroristi fanno irruzione nella palazzina occupata dalla nazionale israeliana. Uno degli atleti riesce a scappare, due (Moshe Weinberg e Yossef Romano) vengono uccisi subito e gli altri sono presi come ostaggi.

In poco tempo la zona viene circondata dalla polizia e dalle telecamere.

I terroristi hanno delle richieste: vogliono che Israele rilasci 200 persone dalle sue carceri. Golda Meir, l’allora prima ministra israeliana, chiede ai suoi ministri dell’Interno e della Difesa di trovare una soluzione, va bene qualsiasi cosa ma, per nessuno motivo, si dovrà trattare con i terroristi.

Intanto la situazione diventa rapidamente assurda, i tedeschi si rifiutano di interrompere i giochi così le olimpiadi vanno avanti e mentre i migliori atleti del mondo si sfidano in varie competizioni a poche centinaia di metri di distanza le TV riprendono l’assedio ai terroristi e i cadaveri degli atleti israeliani.

È quasi come organizzare un ballo a Dachau.

Jim Murray, Los Angeles Times

Gli israeliani iniziano a organizzare un’operazione di salvataggio, una squadra del Sayeret Matkal si prepara per passare all’azione ma i tedeschi rifiutano l’ingresso agli israeliani e decidono di gestire loro la cosa.

Gli israeliani possono al massimo osservare. Israele manda sul posto Victor Cohen il capo della divisione interrogatori dello Shin Bet esperto nella gestione delle trattative.

Grazie alle conversazioni con i dirottatori ho imparato molte cose: dai dialetti ho capito da dove venivano, dalla scelta delle parole di che umore erano esattamente, dall’energia che percepivo quanto fossero in allerta. Quando ho avuto la sensazione che cominciassero a essere stanchi, ho detto al Sayeret Matkal che era il momento di fare irruzione.

Victor Cohen

Ma i tedeschi rifiutano qualsiasi aiuto e anche qualsiasi consiglio sul da farsi, nonostante gli israeliani fossero molto più preparati di loro a gestire operazioni come questa.

Alla fine i terroristi ottengono di avere degli elicotteri con cui raggiungere un vicino aeroporto, dove un aereo li avrebbe attesi per portarli fuori dalla Germania appena gli israeliani avessero liberato i prigionieri dalle loro carceri.

I tedeschi avevano pianificato un’operazione di salvataggio appena gli elicotteri fossero arrivati all’aeroporto, ma le forze messe in campo erano poche, mal addestrate e prive di molte informazioni.
Lo scontro a fuoco fu un fallimento, i cecchini tedeschi non riuscirono a colpire i terroristi i quali ammazzarono i piloti degli elicotteri e poi si misero a sparare indiscriminatamente.

Il gruppo d’assalto tedesco non si mosse aspettando i blindati che però erano bloccati da una folla di curiosi. I terroristi ammazzarono tutti i prigionieri con colpi d’arma fuoco e bombe a mano che fecero esplodere gli elicotteri.

Fu un massacro.

Reazioni

Israele fu shockato da quello che successe. Tutto quello che aveva potuto fare era rimanere a guardare i suoi atleti venir massacrati mentre i tedeschi non muovevano un dito.

Per i palestinesi invece l’operazione fu un successo totale.

È stato come dipingere il nome “Palestina” sulla cima di una montagna visibile da ogni angolo del globo.

OLP

Israele sul momento poté fare ben poco, emise un comunicato che prometteva ritorsioni contro i terroristi, ma quello era appena l’inizio.

Un gesto così feroce richiedeva una rappresaglia altrettanto brutale.

Raccolta informazioni

Il 9 ottobre 1972 alla base dell’Aman, il servizio di intelligence dell’IDF arriva una comunicazione: “Model chiede incontro urgente”. Model era il nome in codice di Clovis Francis uno dei migliori agenti che Israele aveva in Libano, attivo fin dagli anni ’40 quando ancora le comunicazioni si facevano via piccione.

Come ogni altra volta Clovis venne esfiltrato e, anche questa volta le sue informazioni non delusero i responsabili dell’intelligence. Clovis aveva individuato 4 pezzi grossi dell’OLP che si erano rifugiati in Libano: Muhammad Youssef al-Najjar, il capo dell’apparato di intelligence, che era stato coinvolto nel progetto e nell’approvazione dell’attentato di Monaco; Kamal Adwan, responsabile delle operazioni clandestine di al-Fatah in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza; Kamal Nasser, il portavoce dell’organizzazione; e Abu Jihad, il vice di Arafat.

Inoltre aveva portato molte altre informazioni su altri possibili obiettivi in Libano legati all’OLP: uffici, posti di comando, officine, depositi di armi etc.

C’era abbastanza materiale per un’operazione di omicidio mirato, ma per tentare una cosa simile servivano molte più informazioni, si trattava di mandare i propri uomini a centinaia di kilometri di distanza, in un paese ostile, senza possibilità di fuga e con la certezza di essere torturati e uccisi in caso di cattura. Senza contare che il fallimento avrebbe messo in serie difficoltà Israele davanti agli occhi del mondo.
Nulla poteva essere lasciato al caso.

La raccolta di informazioni era compito di Caesarea ossia la divisione del Mossad preposta agli omicidi mirati. Caesarea aveva già una rete di informatori a Beirut ma data la delicatezza dell’operazione fu mandato il loro agente migliore: Yael.

Yael

Yael (il cognome è tutt’oggi segreto) era una giovane ragazza americana, nata da genitori ebrei, che aveva deciso di abbandonare le comodità degli Stati Uniti per emigrare in Israele dare il suo contributo.
Fu arruolata da Caesarea e, dopo un intenso addestramento, messa sul campo.

Col tempo si rivelò essere estremamente portata per quel ruolo, con nervi saldi e capace di usare il suo aspetto attraente e il suo fascino come arma.

Con la tua femminilità, la tua fragilità e la tua bellezza,
chi mai potrebbe sospettare di te?

Michael “Mike” Harari, responsabile delle operazioni di Caesarea
(sì, erano i tempi in cui si dicevano queste cose alle donne sul posto di lavoro)

Il 14 gennaio del 1973 Yael atterra a Beirut, la sua copertura è informarsi sugli ultimi anni di Lady Hester Stanhope (un’aristocratica britannica del diciannovesimo secolo, pioniera dell’attivismo politico e sociale) che era vissuta tra Libano e Siria prima della morte, per fare una serie televisiva.

Yael affittò un appartamento nel lussuoso condominio di fronte a quello occupato dagli obiettivi. Rapidamente si fece diverse amicizie tra i locali e gli stranieri e trovò molte persone disponibili ad aiutarla nelle ricerche per la serie tv.

Questo le permise di muoversi liberamente e senza destare sospetti mentre con la sua borsetta (dove era stata inserita una fotocamera attivabile dall’esterno) scattava foto a tutto e raccoglieva informazioni.

Ogni particolare era importante, la descrizione della routine giornaliera dei tre appartamenti, quando si accendevano e si spegnevano le luci, chi si vedeva attraverso le finestre e a quali ore, i particolari sulle loro automobili, chi andava a trovarli, se il posto era sorvegliato.

Diario di Yael

Il Piano

Con quella massa di informazioni in mano Caesarea iniziò a preparare un piano.
Rispetto a quello che si vede nei film di spionaggio, la realtà sul terreno è molto diversa.
Non esiste il super agente segreto in grado di fare tutto.

Se [i nostri agenti] fossero state truppe da combattimento, non avremmo avuto alcun bisogno dell’IDF

Michael “Mike” Harari

Caesarea aveva una rete di agenti in Libano che erano ottime spie e osservatori ma non assassini.
Nessuno di loro aveva pratica con le armi o con il combattimento. Inoltre l’operazione era one-shot, una volta effettuato un colpo simile il Libano sarebbe diventato impenetrabile, di conseguenza si decise di colpire quanti più obiettivi possibile tutti assieme.

Creare storie di copertura per così tanti agenti e poi esfiltrarli tutti era qualcosa ben al di sopra delle possibilità di Caesarea, di conseguenza si decise di chiedere aiuto a chi quelle capacità le aveva, ossia l’IDF.

Era una situazione delicata, Mossad e IDF non avevano mai collaborato in operazioni di assalto sul campo e avrebbero dovuto farlo, per la prima volta, nella più grande operazione di omicidio mirato mai tentata. Usare gli uomini dell’IDF inoltre avrebbe impedito a Israele di negare il suo coinvolgimento in caso fossero stati catturati, come invece era (ed è) solito fare con le operazioni del Mossad.

I primi piani messi assieme erano macchinosi e pieni di complicazioni. La svolta avvenne quando David Elazar capo di stato maggiore dell’IDF chiese un parere a Ehud Barak ufficiale del Sayeret Matkal.

Il Sayeret Matkal era (ed è) la punta di diamante delle forze speciali israeliane specializzata in incursioni in profondità in territorio nemico, l’unità riceveva sempre le migliori reclute dell’IDF e i suoi membri erano (e sono) sottoposti a un addestramento intensivo di 20 mesi considerato il più duro al mondo.

Il viso di Barak assunse un’espressione soddisfatta, come quello di uno chef che comincia a preparare un piatto straordinario

David Elazar a proposito di Ehud Barak dopo aver chiesto il suo appoggio

Il nuovo piano prevedeva una stretta cooperazione tra gli agenti di Caesarea già sul posto, gli incursori del Shayetet 13 (le truppe speciali della marina) e i commandos del Sayeret Matkal nonché diversi uomini del Hativat HaTzanhanim le forze d’elite dei paracadutisti.

Non fu facile venire a capo delle discussioni e delle problematiche sorte tra le varie forze in campo (i militari non si fidavano degli agenti del Mossad, avevano paura che, sotto il fuoco, persone non addestrate non avrebbero saputo reagire mettendo a rischio anche loro), ma Harari fugò i loro dubbi.

Si tratta di guerrieri di prim’ordine nell’arena in cui devono agire, ovvero permettere ai soldati dell’IDF di fare il loro lavoro.

Michael “Mike” Harari

Ma ci furono anche altre rimostranze, ad alcuni incursori non andava bene essere usati come una banda di sicari. Vennero convinti che l’operazione era una risposta “forte ed elegante” al fatto che al-Fatah avesse massacrato civili israeliani.

L’operazione fu quindi schedulata ed entrò nella sua fase finale. Gli obiettivi divennero 6 così da diluire il rischio di un fallimento totale e avvantaggiarsi di quell’unica, irripetibile, possibilità.

Ventuno commandos del Sayeret Matkal, trentaquattro incursori del Shayetet 13 e venti soldati dell’unità di ricognizione dei paracadutisti, supportati in vario modo da oltre 3000 persone.

La più grande operazione di omicidio mirato della storia.

L’Operazione

Yael nel frattempo aveva individuato il punto adatto all’incursione: una spiaggia del Sands Hotel.
Era una spiaggia privata e aveva vicino un largo parcheggio. Quindi si mise a passeggiare diverse volte da casa sua verso il Sands Hotel, una giovane ragazza in gonna e occhiali da sole non destò alcun sospetto tra i turisti e lei ne approfittò per fotografare tutto: tutta la strada da percorrere, la centrale di polizia più vicina, la centralina telefonica da far saltare per bloccare l’invio di rinforzi, il condominio dove colpire e la hall dell’ingresso, controllò i giri delle pattuglie di polizia e cronometrò quanto tempo ci metteva la polizia a intervenire nella zona.

Intanto i commandos si addestravano imparando a memoria i percorsi e le operazioni da compiere.
Ad alcuni di loro, quelli più minuti, fu suggerito di travestirsi da donne e si allenarono a camminare sui tacchi, per evitare che un gruppo di soli uomini in giro in piena notte attirasse sospetti (“Sotto gli abiti da donna ci stanno più armi” li convinse il loro responsabile).

Il 6 aprile sei agenti di Caesarea arrivarono a Beirut da aeroporti diversi situati in Europa con passaporti tedeschi e francesi. Affittarono camere diverse al Sands e presero a noleggio grosse auto americane e le lasciarono parcheggiate nel parcheggio vicino alla spiaggia.

Il 9 aprile gli incursori partirono dalla base navale di Haifa a bordo di 8 motocannoniere missilistiche.
Prima di partire venne data loro l’ultima raccomandazione: Non limitatevi a sparare all’obiettivo e andarvene. Uscite dall’appartamento solo dopo esservi assicurati che non si alzerà più.

Le navi si fermarono a 12 miglia dalla costa e calarono le ancore.

Alle 17:00 Yael si incontrò con uno degli operativi di Caesarea al Phoenician Hotel e confermò che i bersagli erano a casa loro. “Gli uccelli sono nel nido” comunicò l’operativo via radio. Dalle motocannoniere vennero calati gommoni Zodiac colmi di incursori e che partirono alla volta della spiaggia.

300 km più a sud in un bunker dell’IDF nel quartiere dei Templari di Tel Aviv, i generali dello stato maggiore e il ministro della difesa seguivano con attenzione l’operazione. Benchè quasi tutta la marina israeliana fosse stata allertata tutti nel bunker sapevano che Spring of Youth era “un’operazione per la quale non c’erano opzioni di salvataggio”.

I gommoni scivolarono sulle acque nere verso le luci di Beirut. Gli incursori del Shayetet 13 aiutarono i commando a raggiungere la riva senza bagnare i loro travestimenti, soprattutto quelli di coloro con abiti da donna e pesantemente truccati, quindi misero in sicurezza il perimetro mentre i commando raggiungevano il parcheggio. Qui gli operativi di Caesarea erano pronti ad accoglierli.

Ehud Barak era uno di quelli travestiti da donna, salì su una delle auto e vide l’agente del Mossad che sudava copiosamente e tremava, pensò fosse malato, ma l’uomo aveva semplicemente paura. Gli confessò che aveva fatto un’ultima ricognizione e che c’erano gendarmi armati vicino al palazzo e che lui non era mai stato nemmeno vicino a una sparatoria.

Ehud lo tranquillizzò dicendo che quella sera nessuno avrebbe sparato. E decise di non riferire dei gendarmi, per paura che la missione venisse abortita.

Le tre macchine fecero il percorso indicato da Yael e raggiunsero il lussuoso quartiere di Ramlet al-Bayda.
I commando scesero a due isolati dall’obiettivo, ogni uomo si accompagnava a un commando travestito da donna e proseguirono a piedi.

L’Assalto del Sayeret Matkal

Raggiunto l’obiettivo i commando si divisero in 3 squadre, ognuna avrebbe attaccato uno dei bersagli, una quarta squadra comprendente un medico si dispose a controllare la strada. L’intera operazione doveva durare 20 minuti, il tempo necessario alla polizia libanese di capire cosa stesse succedendo e intervenire.
Gli israeliani si aspettavano di trovare delle guardie dell’OLP nell’atrio ma scoprirono che avevano preferito andare nelle loro macchine dormire.

I tre team salirono le scale contando i piani per individuare gli appartamenti giusti. Ogni team minò le pesanti porte blindate con delle mini-cariche esplosive poi ogni comandante toccò il microfono 3 volte per comunicare che erano pronti. Quanto tutti ebbero comunicato Barak toccò il suo microfono 5 volte.

Era il segnale per dare il via all’attacco sia agli incursori nel palazzo che ai paracadutisti che si preparavano ad attaccare gli altri obiettivi in punti diversi della città

Le mini-cariche esplosero sfondando le porte, il primo obiettivo Al-Najjar uscì dalla stanza e capito cosa stava succedendo si chiuse nella camera da letto. I commando crivellarono la porta di proiettili uccidendo lui e la moglie. Il secondo obiettivo Kamal Nasser si nascose sotto il letto e sparò colpendo uno degli incursori, gli altri rovesciarono il letto e lo colpirono con lunghe raffiche. Nel terzo appartamento Kamal Adwan uscì con un AK-47 ma gli israeliani lo abbatterono a raffiche di Uzi.

Al piano terra una guardia dell’OLP si svegliò per il trambusto e uscì dalla macchina ma il gruppo che teneva d’occhio la strada lo abbattè con pistole silenziate. Intanto però uno dei vicini aveva chiamato la polizia.

Gli agenti arrivarono prima di quanto preventivato, i tre team erano ancora negli appartamenti a cercare materiale e documenti. Le squadre furono avvisate e corsero giù per le scale. Intanto uno degli incursori si mise in mezzo alla strada ancora con la parrucca bionda e iniziò a sventagliare con la sua Uzi contro le jeep della polizia. Gli altri commando si unirono con raffiche e bombe a mano.

Mentre il gruppo teneva a bada la polizia i tre team erano usciti e si erano stipati nella auto a noleggio.
A quel punto gli israeliani si sganciarono e corsero a tutta velocità verso la spiaggia gettando triboli per rallentare gli inseguitori.

Non ero mai stato in strade così belle, né avevo mai visto palazzi così belli. Quel tipo di edifici non era comune in Israele.

Ehud Barak

L’Assalto dei Paracadutisti

Gli uomini del Hativat HaTzanhanim invece non furono così fortunati. Il loro obiettivo era attaccare alcuni edifici del FPLP. Aprirono il fuoco contro le guardie ma non erano a conoscenza di un secondo posto di guardia dal quale un palestinese iniziò a sparare colpendo tre soldati. La battaglia fu subito riportata alla polizia mentre le luci nelle case vicino si accendevano.

Anziché ritirarsi però, Amnon Lipkin-Shahak il comandante della squadra mantenne il sangue freddo e ordinò ai suoi di posizionare l’esplosivo. Appena le cariche furono piazzare diede ordine di ripiegare ma si accorse che una macchina era sparita quella con due soldati feriti a bordo. Si trovavano così, in mezzo a Beirut, con due sole macchine, la radio non funzionava e non sapeva dove fossero finiti i suoi due soldati.

Una situazione molto preoccupante.

Amnon Lipkin-Shahak.

Non voleva ritirarsi senza sapere dove fossero i suoi uomini e ordinò una ricognizione nell’area, il tempo però stringeva e alla fine diede ordine di stiparsi nelle due macchine rimaste e partire verso la spiaggia.
Appena partito alle loro spalle le cariche detonarono distruggendo i palazzi occupati dal FPLP e seppellendo 35 attivisti.

Alla spiaggia trovarono l’altra auto, l’autista era scappato pensando che l’operazione fosse fallita portando via i feriti, senza aspettare il resto del gruppo che comprendeva anche un medico.

Uno dei due soldati era già morto dissanguato, l’altro sarebbe morto poco dopo mentre il gruppo si ritirava.

Evacuazione

Mentre il sole sorgeva sul Mediterraneo le motocannoniere rientravano ad Haifa riportando a casa tutti gli incursori. In mezzo alla devastazione che regnava a Beirut nessuno fece caso a una giovane donna che entrava in un ufficio postale per mandare una lettera al suo superiore per raccontare dello shock subito per quello che aveva visto.

Caro Emile,
sono ancora tutta tremante da ieri sera. All’improvviso, nel cuore della notte, sono stata svegliata dal rumore di molte potenti esplosioni … sono stata presa dal panico: gli israeliani stavano attaccando! … È stato orribile … Questa mattina tutto sembra solo un brutto sogno, ma non lo era. Quei terribili israeliani sono davvero stati qui … Per la prima volta riesco a capire come mai si provi tanto odio per quel paese e per gli ebrei … Qui è davvero una zona residenziale gradevole e tranquilla con persone gentili e molto carine.

Aggiungeva inoltre che si sarebbe presa una vacanza. La donna era Yael che aggiunse poi con inchiostro invisibile:

Uno spettacolo fantastico ieri sera! Tanto di cappello!

Yael rimase ancora una settimana a Beirut nonostante il terrore di essere scoperta. I libanesi furiosi per l’accaduto avevano intensificato la sorveglianza e cercavano attivamente chiunque avesse collaborato con gli israeliani.

Finalmente potè prendere un volo per Heathrow e abbandonare anche lei Beirut.

Conclusioni

Spring of Youth fu considerato un enorme successo in Israele, tutti gli obiettivi erano stati centrati, vennero distrutti quattro edifici e due officine e uccisi almeno cinquanta persone appartenenti all’OLP oltre che tre alti dirigenti.

Ma soprattutto i documenti trafugati furono una catastrofe per i palestinesi, fornirono allo Shin Bet una serie di informazioni sulle cellule dell’OLP che agivano nei territori occupati e permisero molti arresti distruggendo di fatto la rete locale di al-Fatah.

Il Libano rimase shockato per l’attacco, il governo si dimise poco dopo. L’intero mondo arabo fu spaventato dalla capacità offensivia degli israeliani.

Sebbene la strada per vendicare i fatti di monaco fosse ancora lunga (Spring of Youth faceva parte di una più vasta operazione chiamata Wrath of God), fu uno dei maggiori successi di Israele nella lotta al terrorismo.

Per la prima volta intelligence ed esercito avevano cooperato in operazioni di questo tipo e avevano dimostrato di poter raggiungere risultati incredibili, avevano mostrato a tutti che nessuno era al sicuro, che gli israeliani erano pronti a fare di tutto per proteggersi.

L’operazione fece nascere la consapevolezza, sia nei nemici di Israele sia che negli israeliani stessi, che le forze israeliane potevano colpire ovunque.

Una consapevolezza che sarà poi rafforzata da operazioni successive, e che portò a una sempre più stretta collaborazione delle varie agenzie di difesa, modellando un sistema di antiterrorismo che oggi non ha eguali nel mondo.