Nel settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, torna in libreria L’Inferno di Dante illustrato da Paolo Barbieri. Questa nuova edizione pubblicata da Sergio Bonelli Editore affianca ai disegni originali del 2012 una serie di nuove tavole che vanno a completare i canti non illustrati nella prima versione. Attraverso le parole e illustrazioni dello stesso Barbieri andiamo alla scoperta di uno dei più grandi poeti della letteratura italiana.

Lasciate ogni speranza voi ch’entrate.

Quale incipit migliore si poteva scegliere per introdurre un pezzo su Dante. Il Sommo Poeta in citazioni non è secondo a nessuno e credo che dai suoi versi si siano scaturiti i più grandi pensieri della storia, d’altro canto chi è non si è accostato ad uno dei canti della grande Commedia, alle sue metafore o personaggi, sicuramente tutti almeno una volta nella vita.

Per raccontare Dante, nell’anno del settecentesimo anniversario della sua morte, abbiamo deciso di partire da una delle uscite più attese di quest’anno, realizzata dal più grande illustratore fantasy che abbiamo in Italia, annoverato nella guida “Masterpieces of Fantasy Art” tra i cento illustratori fantasy più importanti al mondo: Paolo Barbieri.

L’occasione è la nuova ri-edizione de “L’Inferno di Dante” appunto illustrata da Paolo Barbieri, edita da Sergio Bonelli Editore, uscita in tutta le librerie il 10 giugno. Il libro aggiunge alle illustrazioni già realizzate da Barbieri nel 2012, per la prima edizione pubblicata da Mondadori, una serie di nuove tavole che vanno a completare i canti non rappresentati nella precedente versione, ma non solo perché si tratta di un volume molto più grande con una carta più pregiata, una grafica rinnovata e un recupero delle vecchie illustrazioni con un occhio di riguardo soprattutto ai colori. Ogni illustrazione del volume è accompagnata dalle terzine originali da cui è ispirata.

Guido da Montefeltro (illustrazione a cura di ©Paolo Barbieri)

Paolo Barbieri e l’Inferno di Dante

È inutile girarci intorno, della Divina Commedia tutti amiamo follemente l’Inferno, vuoi per tutto quello che Dante trova al suo interno, vuoi perché il peccatore di per sé è sempre più affascinante rispetto al puro e all’angelo e anche per la componente non indifferente, per noi nerd, di una buona dose di creature leggendarie dalle quali difficilmente sfuggiamo al loro fascino.

I luoghi, i personaggi, le creature, l’atmosfera tutto ci meraviglia dell’Inferno e ci fa apprezzare ad ogni lettura l’inventiva dello stesso Alighieri. Il mondo forgiato da Dante diventa spessissimo reale e lascia senza parole soprattutto se pensiamo che dopo più di 700 anni sia ancora così “visivamente” attuale e moderno. Ecco perché quando esce una pubblicazione, che sia illustrata o semplicemente tradotta con nuove note, non si parla mai “dell’ennesima riproposizione della Divina Commedia”, ma semplicemente “della nuova riedizione della Divina Commedia ispirata da un nuovo artista o traduttore”.

C’è sempre da scoprire un nuovo dettaglio all’interno del lavoro del Sommo Poeta e in questo caso l’ultimo lavoro pubblicato da Paolo Barbieri può rappresentare assolutamente un nuovo viatico per comprendere ancora meglio la grande opera di Dante.

Nel 2011 realizzai con Mondadori il mio primo libro illustrato da autore “unico”, ovvero “Favole degli Dei”. Dopo il successo di quel libro – racconta Paolo Barbieri – l’editor con cui lavoravo mi propose di realizzare una mia interpretazione illustrata dell’Inferno di Dante. Sulle prime rimasi quasi spiazzato in quanto l’Inferno è un’opera pregna di poesia, ma anche piena di violenza e proprio sul come rappresentare quella violenza mi metteva dei dubbi. Dubbi che sono durati in realtà pochi minuti perché subito dopo ho iniziato a fantasticare su come mi sarei approcciato all’opera.

Quel periodo è stato come entrare in un maelstrom creativo che mi risucchiò completamente per molti mesi. Il libro illustrato nell’edizione Mondadori uscì nell’ottobre del 2012. Nel 2021, quando la Sergio Bonelli Editore mi ha permesso di tornare in quel mondo, mi sono sentito altrettanto elettrizzato: l’entusiasmo di ampliare ulteriormente quelle visioni mi ha letteralmente infiammato

L’edizione Bonelli de “L’Inferno di Dante” è un nuovo viaggio dell’illustratore Barbieri all’interno del mondo creato da Dante, non è stato soltanto riprendere le illustrazioni già presenti nel libro Mondadori e crearne di nuove, ma lo stesso Barbieri ha cercato di arricchire e completare “L’Inferno” chiudendo quel cerchio artistico iniziato nel 2012.

La caratteristica di questo volume è la presenza delle quartine originali, da dove è stato preso spunto per l’illustrazione, e l’ormai consueta ecletticità tra varie tecniche come illustrazione digitale o disegno a matita. I disegni a matita, realizzati in fogli A3, venivano poi scannerizzati per creare digitalmente la “seppiatura”.

Nelle illustrazioni realizzate interamente in digitale, dopo aver scelto la bozza a matita (presenti nella parte finale del libro) Barbieri procede con la lavorazione creando prima gli sfondi con ampie pennellate, per ricercare il miglior impatto visivo generale, per poi passare successivamente ai dettagli e personaggi.

La cascata ((illustrazione a cura di ©Paolo Barbieri)

Nei disegni in digitale ho sempre cercato di esaltare l’effetto pittorico, lavorando molto spesso su pochi livelli: ad esempio, l’illustrazione dei Malebranche è realizzata quasi interamente su un livello unico. In un certo senso, con questo processo creativo, ho voluto ricongiungermi idealmente all’arte classica, seppur io abbia realizzato il tutto con ampio uso di tecnologie moderne

Il risultato è un viaggio visivo assolutamente unico, con una qualità cartotecnica altissima che riesce ad esaltare ogni sfumatura di colore (la differenza con il volume precedente si vede benissimo). L’Inferno di Dante a cura di Paolo Barbieri è un’opera che riuscirà a far avvicinare molti neofiti ai canti scritti da Dante più di settecento anni fa e perché no anche appassionare gli studiosi esperti notando gli innumerevoli dettagli presenti nelle illustrazioni.

Ecco perché una nuova uscita dedicata alla Divina Commedia, in questo caso al solo Inferno, non è mai un “ennesimo reboot”, ma la concreta realtà di poter continuare a studiare una delle più grandi opere letterarie scritte nei nostri tempi. Inoltre all’interno del viaggio di Paolo c’è anche, ovviamente, la visione personale figlia dei grandi maestri d’illustrazione giapponese con i loro robot, oppure tributi ai vari Giger (con le sue forme tipiche) o Caravaggio per arrivare al viaggio dell’anello raccontato da Tolkien: c’è questo e molto altro ancora all’interno dell’Inferno di Dante illustrato da Paolo Barbieri.

Ma dopo l’Inferno?

La risposta è non lo so, non nego che da nerd avere la trilogia completa potrebbe rappresentare la conclusione e la degna chiusura di questo ciclo, ma adesso non ho assolutamente nessun progetto per continuare il racconto. Sarebbe senza dubbio una nuova affascinante sfida soprattutto per quanto riguarda il capitolo del Paradiso, ma adesso concentriamoci sull’Inferno da poco uscito

Paolo e Francesca (illustrazione a cura di ©Paolo Barbieri)

 

Guarda l’intervista esclusiva fatta dalla redazione di Lega Nerd a Paolo Barbieri:

Dante, che vita misteriosa!

Probabilmente il motivo per cui tutti siamo sempre un po’ restii nell’approccio alla Divina Commedia è il suo linguaggio così complesso. E la domanda nasce spontanea, in che linguaggio è scritta la stessa commedia?

L’eredità artistica di Dante è immensa – dichiara lo studioso professor Mario De Martino – e di un valore inestimabile, ma stando a quanto riferisce Boccaccio, pare che la morte lo abbia strappato prima che fosse possibile divulgare l’intera ultima catica (dopo parleremo della leggenda degli ultimi 13 canti). Sembra che la sua opera fu resa nota anche grazie ad un grande lavoro di revisione da parte del figlio e già qui possiamo avere un quadro di quello che è il linguaggio della stessa Commedia.

Un linguaggio tramandato, ritradotto dal figlio e altri collaboratori, quindi un vero e proprio melting-pot di varie penne ecco perché alla domanda “in che lingua è scritta la Divina Commedia?” la risposta dovrà essere forzatamente vaga

Tutti pensano a Dante come al classico letterato topo da biblioteca e invece la sua vita è stata particolarmente movimentata, un viaggio nel viaggio. Dante infatti ha fatto molto di più che scrivere poesie, conducendo una vita molto attiva e formandosi come medico.

Dante nella Selva Oscura (illustrazione a cura di ©Paolo Barbieri)

Si unì alla corporazione degli speziali (farmacisti), ma solo nel tentativo di promuovere la sua carriera politica. Inoltre Dante, prima di essere esiliato, ricoprì vari incarichi pubblici a Firenze e combatté anche nella battaglia di Campaldino contro Arezzo.

Ricordiamo la sua storia “d’amore platonico” verso Beatrice, sì perché gran parte del sui lavoro è dedicato a Beatrice, una donna che il poeta aveva incontrato quando aveva solamente nove anni e che morì molto giovane, facendolo precipitare nello sconforto più nero. Il poema è molto autobiografico. La Divina Commedia era scritta infatti perché Dante voleva farsi perdonare da Dio per la sua grave crisi religiosa.

Dante scrive per lei sonetti d’amore e, nella Divina Commedia, la trasforma nell’angelo che lo guida per buona parte del suo viaggio nel Paradiso.

Anche se la storia platonica tra Dante e Beatrice è tra le storie d’amore più famose di sempre, dobbiamo ridimensionare un po’ la cosa ricordando che lo stesso scrittore aveva una moglie e quattro figli a casa. Tra l’altro la sua famiglia, non rimase per nulla contenta quando scoprì che Dante non l’aveva menzionata, neanche una volta, nella sua Commedia.

La moglie di Dante era Gemma Donati, sposata dopo essere stata la sua fidanzata a 12 anni tramite un contratto scritto. I due come abbiamo scritto precedentemente ebbero quattro figli: Jacopo, Pietro, Giovanni e Antonia, che in seguito si fece suora, scegliendo (ma guarda un pò) il nome di suor Beatrice.

Il professor Mario De Martino da poco ha pubblicato un volume molto prestigioso proprio sul sommo poeta dal titolo: Dante 700 anni dopo.

Tornando alle curiosità dello scrittore possiamo ricordare un altro aneddoto importante che riguarda il suo cognome, non così facile da portare. Il papà del poeta era un cambiavalute molto conosciuto in città ma, sottobanco, conduceva anche alcune attività illecite.

Era un usuraio, ma non fu mai condannato per questa attività proprio perché aveva delle buone conoscenze grazie al suo lavoro ecco perché gli Alighieri non erano così ben visti dal popolo e anche lo stesso Dante ha dovuto usare il classico “nome d’arte”. Il padre Alighiero decise di chiamarlo Durante ma il figlio si rese conto presto che quel nome non gli avrebbe portato grande fortuna, quindi decise di farsi conoscere con il nome Dante.

Malebolge (illustrazione a cura di ©Paolo Barbieri)

La vita di Dante è tanto affascinante quanto la sua opera più famosa che ricordiamo non subito fu chiamata così. Dato che non è mai stata pubblicata – ricorda il professor Mario De Martino – anche il titolo non è stato completamente scelto dall’autore: il termine “Comedìa” si evince da una lettera scritta dal poeta a Cangrande della Scala, signore di Verona, a cui comunica di aver dedicato La cantica del Paradiso, mentre l’aggettivo “Divina” fu attribuito proprio da Boccaccio, ma fu aggiunto all’edizione stampata solo nel Cinquecento.

Inoltre sempre per tornare a Boccaccio fu proprio lo scrittore di Certaldo a tramandarci la leggenda degli ultimi tredici canti. Nel momento della ricostruzione filologica, la parte finale dell’opera non è stata rinvenuta, così un allievo del “sommo poeta” si mise alla ricerca della parte mancante. Egli decise di rivolgersi al figlio di Dante, Jacopo Alighieri, che gli rivelò che il padre gli era apparso in sogno e gli aveva comunicato dove poterli trovare

Dante e la sua vita sono stati sempre circondati da mistero e anche il suo amore per la numerologia è un mix tra leggenda e realtà. Secondo alcuni studiosi infatti, Dante celava un “grande segreto” nella ricorrenza di numeri come 3, 9, 13 e 33.

La Divina Commedia è divisa in 3 parti (una per ogni sezione dell’aldilà) e ognuna di queste è suddivisa in 33 canti, più un’introduzione per fare 100 in totale, il “numero perfetto”.

Ma il numero 3 emerge anche a livello tecnico nell’opera stessa: il suo schema di rime, la terza rima, nota intorno ad esso e la Santissima Trinità ha controparti infernali nei tre fiumi dell’inferno, tre tipi di peccati puniti (ciascuno con tre suddivisioni) e, naturalmente, una bestia a tre teste a guardia del Cerchio dei Golosi. I fan del “mistero” pensavano che egli volesse trasmettere un messaggio esoterico ad una setta di cui lui stesso avrebbe fatto parte.

Alcuni dicevano che fossero i Templari, altri i Rosacroce, congregazioni che utilizzavano spesso quei numeri (3, 9, 13 e 33) e anche simboli floreali come il Giglio e la Rosa, che lo stesso Dante ha utilizzato più volte all’interno della sua opera. In verità non c’è nulla di scritto, ma soltanto la consapevolezza di essere di fronte ad una delle più grandi opere letteraria di sempre, uno dei viaggi più straordinari che l’uomo possa sognare: un viaggio che rappresenta la vita della società dell’epoca ed è per questo che anche molto didattico.

La Divina Commedia è musicale e piacevole da ascoltare, un poema che potrà essere raccontato ancora per 700 anni e illustrato continuamente senza il nessun decadimento culturale o invecchiamento, perché ogni volta che una nuova pubblicazione esce a “riveder le stelle” è come se si continuasse a dare vita al grande sogno del Sommo Poeta.

Mura di Dite (illustrazione a cura di ©Paolo Barbieri)