Il gas esilarante può aiutare a curare la depressione

dentista

Un gruppo di anestetisti dell’Università di Chicago sta analizzando come l’ossido di diazoto (N2O) possa essere effettivamente in grado di alleviare lo stato di depressione di quei pazienti la cui patologia è resistente alle normali terapie. In altre parole, i ricercatori hanno somministrato ai pazienti del gas esilarante per vedere come sarebbe andata.

L’esperimento ha mantenuto un rigore accademico molto più formale di quanto la premessa non dia a intendere. Anzi bisogna sottolineare che Peter Nagele, ricercatore a capo dell’indagine, abbia iniziato questo percorso esplorativo già anni fa e che ci sia voluto diverso tempo prima di raggiungere la conclusione della seconda fase dei test, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati.

Partendo da una riflessione sul come la ketamina possa fornire effetti antidepressivi, Nagele e i suoi colleghi hanno ipotizzato che l’N2O fosse in grado di garantire risultati omologhi e hanno sottoposto dei volontari alla somministrazione del gas.

Venti persone hanno provato sulla propria pelle diverse sedute da un’ora: una composta da una miscela di ossigeno e ossido di diazoto in concentrazione al 50 per cento, una seconda al 25 per cento e un’altra placebo per creare un campione di controllo.

Nonostante il bacino molto ristretto di soggetti, i risultati sono stati interessanti. Le due miscele hanno mostrato effetti positivi che perduravano per settimane, con la differenza che il gas, se somministrato in percentuali basse, ha dimostrato di avere effetti collaterali contenuti, evitando ai volontari eventuali mal di testa.

Quanto riscontrato dal team rischia però di arenarsi immediatamente, poiché gli anestetisti coinvolti vedono magre possibilità di monetizzare questa forma di cura, cosa che certo non convincerà le case farmaceutiche a promuovere test di massa.

Risulta improbabile che un’azienda farmaceutica sia interessata, visto che l’ossido di diazoto non è brevettabile e non esiste un analogo o un enantiomero; potrebbe essere necessario che sia l’Istituto Nazionale della Sanità a elargire i fondi o che siano gli accademici a guidare la ricerca,

ha commentato con amarezza Nagele.

 

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