La Cina ha recentemente imposto la sua censura su di una pagina web creata da un attivista pro-democrazia di Hong Kong. Fin qui nulla di strano – o perlomeno, nulla di anomalo -, poi ci si rende conto che la pagina in questione non era gestita da un server cinese, ma da uno israeliano che, pertanto, non sarebbe stato in alcun modo obbligato a sottostare alle leggi del gigante asiatico.

Nathan Law, attivista esiliato, ha infatti sottolineato come il sito Wix, basato a Tel Aviv, abbia ceduto alle richieste della polizia di Hong Kong, la quale ha imposto il 24 maggio l’oscurazione del sito web 2021hkcharter.com.

La webpage sarebbe stata colpevole di “mettere in pericolo la sicurezza del Paese”, inneggiando indirettamente alla secessione e all’incitamento alla secessione. Contenuti che effettivamente sono resi illegali dalla controversa National Security Law introdotta nel 2020 a Hong Kong e che, evidentemente, è stata adoperata anche per intimidire un’azienda che non dovrebbe esserne afflitta.

Wix ha ora restaurato il sito di Law e ha reso noto che la rimozione sia capitata per “errore” e che la censura della Cina sia stata accolta per un fraintendimento nell’analisi della richiesta di oscurazione. L’azienda si è scusata e ha dichiarato di aver rivisto le sue procedure amministrative, in modo che la situazione non possa ripetersi in futuro.

Non è certamente la prima volta che un gigante della politica fa sentire le sue ingerenze sull’internet dei Paesi esteri, i più vecchi tra noi si ricorderanno per esempio la grande purga che gli USA hanno imposto ai siti che ospitavano gigantesche librerie di lungometraggi piratati.

 

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