Quando pensiamo ai restauri non possiamo fare a meno di far sfociare la nostra immaginazione in un mondo fatto di solventi, di tragicomici interventi coprenti o di Vigo, il flagello di Carpazia. Eppure il restauro italiano ha sviluppato un’esperienza secolare e il The New York Times rende onore al talento nostrano parlando di come abbiamo imparato a sfruttare i batteri per tirare a lucido le statue che adornano le nostre strade.
Superata la fase iniziale di spaesamento, non ci vuole molto a capire che i batteri possano essere in effetti una soluzione ottimale con cui ripulire le statue. Una volta identificato il batterio giusto, quello che non è in grado di intaccare il materiale che si desidera rinnovare, il gioco è semplice: si spalma un gel che faccia da medium di cultura e si aspetta che il batterio “divori” ogni elemento alieno all’opera originale.
Ogni ceppo batterico si dimostra adatto a distruggere un diverso tipo di macchia, prima tra tutte la patina catramosa che si genera a causa dello smog automobilistico. Si tratta di un procedimento relativamente innocuo, almeno se comparato agli acidi, e decisamente funzionale che è stato collaudato in via “top secret” durante le lunghe quarantene pandemiche e i cui risultati verranno ufficialmente presentati nel mese di giugno.
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