È un periodo frizzante e brioso per la NASA, l’agenzia aerospaziale statunitense che ultimamente si trova al centro di un rinascimento che la colpisce sia sul piano mediatico che su quello politico. No, non stiamo parlando della missione su Marte. Quella ha certamente un che di glamour ed è assolutamente critica a livello scientifico, tuttavia le vere faville si stanno generando sulla Terra, pianeta blu che ospita due acidissimi miliardari impegnati a contendersi ulteriori soldi con cui sostenere le loro personali mire espansionistiche.
Stiamo ovviamente parlando di Jeff Bezos, CEO di Amazon, e di Elon Musk, CEO di Tesla, rispettivamente proprietari delle aziende spaziali Blue Origin e SpaceX e rispettivamente primo e terzo nella classifica degli uomini più facoltosi al mondo. I due – assieme a Dynetics, ditta spesso dimenticata – si sono contesi i finanziamenti governativi per la realizzazione del progetto Artemis che dovrà riportare gli USA sulla Luna, tuttavia i risultati del bando si sono dimostrati tanto inattesi quanto controversi, scatenando un effetto domino di portata epocale.
Una NASA seppellita dalle scartoffie
Artemis è il programma spaziale statunitense che si era posto originalmente l’obiettivo di inviare gli astronauti americani sulla superficie del satellite naturale terrestre entro il 2024. Un vero e proprio evento generazionale, un fenomeno dell’evoluzione tecnica umana a cui non assistiamo ormai dal lontano 1972, ma la cui concretizzazione è ora incastrata in un limbo.
Pochi liquidi, una situazione instabile ai vertici della NASA e il cambio di guardia alla Casa Bianca hanno però reso improbabile, se non impossibile, il coronamento della missione entro i soffocanti termini temporali dettati dall’ex Amministrazione di Washington, quella di Donald Trump.
I bisticci tra i due facoltosi uomini d’affari certamente non hanno aiutato in questa direzione, visto che denunce e tribunali hanno fatto sì che l’assegnazione dei finanziamenti fosse temporaneamente sospesa.
Facciamo un passo indietro: l’agenzia aerospaziale stava cercando un’azienda che si occupasse del progettare e costruire il nuovo lunar lander, ovvero la navicella spaziale che trasporterà fisicamente i cosmonauti a stelle e strisce sulla Luna. A contendersi la vittoria erano il Blue Moon di Blue Origin, lo Starship di SpaceX e il Dynetics HLS di Dynetics, ma ecco l’inghippo: la NASA avrebbe dovuto selezionare non una, ma due proposte da sostenere economicamente.
Si tratta, almeno ufficialmente, di una strategia economica che mira a evitare il consolidamento di un monopolio spaziale, nonché a fomentare la ricerca con un po’ di sana competizione, tuttavia detta strategia non ha debitamente tenuto conto del fatto che il fondo cassa fosse drammaticamente vuoto. Per Artemis, la NASA aveva chiesto al Governo tre miliardi di dollari, ma ha incassato a malapena 850 milioni, con il risultato che i pochi “spicci” erano inadeguati per soddisfare le necessità di un unico appaltatore, figuriamoci di due.
Rassegnata alla situazione creatasi, l’agenzia statunitense ha deciso di cambiare le carte sul tavolo e di incanalare solo nella società di Musk i soldi pubblici che era riuscita a racimolare.
Una decisione tutto sommato ragionevole, considerando che SpaceX risulti al giorno d’oggi la società che, tra quelle papabili, ha ottenuto un maggior numero di successi e traguardi. Blue Origin e Dynetics hanno immediatamente contestato la decisione ricorrendo a vie legali.
Tutto pur di raggiungere Marte
Per comprendere come mai la presenza sul mercato spaziale di Musk inquieti così tanto i suoi concorrenti, bisogna accettare un presupposto tutt’altro che secondario: Elon Musk vuole portare l’uomo su Marte e tutti i suoi sforzi sono focalizzati sul concretizzare questo desiderio. Potrebbe sembrare un’ovvietà, visto che il miliardario non smette mai di sottolinearlo, tuttavia questo dettaglio va profondamente ad alterare l’intero approccio aziendale di SpaceX.
In occasione di un normale bando, le ditte coinvolte propongono tradizionalmente un progetto ideato e progettato appositamente per l’occasione, ovviamente non mancando di calcolarsi un margine di guadagno il più ampio possibile e, magari, tenendo in considerazione anche la felicità dei propri fornitori.
Per SpaceX la cosa è diversa: le intere attività commerciali di Musk si muovono nella direzione di voler creare una colonia su Marte e anche l’uso di soldi pubblici viene fruito semplicemente come mezzo per finanziare e collaudare strumentazioni che serviranno a concretizzare il visionario progetto.
Sia chiaro, Blue Origin vorrebbe a sua volta ottenere i preziosi fondi per reinvestirne una parte nella tecnologica della sua azienda, tuttavia la prospettiva di Jeff Bezos fa riferimento al “vecchio” atteggiamento manageriale dell’approcciarsi a ogni singola sfida analizzandone peculiarità e specifiche, mentre Musk procede come uno schiacciasassi che rotola giù dal pendio di una rupe.
Musk ha un suo traguardo personale che va al di là del mero accumulo di denaro. Il denaro è per lui un mezzo, non un fine. Il bizzarro miliardario non si chiede pertanto come i suoi mezzi possano soddisfare le necessità dei suoi committenti pur garantendogli dei ritorni economici, lui semplicemente si chiede come i mezzi messi a disposizione dal Governo possano tornargli utili nel perseguire la sua ricerca.
Uno spaccato di questo modus operandi ci è garantito dalla The Boring Company, azienda di costruzione di tunnel fondata da Elon Musk che si è occupata di imbastire un sistema di trasporto di massa futuristico sotto le strade di Las Vegas. O meglio, si sarebbe dovuta occupare di imbastirlo, poiché quello che ne è venuto fuori non risulta né futuristico, né di massa.
I video concettuali con cui si è sempre accompagnata l’azienda suggerivano soluzioni all’avanguardia, degne del film Total Recall (2012), con cui spostare 4.400 persone all’ora da una parte all’altra della capitale del gioco d’azzardo. In tutto questo, i tweet del CEO assicuravano che l’azienda volesse “garantire priorità ai pedoni e ai ciclisti”.
Better video coming soon, but it would look a bit like this: pic.twitter.com/C0iJPi8b4U
— Elon Musk (@elonmusk) March 9, 2018
Niente di tutto ciò si è avverato. Alla fine la The Boring Company ha semplicemente imbastito una soffocante galleria sotterranea in cui ci si può muovere esclusivamente attraverso delle Tesla modificate e guidate da un conducente. Nessuna autovettura privata può inserirsi nel percorso e nessuna macchina aziendale ne può uscire.
In pratica è come prendere un taxi sotterraneo, con la differenza che il taxi in questione non ti porta a destinazione, ma ti abbandona in una delle tre stazioni attualmente attive. La rivisitazione del progetto ha ovviamente deluso i requisiti iniziali, con la conseguenza che delle 4.400 persone che avrebbero dovuto affidarsi a Musk per muoversi ogni ora in città, solamente 800 possono effettivamente godere del servizio.
Questo è il punto: a Musk non interessava (solamente) ingigantire le proprie finanze, voleva piuttosto sfruttare l’occasione per portare avanti la sua ambizione marziana e la cosa era facilmente prevedibile: The Boring Company è nata come sussidiaria di SpaceX con lo scopo esplicito di imbastire strumenti di scavo che possano un giorno operare anche sul Pianeta Rosso, la sua funzione terrestre è puramente secondaria.
I rapporti tra Blue Origin e SpaceX
L’atteggiamento incurante da “move fast and break things” del miliardario sudafricano ha concesso a SpaceX un vantaggio strategico tutt’altro che indifferente, vantaggio su cui Jeff Bezos vorrebbe recuperare dipingendo la sua Blue Origin come alternativa professionale e affidabile da contrapporre alle fantasie perverse di un visionario scriteriato. La cosa non sta funzionando particolarmente bene.
Musk ha dalla sua una flotta di razzi che è già operativa, mentre Bezos ha perlopiù speranze e promesse, cosa che spinge il pragmatico sistema statunitense a favorire SpaceX, con il risultato che Musk si sta accattivando buona parte dei contratti legati alla NASA e al resto delle aziende operanti al di fuori dell’orbita terrestre.
Solamente lo scorso febbraio Blue Origin era stata surclassata da SpaceX anche in occasione di un importante appalto militare, un appalto su cui l’azienda di Bezos contava moltissimo. Quel fallimento, una vera e propria batosta, è stato tanto cocente da obbligare la Blue Origin a rimandare di almeno un anno i test preliminari dei suoi propulsori New Glenn, per ora mai collaudati sul campo.
Battuto, ma non sconfitto, Bezos aveva fatto di tutto per assicurarsi di rientrare nei giochi almeno per quanto concerne il programma Artemis. Ha investito sul progetto, ha scomodato i suoi contatti e ha bombardato i media di ogni tipo per reclamizzare l’idea che il suo sogno sia stato sempre quello di permettere all’uomo di tornare sulla Luna. La sua narrativa è stata così martellante e convincente che non sorprenderebbe scoprire che l’amministrazione della NASA si sia sentita quasi in colpa al non affidargli i milioni messi in palio per la missione.
Conseguenze
Dove non arrivano le sviolinate e la diplomazia, arrivano però le ingerenze e la prepotenza. Il fatto che Blue Origin e Dynetics si siano mosse per vie legali complica molto la situazione poiché “congela” le possibilità d’azione di SpaceX e, di conseguenza, l’avanzamento di Artemis. Almeno fintanto che un giudice non emetterà sentenza o, più verosimilmente, finché non si sia raggiunto un qualche tipo di compromesso.
L’agile – e a volte grossolana – legge statunitense è estremamente funzionale nell’offrire rapide conclusioni a crimini che coinvolgono la fascia della società che è vulnerabile, tuttavia si dimostra ben più ponderata quando di mezzo ci sono multinazionali dall’influenza abbacinante. In quel caso può tranquillamente prendersi anni prima di formalizzare una qualche conclusione.
Quindi Artemis sarà sospeso per anni? Si, no, forse. Probabilmente no. Bezos ha già scomodato i suoi contatti all’interno del governo, con il risultato che la Senatrice Maria Cantwell stia facendo tutto il possibile per spingere l’Amministrazione Biden a soddisfare le ambizioni dell’uomo più ricco al mondo.
I risultati li si sta percependo già in queste settimane: la gestione delle finanze della NASA è finita improvvisamente in cima all’agenda politica a stelle e strisce e il nuovo amministratore dell’agenzia aerospaziale statunitense, Bill Nelson, ha immediatamente colto la palla al balzo per chiedere nuove risorse, molte nuove risorse.
In ballo ci sono 11 miliardi di dollari, quasi quattro volte quanti ne erano stati originariamente richiesti per sostenere il progetto Artemis. Una simile somma dovrebbe essere attinta nell’arco di dieci anni dai finanziamenti da 2,3 trilioni di dollari previsti dall’American Jobs Plan messo in campo dalla Casa Bianca, poderoso piano di investimenti attraverso cui gli USA sperano di ottenere nuovamente un indiscusso dominio mondiale o, perlomeno, di tenere testa al rapido avanzamento della Cina.
Che la Cina sia parte integrante dell’equazione, almeno nella dimensione narrativa promulgata dalla NASA, è un fatto esplicito. La Cina ha appena inviato un suo rover sulla superficie di Marte? Nelson si è immediatamente complimentato, quindi, girandosi metaforicamente verso il Senato statunitense, ha fatto notare che il Paese orientale stia rapidamente macinando terreno e che si debba fare tutto il possibile per non rimanere indietro.
Si tratta di una posizione condivisa dal Presidente Joe Biden, ma anche una potentissima arma di ricatto nei confronti dell’Amministrazione. “Non è possibile tenere in stallo Artemis aspettando i tempi giuridici, o la Cina ci ruberà la scena”, sembra voler dire. “Quindi dateci i soldi e facciamo felici tutti” è il messaggio effettivo.
Il nuovo uomo a capo della NASA è peraltro tutt’altro che un tordo: dei sopracitati 11 miliardi, “solamente” 5,4 miliardi verrebbero impiegati per risolvere la diatriba tra Bezos e Musk, nonché per portare a realizzazione la creazione del lunar lander, il restante verrebbe adoperato per resuscitare una serie di infrastrutture del governo che Nelson descrive come fatiscenti. Letteralmente con i buchi nel tetto.
Perché è importante? Perché Nelson, contrariamente al come di sta reclamizzando nella contemporaneità, è stato storicamente un personaggio ostile alla privatizzazione dei servizi spaziali. Come senatore aveva infatti proposto di annichilire i fondi ai privati per investire tutto sullo Space Launch System (SLS) sviluppato dall’agenzia stessa, tuttavia di recente ha ritenuto opportuno modificare il proprio modo di approcciarsi alla situazione. Un cambio di coscienza profondo che i maligni potrebbero identificare come strumentale..
Bezos ha i suoi interessi e li porta avanti appoggiandosi di peso sui contatti politici che si è costruito negli anni grazie a finanziamenti ben mirati, Nelson abbraccia l’assist offertogli e cerca di approfittarne per riportare la NASA ai fasti di quando era grande. Un conguaglio di interessi che non mancheranno di dettare il ritmo di Governo e del mondo imprenditoriale, anche se resta il dubbio su quale sia l’approccio aziendale sia che otterrà maggiori vantaggi dalle evoluzioni future: se quello conservatore e speculativo di Bezos o quello esplosivo e orientato ai risultati di Musk.
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