Scanzonato. Divertente. Tamarro. La nostra recensione di Army of The Dead, il nuovo film di Zack Snyder per Netflix, che proprio oggi – 21 Maggio – arriva sulla piattaforma on demand – parte con il piede giusto.
Ed effettivamente anche il film di Snyder parte e continua con il piede giusto, portando avanti esattamente quello che promette: azione, zombie e tanto divertimento. Inevitabilmente, come da tradizione Snyderiana, il “voler strafare” è il tallone d’Achille di questo film che, a lungo andare, comincia a prendersi fin troppo sul serio, perdendo l’anima più scanzonata che, invece, si mostra essere la moneta vincente.
Più che altro si insiste troppo, si indugia troppo su una narrazione che sarebbe stata perfetta in un minutaggio più canonico da 120 minuti, ma che invece si prende una mezz’oretta in più che, di base, non aggiunge assolutamente nulla. Dilata uno stato di tensione che, anzi, avrebbe dovuto portare lo spettatore ancora più carico in previsione dello scontro finale.
Si sofferma troppo su alcune dinamiche psicologiche, porta l’attenzione su di una visione più “seriosa”, perdendo per un attimo il focus del film: un grande giocattolo per divertire, distrarre e far staccare il cervello per una manciata d’ore.
C’è da dire che si nota quanto Netflix abbia lasciato decisamente più libero Zack Snyder (senza passare da millanta versioni buone solo a far schierare fan in inutili battibecchi che in questi anni ci hanno ammorbato anche troppo), a fronte anche di un budget interessante che ha dato modo di giocare tanto con gli effetti speciali quanto con le morti più improbabili e cruenti degli zombie, vera e propria carne da macello. Spesso e volentieri si vira verso il genere splatter, e questo è un grande bene.
I personaggi hanno sempre la battuta pronta, ma anche qui di tanto in tanto si prende la vena più seria che, quindi, rende i dialoghi decisamente più pesanti, artificiosi e che spesso e volentieri risultano decisamente poco convincenti.
Meno parole. Più sparatorie.
Questa volta nessun rallenty è stato abusato; anzi, Snyder in questo caso utilizza sapientemente il mezzo del rallenty come escamotage per risaltare, rendere ancora più epiche alcune scene. La pellicola trasuda pop – e zombie – da tutti i pori e questo ci piace parecchio.
Inoltre, sono evidenti gli spunti cinematografici, videoludici e non solo alla base di questo film. Snyder, come già ci aveva raccontato qualche settimana fa quando avevamo avuto modo di “incontrarlo” durante la presentazione del trailer di Army of the Dead, prende a piene mani da tutta la cultura riguardante la figura dello zombie.
Crea un su prototipo che fa affidamento tanto con le versioni più classiche di stampo Romeriano, quanto da quelle più evolute che passano tanto per il cinema, basti pensare a quel capolavoro di 28 Giorni Dopo di Danny Boyle, quanto dal mondo videoludico, e qui è Resident Evil che ha fatto scuola veramente a tanti.
Prendendo a spizzichi e bocconi da una parte all’altra, per il suo Army of The Dead, Snyder crea una sua mitologia dello zombie: più umanizzato e meno “stupido”, veloce, organizzato, intelligente. Una sorta di “razza superiore” volta non tanto alla distruzione dell’uomo o del mondo, quanto più alla sua colonizzazione. Zombie che riserveranno più di una sorpresa e che daranno non poco filo da torcere ai protagonisti del film.
La squadra, infatti, è formata da un gruppo improbabile di persone che si trovano e ritrovano più per necessità che per altro ma dove ogni attore si mostra più che adatto al ruolo a cui è stato designato, in particolar modo Dave Bautista si mostra essere la punta di diamante di questa pellicola, regalandoci un ruolo molto più profondo e doloroso di quanto si potrebbe immaginare.
Dopo diversi giorni dalla prima visione del film, ammetto di dover ancora metabolizzare alcune scelte “atipiche” compiute sul finale, soprattutto in vista dei potenziali sequel già decantati dal regista, ma questa recensione di Army of the Dead è e sarà una recensione no spoiler. Quindi, un commento più approfondito su questo tipo di scelte, lo faremo in un momento diverso.
Ma adesso scendiamo un po’ più nel dettaglio e capiamo cosa ci ha convinto del nuovo zombie movie di Zack Snyder e cosa, invece, meno.
2021: Fuga da Las Vegas!
Diciassette anni dopo l’esordio alla regia che avveniva proprio con gli zombie, Zack Snyder torna a casa (o quasi). Questa volta però nessun grande cult è stato rimaneggiato (male), ma ci si basa su un’idea originale che il buon Zack aveva in cantiere già da un po’.
Dopo l’esperienza di Dawn of the Dead, ero rimasto ossessiona dal tono con cui si dovrebbe fare un film sugli zombie. Esiste un solo tono oppure si possono mescolare i generi in un film sugli zombie?
Queste le parole dello stesso Snyder, durante il nostro incontro per la presentazione del trailer di Army of the Dead. Ed, infatti, Snyder in questo film fa un vero e proprio mix di generi, suggestioni e riferimenti cinematografici non strettamente legati al mondo degli zombie.
Infatti, il concetto alla base di questo film è proprio quello della città trappola da cui i nostri eroi dovranno uscirne il più illesi possibile e con un carico da oltre 200 milioni di dollari, ricordando di base le vibes di un grande capolavoro come 1997: Fuga da New York.
Questa volta, al posto del cinico Snake Plissken (interpretato dall’attore feticcio per eccellenza di Carpenter, ovvero Kurt Russell) abbiamo il mercenario Scott Ward (Dave Bautista) che viene ingaggiato dal ricco e misterioso Tanaka per un colpo decisamente al limite della follia ma che solo lui, e una squadra di persone altrettanto folli, può effettivamente riuscire a portare a termine.
Ward, infatti, assieme ai compagni di (dis)avventure, la bella e tosta Cruz (Ana de la Reguera) e il letale Vanderohe (Omari Hardwick), erano già riusciti a sfuggire al delirio mortale scoppiato qualche anno prima a Las Vegas che aveva visto la città del vizio e dell’azzardo cadere in un girone infernale di morti infetti ritornare alla vita.
Una bolgia di morte, sangue e distruzione che ha colpito e segnato le vite di tutte, in particolar modo quella di Scott Ward e di sua figlia Kate (Ella Purnell). Adesso l’uomo ha la possibilità di riscattarsi, di ricominciare tutto da capo e uscire dal suo inferno personale. Cosa deve fare? Semplice: riuscire a superare il perimetro che recinta Las Vegas in una zona di quarantena mortale per poter tener lontano il resto del mondo dalla minaccia degli zombie; superare l’inevitabile orda di zombie pronta ad attaccare al loro arrivo; entrare nel Casinò di Mr. Tanaka; disinnescare i marchingegni di protezione della cassaforte all’interno del caveau, recuperare il malloppo e fuggire alla luce del tramonto fieri e carichi di soldi.
Ah, tutto questo con una time bomb di 36 ore, orario in cui gli Stati Uniti bombarderanno con una bomba atomica Las Vegas per poter eliminare per sempre la minaccia zombie. Facile, no!?
Una missione suicida per una squadra suicida (ops, forse mi sto confondendo con un altro film)!
Paura e delirio a Las Vegas
Come vedremo in questa recensione di Army of the Dead, se c’è qualcosa in cui non pecca Zack Snyder in questo film è proprio il coinvolgimento da parte dello spettatore, che passa tanto per il lato più action con sfumature al gore quanto da quello più umano.
Parte scatenante è quella di un riscatto psicologico e relazionale di un uomo nei confronti di se stesso ma, soprattutto, nei confronti della propria famiglia, di sua figlia. E per quanto questo genere di tematica in un contesto simile può effettivamente sbrodolarsi addosso, in linea di massima funziona. Il vero problema arriva nel momento dei dialoghi, che rendono il tutto fin troppo banale, scontato e piuttosto melenso. Ma questo, in vero, non riguarda solo il rapporto tra Kate e Scott. Di base è un qualcosa che coinvolge un po’ tutti i personaggi, ad eccezion fatta del secondo miglior personaggio di questo film: Ludwig Dieter (Matthias Schweighöfer), il Leonardo Da Vinci delle cassaforti. Non sorprende affatto che sarà proprio lui il protagonista del prequel di Army of the Dead, ovvero Army of Thieves.
Fin dai titoli di testa – geniali e usati come escamotage per darci un minimo di background senza perderci in inutili flashback o spiegoni che ammazzano la tensione e mangiano tempo prezioso – Snyder fissa subito il tono del film: un popcorn movie che alza l’asticella dell’azione con scene al limite del gore, sfrenato, divertente (e si vede che lo stesso Snyder qui si è divertito moltissimo) ma che cerca di indagare – fin troppo – sulla componente umana.
Nota da apprezzare, sicuramente, è la volontà di Snyder di non dare forma a dei personaggi stereotipati da lasciare sullo sfondo – questo non viene fatto neanche con gli zombie – ma quanto meno dare un minimo di bidimensionalità e caratterizzazione, dando in questo modo l’opportunità allo spettatore di poter creare un legame di empatia necessario che consenta al film di fare un passo in più. E questo, in parte, è merito anche del cast scelto.
C’è una grande sintonia che passa dalle strade di Las Vegas affollate di zombie e a dentro le mura del casinò. Con tutte le loro differenze, i personaggi riescono a creare una linea sicura di interazione che da ritmo e dinamismo al film. Eccezion fatta per una parte centrale inutilmente sbilanciata e troppo allungata, Snyder a livello di azione non perde mai un colpo.
Girato in digitale e con un largo uso della camera a mano, Zack Snyder ci regala la sensazione di far parte della stessa squadra di Scott Ward, avvicinandoci tanto ai personaggi quanto all’imminente pericolo di morte.
Interessante, inoltre, lo svolgere il tutto alla luce del sole, elemento sempre piuttosto atipico all’interno di questi film. Ma soprattutto ciò che colpisce è l’uso di una luce molto più naturale. Una palette di colori che differisce dalla solita desaturata. Altro elemento a favore di questo film che si conferma essere qualcosa di nuovo, di davvero diverso e se vogliamo quasi sperimentare per il nostro Snyder.
L’epica in Army of the Dead è funzionale, non è forzata, non è eccessiva ma quasi minimal. Non viene usata a caso, ma bensì dosata per elevare ancora di più l’atmosfera e farci immergere in quello che in breve diventerà un vero e proprio bagno di sangue.
L’obiettivo primario è quello di divertire e Snyder ci riesce benissimo senza fronzoli, senza eccessi, semplicemente curando e dosando sapientemente tutti gli elementi più iconici alla base della sua regia.
È un viaggio molto interessante quello che veniamo chiamati a fare, dove anche l’elemento musicale non è di mero contorno, ma spesso e volentieri usato a contrasto oppure come voce dei sentimenti, delle emozioni dei protagonisti.
Alla fine, se ci pensante, il mondo di Army of the Dead dovrebbe essere una terra arida, fatta di morte, di violenza. Una terra dove non è possibile essere fragili e sentimentalisti, eppure sembra quasi che l’empatia, il gioco di squadra e il sentimento – perfino della componente mostruosa del film – sia la chiave di volta per la sopravvivenza. O quasi.
Army of the Dead: punta tutto sugli zombie
Abbiamo già detto, e lo ripetiamo, che uno degli elementi più interessanti di questa pellicola è proprio l’uso degli zombie. Il lavoro alle spalle della lore, della costruzione, che passa attraverso diversi input, dal più classico al più moderno.
Non parliamo di sola e mera carne da macello o personaggi di contorno, funzionali a giustificare tono e genere e mood del film.
Gli zombie sono davvero una parte importante, se non proprio il cuore di Army of the Dead.
Del resto, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, l’idea di questo film per Snyder nasce proprio da una riflessione che vede il cinema e gli zombie insieme al primo posto.
Tralasciando il classico slumber al quale siamo talmente tanto abituati da essere diventato un po’ parodia di se stesso – ed anche in questo film le battute “slumber shaming” non mancano di certo – è interessante il modo in cui Snyder gioca con le gerarchie, i ruoli, la funzione degli altri zombie che, molto più che nel remake di Dawn of the Dead, si fanno più politici raccogliendo la lezione di George Romero.
Indubbiamente sono gli Alpha a catalizzare la nostra attenzione ed è altrettanto indubbio che da queste creature vogliamo molto di più, a partire dalla loro creazione per continuare con la loro evoluzione. Evoluzione che lascia molti, davvero tanti, punti di domanda e spunti interessanti che, siamo sicuri, andremo a vedere probabilmente nel prequel e quasi sicuramente nei sequel.
Gli Alpha hanno una loro caratterizzazione, un loro modo di essere, di muoversi e comportarsi. Non parlano e il loro aspetto è mostruoso, eppure nella fisicità riescono a sembrare quasi belli, carismatici, definiti, privi di quelle classiche “imperfezioni” della carne in putrefazioni che, spesso e volentieri, fa divenire lo zombie poco più che uno scheletro con ancora attaccato addosso qualche libra di carne. L’Alpha è molto, ma molto più di questo. Ha un suo gusto perfino nel vestire. E nulla ci vieta di pensare che potrebbero essere molto di più. La visione di una nuova razza, ancora più potente, ancora più letale. Razza che non viene guidata dal mero istinto del nutrimento e della distruzione del genere umano solo per “sopravvivere”, ma bensì guidata da mire espansionistiche, politiche.
Gli Alpha non voglio massacrare gli esseri umani. Vogliono renderli schiavi. Vogliono dominarli. E questo potrebbe essere, in vista del futuro, davvero interessante.
Inoltre, non si può fare a meno di apprezzare il lavoro di costruzione fisico sullo zombie. Se la CGI viene lasciata più per effetti visivi ambientali o legati a sparatorie, elicotteri in volo lungo l’orizzonte et similia (dove talvolta si cade un po’ nel cheap), per quanto riguarda gli zombie Snyder predilige protesi, trucco prostetico, sangue (litri di sangue) vero che inonda tutta Las Vegas, attorni in carne ed ossa che abbracciano una tipologia di film horror molto più artigianale, prendendo anche un po’ in prestito nelle orde da un film a noi tanto caro come Army of Darkness di Sam Raimi.
Alla fine del viaggio
Nonostante qualche scivolone preso, in conclusione di questa recensione di Army of the Dead, ci riteniamo soddisfatti del lavoro di Zack Snyder.
Dal punto di vista della regia, Army of the Dead è un lavoro dosato, molto lontano dalla pompa magna di certi cinecomics che ci hanno anche un po’ stancato. Punta al divertimento e al coinvolgimento dello spettatore, riuscendo anche a mettere le basi per un progetto dal respiro decisamente più ampio, declinabile in varie forme, di cui torneremo sicuramente a godere nei capitoli successivi.
Non tutto nella computer grafica convince, sebbene dall’altra parte abbiamo un lavoro sugli zombie da 110 e lode. Così come non tutto in narrazione e sceneggiatura era davvero necessario, appesantendo proprio nella parte più centrale e complessa l’intero racconto e, quindi, abbassando parte dell’adrenalina e dell’attenzione dello spettatore. Eppure i personaggi convincono. Tutti sanno difendersi all’interno de loro ruolo, in modo particolare Dave Bautista che fa un po’ da traino di tutto il film, senza però risultare invasivo o oscurando gli altri. C’è una chimica ed armonia tangibile che si respira per tutto il set e questo non può che fare benissimo ad un film del genere.
Per dirla breve, Zack Snyder e il suo Army of the Dead vi faranno passare uno spensierato e folle weekend di paura!
Qui (solo per chi ha visto il film!) Curiosità & Easter Egg sul film:
Army of the Dead è disponibile dal 21 Maggio su Netflix
Army of the Dead si dimostra essere un buon popcorn movie diverso dal solito, capace di divertire ed appassionare ma anche far interessare lo spettatore tanto alle dinamiche tra personaggi ma, soprattutto, all'evoluzione dello zombie creato da Snyder. Una regia posata e misura che mescola diversi generi tra loro, dall'action al gore, per un mix davvero esplosivo. Non perfetto nella narrazione che tende ad allungarsi e tergiversare nella parte centrale, facendo perdere un po' di quell'attenzione e adrenalina iniziale. Nonostante questo, un ottimo giocattolone con cui intrattenersi.
- Divertente, scanzonato e con il giusto mix di cambio genere, azione e gore
- Dave Bautista una spanna sopra tutti con un personaggio davvero inaspettato
- La lore degli zombie, in particolar modo lo sviluppo degli Alpha, è molto interessante
- Ottima realizzazione degli zombie dal punto di vista visivo che abbraccia un cinema artigianale più old school
- Brusco rallentamento nella parte centrale che tende a far calare attenzione e adrenalina
- La CGI non è sempre perfetta, soprattutto in dirittura d'arrivo
- Alcune scelte sul finale lasciano perplessi, in particolar modo in vista dei potenziali sequel