L’Alta Corte dell‘Irlanda si trova per l’ennesima volta a dover guardare negli occhi i dirigenti di Facebook e questa volta sarà difficile trovare un patteggiamento con cui uscirne fuori: in ballo c’è la stessa struttura di gestione dei dati degli utenti europei, dati che sono sempre più al centro dell’attenzione dei Paesi Membri dell’Unione Europea.
Il problema consisterebbe nel fatto che la branca europea di Facebook, la quale ha sede legale proprio in Irlanda, userebbe un gioco di scatole cinesi per gestire i dati raccolti sul suolo UE. In pratica la Big Tech racimolerebbe le informazioni degli utenti, rispettando le norme del General Data Protection Regulation (GDPR), per poi spedirle in massa alla sede centrale a stelle e strisce, ove vige invece il liberi tutti.
L’azienda si potrebbe dunque trovare costretta a cessare definitivamente questa pratica ai limiti della decenza. I suoi portavoce, con tono minaccioso, non mancano di sottolineare che una simile evoluzione porterebbe conseguenze “devastanti” e “irreversibili” al proprio modello di business, cosa che a seconda della sensibilità personale potrebbe anche essere letta come minaccia.
Oltre a rappresentare una pratica commerciale di dubbia legalità, il trasferimento dei dati dell’Unione Europea negli Stati Uniti comporta a sua volta un altro problema tutt’altro che secondario: i dati dei server USA di Facebook possono virtualmente essere consultati dall’Intelligence locale, quindi CIA, FBI e altre branche omologhe potrebbero in ogni momento infiltrarsi nella vita degli utenti d’oltreoceano.
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