In una fiera di tecnologia alberghiera, l’azienda br5 ha presentato un braccio robot che è in grado semi-autonomamente di cucinare una paella. Anzi no, un piatto di riso, “altrimenti i valenziani si arrabbiano per davvero”, fa notare il CEO Enrique Lillo.

Che l’apparecchio sollevi una certa vocale perplessità è ovvio, non solo perché l’artigianato culinario difficilmente accetta di essere sostituito da un algoritmo, ma anche perché lo strumento è esplicitamente promosso come un decente sostitutivo dei paelleri che abbandonano il posto di lavoro.

Ansie lavorative e distopie robotiche a parte, lo strumento non cucina veramente: assembla. Tutte le materie prime devono essere preparate a monte per poi essere distribuite in recipienti accuratamente separati. Il robot potrà dunque cuocere la paella facendo affidamento su movimenti facilmente preregistrati.

Si tratta di una versione extralusso del girapolenta a motore o, come sottolinea il leader di br5, della macchina industriale che ci prepara le spremute d’arancia.

Si tratta di un robot multifunzione: ora cucina riso, ma che potrebbe anche friggere le patatine o che potreste attaccare alla griglia per girare hamburger, magari a un forno perché faccia pizze o croissant. Alla fin dei conti, è un assistente.

Non è diverso dalle macchine che spremono le arance, quelle dove metti le arance in cima per ottenere il succo dal fondo. Anche quello è un robot – semplicemente le persone non se ne rendono conto,

ribadisce, non del tutto a torto, Lillo.

D’altro canto anche noi, in Italia, siamo al centro di uno “scandalo” gastronomico: a Roma è sbucato Mr.Go, un distributore di pizze automatizzate.

 

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