Un’ennesima ricerca statunitense analizza quanto la disinformazione sia oramai radicata nel web e di quanto abbia più successo dei fatti.
A suo modo, l’assalto al Campidoglio statunitense è stato capace di fornire uno stimolo positivo, almeno ne ramo della ricerca. A seguito delle disastrose performance politiche, sociali e amministrative di quell’episodio, molti studiosi americani hanno capito che era il caso di cercare di decifrare quali fossero le dinamiche della disinformazione internettiana, ma anche cosa si possa fare per attenuarne gli effetti.
Un report della Election Integrity Partnership, ente composto da diverse università e istituti indipendenti, ha cercato di dare una risposta a questo dilemma, almeno per quanto concerne l’imposizione civica della difesa al processo elettivo.
Il feedback fornito non è tuttavia incoraggiante anche perché, nonostante le elezioni siano ormai concluse da tempo, l’EIP non manca di sottolineare che la situazione non sia affatto migliorata, “anzi potrebbe essere peggiorata”.
Le 282 pagine di documento possono essere riassunte grosso modo menzionando quanto oggi si sia nelle mani delle Big Tech, con i social che potrebbero essere una strepitosa fonte di dati e una magistrale macchina di contrasto, ma che tergiversano in ambo i campi.
Alle piattaforme web, i ricercatori chiedono di fornire informazioni proattive sulle previsioni di disinformazione durante i periodi delle elezioni, di agire immediatamente con fact-checker, di imporre conseguenze chiare e coerenti a coloro che postano fake news, di concedere massima priorità ai canali ufficiali. Urgenze parzialmente sottolineate anche dalla Oversight Board di Facebook, ma per adesso cadute inascoltate.
In generale, è ormai chiaro che ne sappiamo troppo poco, del come funziona la socializzazione via Rete. Abbiamo improvvisamente accettato che la disinformazione e le influenze delle Big Tech possano essere problemi, ma abbiamo anche capito che l’origine non sia da ricercarsi online. Capiamo cosa stia succedendo, ma non il come e il perché.
L’indagine dell’EIP – ma anche un report analogo dell’Università di New York – ci mostra che le bufale internettiane sono perlopiù di estrema destra, che sono difficili da sedare e che si muovono in due direzioni, ovvero possono partire tanto dalle figure pubbliche quanto dal popolino. In più ci mostra che la censura non sia utile, ma che fomenti le teorie complottistiche.
Ora non ci resta che un grandissimo buco da colmare, ovvero capire da dove parta tutto questo e come porvi rimedio.
Potrebbe anche interessarti:
- The Long Fuse: Misinformation and the 2020 Election. (eipartnership.net)