Damien Chazelle parla a Roma dell’amore per i musical e del nuovo film ambientato negli anni ’20

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Alla Festa del Cinema di Roma Damien Chazelle ha raccontato, in collegamento, il suo amore per la musica e i musical, dando qualche anticipazione sul suo prossimo progetto: una pellicola ambientata negli anni ’20.

Damien Chazelle ama la musica. La ama a tal punto che, anche se non è diventato un musicista come sognava, l’ha resa la vera protagonista della sua opera. Fin dal primissimo (e poco conosciuto) lungometraggio, Guy and Madeline on a Park Bench (2009), in cui il personaggio principale è un trombettista jazz di New York.

 

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Dopo l’esordio sul grande schermo, l’ex batterista (al liceo suonava in una band) diventato regista già pensava alla pellicola che lo avrebbe reso celebre in tutto il mondo, La La Land. Ma i tempi non erano ancora maturi e prima di Mia e Sebastian è toccato a Andrew (Miles Teller), batterista jazz (guarda caso!) che in Whiplash è talmente ossessionato dal diventare il miglior allievo del conservatorio Shaffer di Manhattan da accettare qualsiasi vessazione dal suo insegnante, Terence Fletcher (J. K. Simmons, premiato con l’Oscar).

Dopo la parantesi nello spazio di First Man, ancora musica jazz nella miniserie The Eddy (disponibile su Netflix). L’Incontro Ravvicinato con il giovane regista alla Festa del Cinema di Roma non poteva quindi che essere sul musical. Purtroppo non presente fisicamente nella Capitale, ma in collegamento dalla sua casa a Los Angeles, Damien Chazelle ha promesso al direttore della Festa, Antonio Monda, che il prossimo anno, pandemia permettendo, verrà di persona a Roma.

 

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L’incontro si è svolto commentando alcune clip scelte da Chazelle che, ironia del destino, anni fa detestava il genere:

Quando ero un giovane cinefilo guardavo i film di Hitchcock, quello era il cinema che mi piaceva. I musical li vedevo come una cosa folle.

È strano: ho passato la mia infanzia a suonare e guardare film, eppure i musical li odiavo. Odiavo Singin’ in the rain e i film con Fred Astaire: ne apprezzavo canto e ballo, ma non sopportavo che un film si fermasse per far cantare i protagonisti. Nella vita vera la gente non si comporta così.

Eppure negli anni qualcosa è cambiato radicalmente. Scopriamo come.

 

 

 

 

West Side Story

L’incontro è cominciato con una scena di West Side Story (1961) di Robert Wise, con musiche di Leonard Bernstein:

Amo moltissimo questo film. L’ultima volta che l’ho visto è stato in sala, era in una retrospettiva, poco prima di girare La La Land. Eravamo io e Justin Hurwitz, mio compositore e compagno di stanza al college.

Il lavoro di Robert Wise al montaggio è incredibile: come taglia sulla musica e sui corpi. Lavora all’opposto di come ho fatto io in La La Land: West Side Story è pieno di tagli, ma è stupendo lo stesso

 

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Steven Spielberg, che ha prodotto First Man, sta realizzando la sua versione di West Side Story e Chazelle ha potuto vedere qualcosa direttamente dal cellulare del collega:

Steven Spielberg è un regista migliore di Wise e credo possa fare un ottimo lavoro.

Ai tempi di First Man, che ha prodotto, abbiamo parlato: aveva firmato per fare questo remake ed era molto preoccupato perché aveva ricevuto diversi commenti negativi dalla stampa. Una cosa che mi ha fatto pensare: per un regista giovane è rassicurante vedere Steven Spielberg preoccupato per un film!

 

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West Side Story è un film importante nella storia dei musical, ma credo ci siano dei margini di miglioramento: soprattutto lavorando su cast e location, per essere più fedeli al testo originale. Con attori ispanici e più vicini all’età dei personaggi.

E poi siamo onesti: nessuno sa muovere la camera e tagliare sui movimenti dei corpi meglio di Steven Spielberg. Ho visto qualche prova dei numeri musicali che aveva registrato sul suo cellulare.

 

West Side Story

 

 

 

Les Parapluies de Cherbourg

La seconda clip è stata di Les Parapluies de Cherbourg (1964), film di Jacques Demy con protagonista Catherine Deneuve. Un titolo fondamentale per Damien Chazelle, quello che ha cambiato tutto:

L’ho visto per la prima volta a 18-19 anni. Credo sia il film più importante della mia vita da cinefilo.

Prima di vederlo non mi piacevano i musical ma, visto che amavo la Nouvelle Vague, ne avevo sentito parlare e l’ho visto, anche se pensavo non facesse per me.

I primi 10-15 minuti mi hanno messo a dura prova, mi sembrava insopportabile: non era un musical classico, mi sentivo distante.

 

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Poi, lentamente, è successo qualcosa, non so bene cosa: era come se esistesse una porta sul retro da cui le emozioni potevano passare prendendomi di sorpresa, senza che me ne accorgessi. Alla fine ero completamente devastato. È un film molto commovente.

Quei 90 minuti mi avevano fatto fare un viaggio incredibile. Quindi ho cominciato a vederlo e rivederlo.

Credo che il senso di artificio iniziale lo rende più vero: abbatte una barriera, distrugge il codice classico di cosa è vero e cosa no. In questo modo sei vulnerabile in un modo diverso dal solito. Vieni trasportato in un piano trascendentale di poesia, musica e arte nel senso più astratto. Sei oltre il solito cinema, in un punto più ricco, puro e bello. È il più grande trucco nella storia del cinema e quello che più mi ha ispirato.

 

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Ed è incredibile perché Les Parapluies de Cherbourg è un musical se vogliamo ordinario rispetto rispetto a quelli americani, tutti così esagerati e fondati sullo spettacolo, sull’intrattenimento. Questo francese invece parla di due persone che cantano di aprire una pompa di benzina! Ha anche un finale insolito: non pensavo si potessero fare dei musical così. Dopo aver visto questo ho riconsiderato tutti gli altri sotto una luce diversa.

 

 

 

 

Incontriamoci a Saint Louis

E avanti con Incontriamoci a Saint Louis (1944) di Vincente Minnelli, regista molto amato da Chazelle, con protagonista Judy Garland:

Pur essendo un classico musical degli Studios, è molto vicino all’approccio francese.

È una storia ordinaria su una famiglia ordinaria. Il problema maggiore del film è che i protagonisti si devono spostare a New York: è tutto molto intimo e privato, non c’è un grande conflitto. Il senso del domestico è presente anche nel canto e nel ballo: vediamo i fratelli piccoli che scendono le scale, oppure una sequenza in cui si parla di ketchup! Amo tutta questa ordinarietà.

 

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Dopo Jacques Demy, Vincente Minnelli è il mio regista di musical preferito. È famoso soprattutto per il suo utilizzo del colore, che diventa protagonista dei suoi film, quasi un personaggio, ma penso che sia anche un grande maestro del movimento. La fluidità della camera dentro e fuori la coreografia è incredibile.

 

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Il ballo dovrebbe essere inseparabile dalla camminata di un personaggio e dal suo linguaggio del corpo: per me è l’idea fondamentale del musical. Persone diverse devono ballare in modi diversi, così che non si abbia mai l’impressione che un coreografo sia sceso dal cielo e abbia fatto danzare tutti.

Prendiamo Fred Astaire e Gene Kelly: non saprei scegliere tra loro. Fred Astaire è molto asciutto e leggero, Kelly più muscolare e atletico. Kelly però ha un’inquietudine che ha spinto ancora più in là il musical cinematografico.

 

Ennio Morricone

 

 

 

Cappello a cilindro

Un classico tra i classici, Cappello a cilindro (1935), con protagonisti Fred Astaire e Ginger Rogers, ha permesso al regista di parlare del concetto di “rimozione della fatica”:

Forse a volte ho sognato di vivere dentro a un musical, ma non come accade in La rosa purpurea del Cairo: quando guardo i musical una parte del mio cervello è sempre ossessionata dal capire come è stato fatto.

Sono ossessionato dal trucco, dalla magia che maschera la fatica e il duro lavoro.

 

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Parte del fascino dei musical è che i migliori sembrano fatti senza sforzo: non si percepisce il sudore dei 50 ciak fatti da Fred Astaire, i piedi sanguinanti di Debbie Reynolds in Singing in the rain. Tutto sembra naturale, non si percepisce tutto lo sforzo che serve per creare questa illusione.

 

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Adoro Ginger Rogers, per me è lei che rende davvero speciale i film fatti con Fred Astaire. Non conta soltanto quello che fai con i piedi, è importante anche la faccia: se guardiamo cosa faceva lei con il volto, le emozioni che riusciva a veicolare, come recita, si capisce perché quei numeri musicali abbiano una grande profondità. Era spettacolare, anche più di Fred Astaire e Gene Kelly.

 

 

 

 

 

La La Land

Impossibile non concludere con La La Land (2016), il musical di Chazelle che ha aperto la 73esima Mostra del Cinema di Venezia, aggiudicandosi 6 premi Oscar (purtroppo non quella per il miglior film: un furto che rimarrà nella storia). La pellicola ha riportato di moda il genere. In tempi recenti solo Moulin Rouge! ci era riuscito:

Prima c’erano stati alcuni musical che avevano funzionato, ma erano basati su spettacoli di Broadway, non erano originali.

È stato difficile far accettare un musical con musica scritta dal mio coinquilino al college! Per questo ci è voluto un po’ per metterlo in piedi.

 

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Mentre sognavo di farlo e lo scrivevo pensavo proprio a Emma Stone: era il periodo in cui aveva fatto Easy Girl. Sembrava tutto molto lontano, all’epoca non avevo fatto nemmeno Whiplash. Speravo che La La Land fosse il mio primo grande film, ma mi sono dovuto rassegnare per un po’ e ho fatto prima Whiplash, che avendo budget e cast più ridotti era più facile da realizzare.

Alla fine è stato meglio così: grazie a Whiplash ho convinto Emma e Ryan Gosling a correre un rischio.

 

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Ho spiegato subito a entrambi che non volevo che facessero finta di essere Fred Astaire e Ginger Rogers: non dovevano sembrare ballerini allenati, ma persone comuni che ballano. Nello stile di Jacques Demy: uno stile di ballo con i piedi per terra, fatto da persone che vorrebbero essere come i divi di Hollywood ma sono imperfetti. Anche il canto doveva essere un po’ parlato.

 

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Non avevo in mente un film come Chicago o Dreamgirls, che sono molto “da palco”. Alla fine credo abbiano accettato perché, conoscendosi già e avendo già lavorato insieme, si fidavano l’una dell’altro. D’altra parte non mi conoscevano e non c’è genere imbarazzante come il musical: sia per il regista sia per chi lo fa. Si è nudi in tutti i sensi quando si gira un musical. Si deve combattere il ridicolo.

 

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Il nuovo progetto sarà ambientato negli anni ‘20

Infine Damien Chazelle, salutando, ha parlato anche del suo nuovo progetto:

Non si tratta di un musical, ci sarà certamente tanta musica. È ambientato negli stessi anni di Cantando sotto la pioggia, tra fine anni ’20 e inizio anni ’30: il periodo della fine del cinema muto, ma non solo, sono anni di tanti cambiamenti. Spero proprio sia il prossimo progetto che realizzerò.

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