The Vigil, la Recensione dell’horror di Keith Thomas

recensione di The Vigil

La recensione di The Vigil – Non ti lascerà andare arriva nel giorno stesso della sua uscita al cinema: riuscirà questo nuovo horror a trascinare gli appassionati nelle sale e chiudere “in orrore” questo ultimo scampolo d’estate? Scopriamolo.

L’opera prima di Keith Thomas, giovane promessa dell’indie-horror, arriva con un carico di aspettative non indifferenti.

The Vigil ha fatto saltare sulla sedia nientemeno che Jason Blum, nume tutelare dei registi dell’orrore dell’ultimo decennio, che con la sua casa di produzione ha pensato subito di prendere sotto la sua ala protettiva il ragazzo.

Thomas merita effettivamente questo hype?

Nella nostra recensione di The Vigil risolveremo questo dubbio, anticipando che come primo film nato nel settore indie-horror è niente male.

Agevoliamo il trailer, e poi dritti in sala!

 

 

Nella tradizione ebraica, il soprannaturale svolge un’enorme funzione metaforica ed esemplare, e non è un caso che alcuni dei principali mostri della storia dell’horror siano diretta conseguenza dei racconti che nei secoli si sono formati su dybbuk e golem.

Per secoli questi racconti si sono tramandati, fino ad arrivare a vere e proprie trasfigurazioni su pellicola agli albori del cinema, si pensi a Der Golem (1915) di Henrik Galeen e da Paul Wegener o Der Dibuk (1937) di Michał Waszyńskima.

Da lì il genere horror ha tratto ispirazione, abbeverandosi alla fonte di testi religiosi e racconti nati dalla superstizione, spesso trasformando e aggiornando gli spiriti e i mostri che li abitavano.

Alcuni dei filoni di maggiore successo sono quelli delle case infestate da spiriti maligni, delle possessioni demoniache, delle presenze che non lasciano scampo ai poveri malcapitati che le risvegliano.

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The Vigil è un po’ tutto questo, con Keith Thomas che prova a rileggere cent’anni di cinema di questo tipo attraverso una ottica low-budget, claustrofobica, essenziale ma ben realizzata.

Come nel più classico degli incipit, conosciamo il nostro protagonista attraverso una situazione in cui si sente un pesce fuor d’acqua.

In nostro personaggio è un giovane che si è allontanato dalla comunità ebraica ortodossa di Brooklyn, e che evidentemente ha dei problemi relazionali a causa di qualche oscuro avvenimento passato.

Il destino è dietro l’angolo: in difficoltà economiche, è praticamente costretto ad accettare l’offerta di ricoprire il ruolo di “shomer” che gli avanza un conoscente della sua precedente vita religiosa.

Lo shomer è, in soldoni, una persona che veglia un cadavere e recita salmi per proteggere il viaggio del defunto, una pratica rituale di prendersi cura dei morti nella loro stessa casa durante il corso di una notte.

Manco a dirlo, sarà solo l’inizio di una notte da incubo, una notte che potrebbe non avere fine…

 

The Vigil intervista Keith Thomas

 

Si salta sulla sedia? Sì, e la qualità dei jumpscare a volte è diseguale, ma va riconosciuto a Keith Thomas di essere riuscito a costruire in economia di mezzi un meccanismo con una tensione crescente, palpabile e credibile.

Ambientato quasi esclusivamente entro i confini della casa del morto che ha accettato di vegliare, The Vigil sembra voler essere il primo passo per la costruzione di un un “universo” che potrebbe espandersi in maniera significativa.

Va riconosciuto a Keith Thomas di essere riuscito a costruire in economia di mezzi un meccanismo con una tensione crescente

Il film è anche molto particolare perché racconta in maniera competente una parte del mondo ebraico ortodosso, visto attraverso la lente deformante dell’orrore, ma comunque rappresentando qualcosa di inedito a livello di atmosfera.

Il nostro protagonista Yakov, con la faccia spaesata e sofferente di Dave Davis (assai bravo), dovrà attraversare un’intera notte da incubo in compagnia di un cadavere, di visioni allucinatorie, di una vedova molto stramba, di scoperte inquietanti e di lotta contro i propri demoni.

Mentre, inutile dirlo, un demone vero e proprio, un dybbuk di quelli della peggior specie, rischia di farlo uscire di testa mente fisicamente non lo fa uscire di casa.

 

The Vigil intervista Keith Thomas

 

Non è un caso che nelle immagini promozionali il film di Thomas faccia leva sul potere spaventoso del cadavere coperto da un lenzuolo bianco.

Elemento centrale della narrazione, domina l’angusta stanza con la sua immobilità ma è una presenza ingombrante, capace di metterci a disagio semplicemente stando lì.

Inizia poi tutto il repertorio di elementi strani, segnali inquietanti, luci che vanno e vengono, tecnologia che si rivolta contro i personaggi, eccetera… alcune cose sanno di già visto, altre funzionano bene, altre ancora sembrano un po’ troppo “moderne” per essere padroneggiate da uno spirito ebraico, ma tutto sommato il film fa il suo sporco lavoro.

E proprio qui sta la differenza di The Vigil con tanti altri film delle case infestate: Thomas prende molto sul serio la materia, lo fa con un rispetto religioso, e costruisce in maniera molto compatta la sua sceneggiatura.

 

 

Bisogna fare i complimenti anche al direttore della fotografia Zach Kuperstein, che riesce a ricostruire letteralmente con semplici giochi di luci gli spazi stretti della casa in cui si svolge l’azione.

Rivelare altro sarebbe spoilerare troppo, ma va detto che il percorso con il quale Yankov prende coscienza della propria situazione, cerca di sfuggirgli e poi comprende la natura della minaccia, arrivando a capire come affrontarla, è molto ben architettato.

Ci sono molti temi che emergono in superficie senza risultare pesanti o gratuiti.

 

Dal senso di alienazione al senso di colpa, dall’orrore umano che supera quello demoniaco all’odio razziale, dalle radici culturali al problema dell’identità.

 

La recensione di The Vigil non può che arrivare a questa conclusione: un horror classico mantiene sempre il suo fascino, anche senza esibite letture a livelli e senza invenzioni tecniche straordinarie.

Pura tensione e progressione drammatica inesorabile.

In conclusione di questa recensione di The Vigil, se sei un appassionato di horror, puoi trovare tutto questo un po’ già visto e un po’ prevedibile, ma da vero appassionato sai che l’amore che traspare per una storia come questa su vede dalla sua realizzazione.

Keith Thomas, lavorando nella nicchia indie, scava nel genere e usa tutti i trucchi possibili in maniera pratica senza strafare e senza cadere nel ridicolo, senza ausili di CGI e ricorrendo quando serve a un immaginario vintage che fa piacere.

 

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