L’analisi sociologica dei movimenti anti mascherine dimostra uno spaccato umano molto più complesso di quanto siamo abituati a riconoscere.

La Fondazione Jean-Jaurès ha pubblicato oggi i risultati di un’indagine che mira a identificare il profilo tipo di quei francesi che si oppongono all’uso dei dispositivi di protezione individuale e il panorama che emerge è ben diverso da quello solitamente descritto dai media.

A muoversi contro l’uso dei DPI non sono infatti solo i negazionisti, ma anche una significativa fetta di individui che ritengono nettamente sopravvalutata l’efficacia delle mascherine, nonché una frangia minore di complottisti che le mascherine le vedono addirittura come un giogo simbolico imposto da Governi più o meno occulti.

 

 

I movimenti anti mascherine non nascono quindi dal desiderio di disconoscere la scienza, il loro minimo comune denominatore è piuttosto l’impulso a diffidare di ogni forma di autorità formale.

Tra gli intervistati, solo il 6 per cento ha sostenuto di riporre fiducia nell’istituzione presidenziale, statistica che cala al 2 per cento quando a essere sondata è l’opinione sul presidente stesso, Emmanuel Macron.

Al di fuori della sfera prettamente politica le cose non vanno meglio: i sindacati vantano il supporto di un misero 10 per cento dei dissidenti, mentre gli ospedali racimolano a malapena un tasso di fiducia che si attesta al 53 per cento.

Questa diffidenza istituzionale è fondamentalmente apolitica, con il 61 per cento degli intervistati che ha ammesso di non sentirsi riconosciuto dal rapporto dicotomico-conflittuale tra destra e sinistra.

Coloro che hanno accettato di affiancarsi a un’ideologia si sono comunque spaccati tra i due principali partiti “populisti” francesi: quello guidato dal demagogo di sinistra Jean-Luc Mélenchon e quello capitanato dalla leader di estrema destra Marine Le Pen.

 

marine le pen

Marine Le Pen a un comizio.

 

In contrapposizione ai movimenti di dissenso studiati fino a oggi dalla letteratura scientifica, il gruppo anti mascherine franco è inoltre ben lungi dall’essere costituito in maggioranza da giovani uomini appartenenti alle classi popolari.

Il genere femminile domina, ritagliandosi il 63 per cento delle presenze alle manifestazioni, mentre l’anagrafica contraddice diversi precedenti storici: non sono i giovani a contestare, ma i cinquantenni.

Falsa è anche l’idea che il complottismo anti mascherine si sia insinuato solamente nelle menti ingenue e prive di preparazione. I ricercatori francesi hanno riscontrato un’alta scolarizzazione, con la media degli attivisti che vanta come minimo una laurea breve.

Invece che ricordare i classici moti studenteschi, quanto riportato dai ricercatori richiama alla memoria la rivoluzione francese o quella leninista, ambo sommosse nate da uno stimolo di insoddisfazione da parte del ceto medio-alto nei confronti delle élite dominanti.

Liquidare i manifestanti come personaggi bislacchi esterni alla normalità rischia quindi di svuotare di senso un fenomeno che invece riflette un crescente frangente della società occidentale.

 

 

La Fondazione Jean-Jaurès fa notare che in Europa si stia infatti facendo prepotentemente largo un atteggiamento liberale, economico e morale, di radice statunitense, ovvero che un crescente numero di individui preferisca che i Governi non mettano bocca sul come i cittadini debbano gestire la propria vita/salute.

Questo atteggiamento, gonfiato e al contempo limitato dalle “bolle cognitive” a cui ci chiudono i social, affievolirebbe le possibilità di confronto con l’alterità, soffocando di conseguenza le dinamiche che reggono la democrazia per sostituirle con un “noi contro loro” le cui regole di ingaggio sono ancora da definire.