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Il New York Times divorzia da Apple News

Il New York Times divorzia da Apple News

Il New York Times non farà più parte dei quotidiani inclusi nell’aggregatore Apple News. «Abbiamo bisogno di una relazione più diretta con i nostri lettori».

Il NY Times continuerà ovviamente a lavorare con Apple, ad esempio offrendo i suoi servizi attraverso l’App Store, o i suoi podcast all’interno dell’app per iPhone. Quello che cambia è che il quotidiano non comparirà più all’interno dell’aggregatore Apple News.

Apple, dal canto suo, non sembra accusare il colpo: «Il New York Times offriva ad Apple News soltanto un numero esiguo di storie al giorno», ha detto a Gizmodo un portavoce dell’azienda. Apple sostiene anche che il New York Times avesse iniziato, già nel 2019, a ridurre gradualmente il numero di articoli offerti agli utenti di Apple News.

Gizmodo cita anche una dichiarazione attribuita in questi giorni a Meredith Kopit Levien, COO della testata:

Il New York Times ha iniziato un percorso per riportare i suoi lettori all’interno dei nostri spazi proprietari, dove abbiamo un controllo diretto su come viene presentato il nostro lavoro, sul rapporto con i lettori, e sulla natura della nostra filosofia di business. Apple News non rientra all’interno di questi parametri,

avrebbe detto.

Uno dei problemi, nota sempre Gizmodo, è che Apple News, a differenza del servizio concorrente di Google, non permette ai lettori di leggere gli articoli sul sito ufficiale della testata: tutti i contenuti vengono fruiti direttamente all’interno di Apple News, privando —tra le altre cose— dei dati necessari alle testate per continuare ad ottimizzare il loro servizio.

L’altra noia è che Apple si prende pure il 30% su tutti gli abbonamenti sottoscritti con le testate all’interno dell’app Apple News. Un problema già sentito, e che viene rinfacciato sempre più spesso anche all’App Store, solamente che ora le aziende partner —da Spotify a Netflix— sempre più più potenti e autonome, ritengono di avere i numeri e le forze per farcele da sole, rivendicando, se va bene, condizioni contrattuali meno onerose, e se va male scegliendo direttamente di ricorrere all’agone del diritto e in particolare delle norme antitrust:

 

Nel frattempo, Google vuole iniziare a pagare alcuni editori per i loro contenuti:

 

 

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