Quick bites, big stories. Grandi storie a piccoli morsi. Sta tutto nella sua frase di lancio il senso di una delle operazioni più interessanti del panorama dello streaming odierno: Quibi (appunto, Quick+Bites).
Ma che cos’è Quibi?
Domanda legittima. In questo articolo andiamo a vedere la storia, il funzionamento e il catalogo di una creazione che qualcuno potrebbe ritenere folle e superflua, ma che potrebbe attecchire e creare un nuovo modo di fruire l’entretainment.
In pochissime parole, potremmo definire Quibi la piattaforma di streaming pensata esclusivamente per il mobile, con una fruizione responsive che rende il formato sempre perfetto, che si guardi con lo smartphone in verticale o in orizzontale.
I suoi contenuti, sia fiction, sia documentari, sia show, sono infatti realizzati e montati per adattarsi in tempo reale alla nostra modalità di fruizione.
E non è tutto: lo standard di durata per ogni episodio va dai 5 ai 10 minuti.
Insomma, avrai capito che Quibi è una piattaforma di streaming mobile-first pensata e realizzata per chi ha sempre lo smartphone in mano e non vuole rinunciare a contenuti interessanti e di qualità.
Perché un altro aspetto critico del suo lancio, ovviamente, è cercare di catturare più utenti possibili grazie ai nomi di richiamo e la varietà dei contenuti.
Cos’è Quibi: una rivoluzione di…
respiro breve
Insomma, guardare un’intera serie in un pomeriggio non sarà più questione di binge watching compulsivo ma una normale routine da vivere serenamente, secondo l’idea dei creatori di Quibi.
A proposito di creatori: tanto per darti un’idea di come questo servizio non sia l’idea balzana di qualche startupparo di primo pelo o di un network esistente, sappi che dietro a tutto questo c’è nientemeno che Jeffrey Katzenberg, il celebre ex presidente della Disney e CEO della Dreamworks.
Accanto a lui una donna da tre miliardi di dollari, Meg Whitman, anche lei ex Disney e poi in ruoli dirigenziali in eBay e in HP.
Il volpone sa benissimo che nella guerra dello streaming non puoi sperare al momento di fare concorrenza diretta a Netflix, Amazon Prime e gli altri: sarebbe una mossa suicida.
Ecco perché, come insegnano le teorie di base sul posizionamento di brand, Quibi fa leva su un forte elemento differenziante: i contenuti brevissimi (nella sostanza) che si adattano alla visione (nella forma)
Al suo annuncio, Quibi ha raccolto oltre un miliardo di dollari di investimenti, e tra chi ha aperto il portagfogli ci sono studi cinematografici come Walt Disney, 21st Century Fox, e Warner, aziende leader della tecnologia come Alibaba, e diverse case di produzione.
E il coinvolgimento di nomi grossi, da Will Smith a Sam Raimi, passando da Cristoph Waltz a JJ Abrams, da Spielberg a Jennifer Lopez.
Quibi: prova gratuita, prezzo e abbonamento
Lunedì 6 aprile, giorno di lancio ufficiale dell’app, mi sono fiondato a scaricare Quibi per un prova diretta. Intanto, i tre mesi gratis di prova ci sono, ma poi si pagano 8,99 euro al mese (per un’esperienza AD-free).
Sul sito si annunciano due versioni, anche una da 4,99 dollari al mese con pubblicità, ma al momento dalla mia app non c’è modo di cambiare tra le due, neppure andando a smanettare nelle impostazioni o nello store.
Staremo a vedere. Ricapitolando:
- Quibi è disponibile dal 6 aprile.
- Al momento la prova gratuita è di 90 giorni, fino al 30 aprile
- Quibi *dovrebbe* poi costare 5,99 euro con pubblicità e 8,99 euro senza pubblicità
- I contenuti durano tutti meno di 10 minuti, siano episodi di serie tv o show
- Sono annunciati 25 nuovi episodi ogni giorno.
Ma alla fine della fiera, Quibi vale i soldi di un abbonamento (AD-free o meno)?
Come funziona Quibi, provato per voi
Iniziamo a dire che è davvero ironico che un servizio di streaming mobile-first, quindi pensato per chi è sempre in mobilità, in giro per strada o sui mezzi, si sia ritrovato a partire in questo periodo in cui tutto il mondo e a casa (o almeno di spera).
L’interfaccia della app è veramente minimal e content- based, nel senso che ti propone singoli contenuti prima ancora che raccolte di generi, presentando la sezione “Today for you”.
Il meccanismo è quello di farti fare swipe up per scorrere più o meno l’intero catalogo.
Nel menù in basso si può accedere alla sezione di ricerca, ben poco intuitiva per la verità, dato che non presenta cartelle di generi ma ti chiede solo di digitare una parola chiave.
Abbiamo poi la voce “Follow” dove possiamo velocemente accedere ai nostri preferiti e l’immancabile zona dei download per vedere offline quello che abbiamo scaricato in precedenza.
In sostanza tutto il palcoscenico è occupato dai programmi.
A proposito, al momento non c’è nessun doppiaggio e i sottotitoli sono presenti soltanto in inglese e spagnolo. Non c’è alcuna icona per cambiare la lingua audio, per intenderci.
Le serie sono sicuramente più appaganti da vedere con lo smartphone in orizzontale, andando magari a “zoomare” sui volti o su certi dettagli girando il telefono in verticale in alcuni momenti.
Un divertimento che può durare o esaurirsi subito, a seconda dei gusti.
Gli show invece sembrano essere stati pensati e realizzati per essere fruiti in verticale, senza alcun bisogno di “raccontare” di più con il formato panoramico.
Anche vero che sicuramente i programmi leggeri e di intrattenimento sono molto più tagliati su misura per questo tipo di piattaforma.
Per quanto possiamo essere ipertecnologici, un drama o una serie d’azione tagliata a pezzetti di 6-8 minuti non sempre permette di appassionarsi abbastanza a quello che viene raccontato, anche se i singoli episodi sono stati pensati, scritti e realizzati appositamente.
Il catalogo di Quibi:
tra piccoli blockbuster e show unscripted
Quibi ha al momento a disposizione una buona selezione di contenuti, dal sapore però fortemente americano: al di là delle “serie tv”, gli show hanno quel taglio tipicamente trash-funny ambientato in aule di tribunale fittizie, salottini indie dove si parla di sesso, late show con ospiti star e starlette (John Krasinski, Miley Cyrus…)
Comunque ho appena finito di ridere con la puntata sul “Lassie canadese” di Memory Hole, un piccolo show condotto da Will Arnett (dopo BoJack Horseman, praticamente un pioniere di tutte le piattaforme streaming) che tira fuori roba weird e cringe degli anni ’70-’80 della pop culture.
Ma ci sono produzioni di serie A: ad esempio la serie thriller Most dangerous Game con Liam Hemsworth braccato e Cristoph Waltz nei panni del cattivo.
La classica trama del tizio pieno di debiti che si ritrova nei panni della preda è calato in un contesto distopico. Ci sono tre episodi e ne arrivano altri ogni settimana, quindi al momento in 25 minuti abbiamo finito di vederla!
Oppure Survive, una delle serie di punta, dove Sophie Turner (Sansa Stark in Game of Thrones) è una ragazza depressa e con tendenze suicide che ha un piano in mente… ma questo piano andrà a farsi benedire per un crudele scherzo del destino.
E che piattaforma sarebbe senza il suo “Stranger Things”, ormai produzione più fotocopiata del mondo?
Scherzo, ma comunque When the Streetlights Go On, ambientato nel 1995 e coi ragazzini in bicicletta, pare essere il classico teen-drama (c’è di mezzo un omicidio) che cattura il pubblico giovane.
Non manca il true crime, con Murder House Flip, programma in cui una coppia di designer va a rifare il volto e gli interni a case che sono state teatro di terribili casi di cronaca
E poi musica (pop5), ASMR (The Daily Chill), Canini e Gattini (All The Feels), dating (Singled Out)… c’è davvero di tutto e come si evince dalle tematiche si va a pescare non solo dal classico repertorio delle pay-tv o dello streaming ma anche da quello che è in voga su Youtube e altri social.
Senza contare che tra poco arriverà 50 States of Fright, una serie di Sam Raimi con cortometraggi horror dedicati a leggende urbane di ogni diverso stato degli USA.