La recensione de Il Richiamo della Foresta, nuovo adattamento cinematografico del romanzo per ragazzi di Jack London, in arrivo nelle sale il prossimo 20 febbraio. Il film, diretto da Chris Sanders, riprende il messaggio ed i toni edulcorati dell’opera originale, lasciando da parte quello che è forse l’elemento più importante: l’azione.
Il 2020 della Disney e della 20th Century Fox sembra essere più che cominciato e la nostra recensione di Il Richiamo della Foresta è l’ennesima prova che ormai siamo nel pieno di una vera e propria era cinematografica, non solo per la tipologia di prodotti presentati in sala, ma anche per la stessa produzione e, soprattutto, distribuzione.
C’è stato un tempo in cui la letteratura per ragazzi svolgeva un ruolo di primaria importanza nel processo educativo del bambino, promuovendo storie intrise di avventura, messaggi morali e personaggi dai contorni puerili. Questa rappresentazione pura e realistica dell’infanzia portava il piccolo lettore ad immedesimarsi e ad avvicinarsi emotivamente alle vicende trattate, divenendo parte attiva di un processo che andava oltre il mero intento pedagogico.
Sebbene i tempi siano cambiati, oggi si sente ancora il bisogno di raccontare ai bambini le favole di un tempo, quei racconti semplici e diretti, capaci di nascondere, sotto il velo del meraviglioso, una morale senza tempo.
Così, dopo il Pinocchio di Garrone e Il Re Leone di Favreau, ecco giungere in sala l’adattamento di un altro grande classico del passato: Il richiamo della Foresta. Al suo debutto alla regia per un live-action, Chris Sanders propone una versione moderna e romanzata dell’omonimo film del 1935, raccontando la storia dell’amato cane Buck attraverso un accurato mix di realismo e CGI. Sarà davvero riuscito a mantenere intatta l’essenza dell’opera originaria? Scopritelo con la nostra recensione.
Prima di iniziare, però, vi ricordiamo che Il Richiamo della Foresta arriverà nelle sale italiane da giovedì 20 febbraio.
Nato dalla penna di Jack London nel 1904, Il richiamo della foresta racconta una delicata e profonda storia d’amicizia fra un uomo ed un cane, che si ritrovano a vivere un’avventura ai confini del mondo tra speranze, insidie e paure.
Protagonista indiscusso è Buck, adorabile cane dal cuore d’oro con un innato fiuto per i guai. La sua fierezza, il suo portamento maestoso, la sua spiccata generosità lo rendono un cane fuori al comune, paragonabile per caratteristiche emotive più ad un essere umano, che ad un animale. Lo stesso autore del romanzo arrivò persino più volte ad identificarsi in lui, nei suoi moti dettati dall’istinto e nelle sua continua e disperata ricerca di un posto nel mondo.
Ai fini del racconto, era quindi indispensabile rendere Buck quanto più espressivo possibile in modo da rendere le sue emozioni pienamente “umane”. Proprio per questo, Sanders sceglie di riprodurre Buck totalmente in digitale, dando vita a quello che è a tutti gli effetti un film a tecnica mista ( che prevede la compresenza di scene live-action e scene in CGI).
Il risultato è la messa a punto di un’operazione analoga a quella già vista nel remake de Il Re Leone, ma con risultati decisamente meno equilibrati e soddisfacenti.
Il risultato è la messa a punto di un’operazione analoga a quella già vista nel remake de Il Re Leone, ma con risultati decisamente meno equilibrati e soddisfacenti. Se è pur vero, infatti, che Buck abbraccia un’espressività tutta umana e fuori dal comune (con una resa grafica delle animazioni che è a dir poco spettacolare), è altrettanto vero che la distanza tra le sequenze animate e quelle con attori in carne ossa è fin troppo labile, tanto da arrivare ad essere un limite al coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Un impedimento che acquista ancor più peso, se pensiamo che il fine ultimo della pellicola è proprio quella di riuscire ad emozionare lo spettatore, attraverso una storia che ruota interamente sul rapporto fra l’uomo ed il cane.
Ad accompagnare Buck in quest’affannoso viaggio, vi è Harrison Ford che in questo adattamento interpreta il saggio John Thornton, uomo dal cuore nobile, rifugiatosi in Alaska per tentare di buttarsi alle spalle un passato sin troppo insidioso. L’incontro con Buck si rivela essenziale per il ristabilimento del suo equilibrio: Buck, in fondo, seppur un animale, sembra quasi nutrire i suoi stessi sentimenti, le sue stesse paure, i suoi stessi desideri.
Entrambi percepiscono “il richiamo della foresta”, entrambi cercano disperatamente di ritrovarsi, lottando contro le difficoltà della vita e desiderando di trovare infine il proprio posto nel mondo.
Entrambi percepiscono “il richiamo della foresta”, entrambi cercano disperatamente di ritrovarsi, lottando contro le difficoltà della vita e desiderando di trovare infine il proprio posto nel mondo. L’amicizia leale e sincera che si stabilisce tra i due sembra funzionare perfettamente su schermo. Complice senza dubbio l’ottimo lavoro di caratterizzazione del personaggio svolto da Harrison Ford che in questo nuovo adattamento dona finalmente spessore e personalità ad un personaggio che nel libro era stato soltanto abbozzato in funzione della costruzione del protagonista.
Chris Sanders, già regista del primo Dragon Trainer, opta così per un adattamento oculato e fedele del film del 1935, diluendo i tempi di narrazione e soffermandosi principalmente sul viaggio di formazione di Buck.
Le corpose pennellate di Disney Touch, sempre presenti nel film, disegnano una storia di amicizia, coraggio e crescita, che fatica però a trovare il suo equilibrio negli intenti, così come nel ritmo.
Le corpose pennellate di Disney Touch, sempre presenti nel film, disegnano infine una storia di amicizia, coraggio e crescita, che fatica però a trovare il suo equilibrio negli intenti, così come nel ritmo. La nuova versione cinematografica de Il richiamo della Foresta resta, infatti, un film che incanta lo spettatore per gli espedienti tecnici e visivi che adotta ( gli splendidi scorci naturali dell’Alaska ripresi in campo lungo, ne sono un chiaro esempio), ma privo di azione. Le poche scene dinamiche, seppur presenti, restano poco strutturate e confinate ai margini ai di un racconto che purtroppo fallisce nell’ambizione di voler intrattenere e coinvolgere i più piccoli.
L’obiettivo primario di Sanders rimane quello di riprodurre le atmosfere del romanzo, cercando di trasportare lo spettatore all’interno dell’habitat naturale in cui vivono i due solitari protagonisti.La Natura, così come nel romanzo di London, assume quindi un ruolo da protagonista, accanto a Buck.
Janusz Kaminski, già direttore della fotografia in Ready Player One, mostra su schermo tutta l’imponenza, la bellezza e la maestosità della Natura. Dalle montagne innevate, passando per le infinite distese erbose, fino ad arrivare alle fitte foreste che si perdono a vista d’occhio alla luce fioca dell’orizzonte. Ogni scorcio rappresenta la Natura nella sua veste più suggestiva, più reale, più selvaggia, una Natura che l’uomo ha cercato di manipolare e schiacciare, ma che soltanto l’animale ha saputo infine abbracciare e domare.
Nell’adattamento di Chris Sanders c’è tutto il cuore del racconto di London: la riflessione sull’estenuante percorso di crescita, sulla ricerca di sé e sull’importanza di trovare il proprio posto nel mondo.
Ma nonostante ciò, il film fatica a trovare il suo equilibrio, ad intrattenere ed a coinvolgere, restando schiavo delle sue criticità sia sul piano registico che su quello prettamente tecnico.
Un adattamento, quello di Sander, che forse avrebbe potuto osare di più per cercare di andare pienamente incontro alle esigenze e alle logiche del mercato odierno.