Concrete Genie: la speranza nell’immaginazione

Abbiamo finalmente giocato la nuova curata esclusiva PlayStation 4 marcata PixelOpus. Al netto delle diverse imperfezioni, tra fasi creative, azione ed approccio artigianale, Concrete Genie rappresenta senza dubbio un’esperienza unica.

Quando in occasione del corposo hands-on estivo organizzato negli uffici di Sony PlayStation abbiamo fatto per la prima volta approfondita conoscenza di Concrete Genie, non possiamo negare di esserne usciti a dir poco stupiti. Un titolo dalla comunicazione claudicante prendeva finalmente forma, e le parole di Dominic Robilliard e Jeff Sangalli – rispettivamente creative director ed art director, che abbiamo intervistato – ci hanno illustrato con successo uno sviluppo parallelo alle inclinazioni del team, seppure con le spalle coperte da quel gigante di SIE Worldwide Studios. 

La seconda opera di PixelOpus (dopo Entwined) è difatti al suo nucleo un ibrido tra produzione indipendente e mainstream (quello che in gergo chiameremmo doppia A), che respira una deriva artistica ispiratissima ed un approccio derivativo sia nella narrazione, sia nel gameplay. Concrete Genie è una piccola gemma confezionata con un abbandono creativo incondizionato, quella conduzione partecipata nella costruzione del gioco raccontataci e che alla fine siamo riusciti davvero a tastare con mano. 

Purtroppo – già lo mettiamo in chiaro -, come ogni lavoro autoriale non standardizzato e coltivato con fare artigianale, le avventure di Ash nella dapprima squallida Denska sono un gioiello opaco che non manca di mostrare evidenti criticità, specie nelle pretese narrative e nell’amalgama della formula ludica.

Leggi anche la nostra intervista e il nostro precedente hands-on

 

Prima di iniziare, vi ricordiamo che Concrete Genie arriva esclusivamente su PlayStation 4 da oggi 8 ottobre. Di amicizia, trauma, bullismo e redenzione, negli abissi di Denska.

 

 

L’ultima esperienza di PixelOpus intreccia bullismo ed alienazione con tematiche ambientaliste

Il concept dell’ultima esperienza di PixelOpus è un curioso intrecciare bullismo ed alienazione con tematiche ambientaliste in realtà mai davvero destinate ad esplodere. Ci troviamo nelle vesti di un ragazzo di nome Ash, costretto a separarsi dalla propria città natale in seguito ad un disastro ambientale tale da farne collassare ogni singola attività. Denska – questo il nome della piccola località – si è ridotta dunque a spettro di sé stessa, avvolta da una strana sostanza melmosa e invasa da un temibile gruppo di vandali/bulli. 

Nonostante l’aspetto ormai lugubre della zona, Ash ne risulta inevitabilmente attratto, fissato in un’illusione di ricordi e speranza dall’aspetto di un’utopia, non disposto dunque a seguire gli ovvi avvertimenti dei propri genitori. La passione di Ash, il tratto di panorami e creature fantastiche, gli permette di straniarsi da un mondo innaturale e stravolto, dove l’unica via d’uscita appare l’introversione. Tuttavia, preso l’album di disegni e strappatene le pagine dal gruppo di vandali di cui sopra, il ragazzo si trova a vedere reificata ogni sua immaginazione, alle prese con uno strano incanto in grado di dare vita a creature e ambienti dipinti da un particolare pennello sulle mura di Denska. 

La creatività rinnovata di Ash, con la complicità dei fedeli Geni, sembra essere al centro di una rinascita provvidenziale di un territorio martoriato

L’obiettivo a questo punto è presto detto, sfruttare l’energia esplosiva di questi nuovi incredibili poteri per mettere un punto alla tragedia della cittadina, nel ridarle di nuovo quella luce smarrita nella negatività della disperazione. La creatività rinnovata di Ash, con la complicità dei fedeli Geni – adorabili creature frutto del talento artistico del protagonista -, sembra essere al centro di una rinascita provvidenziale di un territorio martoriato, una redenzione non solo da una prospettiva meramente fisica, ma anche e soprattutto su un piano esistenziale. 

 

 

Come nel caso dei capolavori di Team ICO e Fumito Ueda, il rapporto tra uomo e creatura assume una rilevanza centrale

Il rapporto di dualismo ed amicizia di Ash con i Geni difatti non può non ricordare quello con Trico in The Last Guardian, e alcuni conflitti successivi strizzano decisamente l’occhio al sostrato di quel capolavoro di Shadow of the Colossus. Come nel caso dei capolavori di Team ICO e Fumito Ueda, il rapporto tra uomo e creatura assume una rilevanza centrale, intessuta su una catena di conseguenze implicite che spaziano dall’indagine sulla forza rivelatrice dell’arte a quella sul trauma, fino ad arrivare alla soluzione salvifica di un’amicizia oltre il rancore pregresso. 

Se tuttavia oltre le questioni affrontate esistono pretese narrative di un certo livello in Concrete Genie, questo purtroppo non si traduce in un risultato degno di effettivo spessore, a conti fatti didascalico all’inverosimile e delineato su toni bicromatici.

L’intreccio – dalla durata di circa 7 ore di gioco – si rivela una parabola piuttosto netta, fin dall’inizio chiarissima nei suoi risultati e poco coraggiosa nel risolvere le poche svolte interessanti degli eventi. Per di più, la trattazione del bullismo e della sua eziologia ci pone davanti ad una banalizzazione di involuzioni complesse, qui ben lontane dalla problematicità del reale ed appena caratterizzate con qualche banale scena di intermezzo, che sa tanto di contentino. 

In ogni caso, considerata anche la qualità eccelsa di alcune scelte insite nel concept, non ci sentiamo di bocciare in toto il saliscendi del racconto di PixelOpus, forse più adatto nella sua impostazione ad un pubblico di giovani e giovanissimi, a cui il titolo può essere affidato senza alcuna riserva.

 

 

 

 

Per quanto concerne invece il gameplay, Concrete Genie si compone come uno spaccato di due fasi, diverse e poco amalgamate

Per quanto concerne invece il gameplay, Concrete Genie si compone come uno spaccato di due fasi, nettamente diverse e poco amalgamate, i cui differenti ritmi definiscono ognuna delle metà del gioco. Nella prima sezione Ash si troverà a dover disegnare il più possibile sulle strade di Denska, cercando di illuminare con la sua pittura le pareti e così accendere le relative lampadine (qui una sorta di indicatore di progressione). Una volta accese le lampadine di tutte le zone di un singolo livello sarà quindi possibile passare al successivo, per un totale di 4/5 ambienti della città, a seconda del considerare o meno lo stage introduttivo. 

Al di fuori comunque di questo avanzamento lineare, in Concrete Genie viene data la possibilità di disegnare praticamente dappertutto, incrementando la longevità del pacchetto nel caso ci si perda nella propria vena artistica. Il sistema ideato per la pittura tra l’altro è molto ben congegnato e bilanciato nella sua percezione (con il sensore di movimento, ma è possibile anche impiegare l’analogico destro), a metà tra l’automatizzato (i disegni si completano e si animano autonomamente) e la scelta manuale; il tutto si rafforza pure attraverso lo stile adottato, delizioso e abbastanza eclettico da essere avvicinato alla urban art. 

Concrete Genie è un’avventura con semplici enigmi ambientali piuttosto diffusi

Approfittando dell’elemento adventure (arrampicate, fasi platform, ecc.) del titolo sono poi sparse per Denska diverse pagine dell’album danneggiato di Ash, con le quali è possibile sbloccare nuovi elementi del paesaggio o inedite tipologie di Geni, nonché vari abbellimenti per le creature stesse. Concrete Genie non rientra però nel genere delle avventure esclusivamente per il limitato elemento verticale del suo level design, ma soprattutto per la presenza di semplici enigmi ambientali diffusi, ruotati attorno all’interazione con i tre possibili colori elementali delle creature delineate. Rosso come prevedibile per il fuoco, giallo per l’elettricità e blu per il vento, con questi tre attributi alla base pure degli scontri con i Geni Oscuri. 

 

Concrete Genie include anche una modalità VR molto sfiziosa dove viene data la possibilità di dipingere con i controller PlayStation Move. È appena una parentesi rispetto al pacchetto principale, ma vale la pena darle una chance se si possiede PlayStation VR.

 

Il percorso di Concrete Genie passa attraverso corpose sequenze d’azione

Sì, perché il percorso dell’esperienza passa in pieno attraverso sequenze d’azione costruite in autonomia, dove si abbandona la creatività per prendere in mano il pennello come vera e propria arma, scivolando con L2 e attaccando i nemici con una combinazione di tasti frontali, correlati ciascuno a tre diversi incantesimi che sposano anche qui le dinamiche puzzle del design essenziale del titolo. 

Perdonata l’assenza della stessa pulizia delle parentesi più compassate ed una telecamera in costante difficoltà, anche queste lotte frontali sono un guilty pleasure interessante, non fosse – come già detto – per la totale assenza di coesione della formula di gameplay generale, non risolta in un unico organico e spezzata in due idee di fondamenta – come evidente – quasi opposte. Il passaggio radicale tra le due filosofie esiste ed è percepibile, mai mediato con elementi di raccordo, laddove dopo il nostro provato di luglio avevamo sperato altrimenti. 

Le stesse battute finali si limitano a riciclare le stesse location già esplorate come serie di stage per boss e mini-boss, accentuando quanto sopracitato e trasformando quasi in lineare riempitivo quello che poteva essere un buon modo per dare respiro al decorso introspettivo di Ash. 

 

 

Concrete Genie sprizza da ogni poro una visione artistica d’autore autentica e coraggiosa

Lato grafico ed artistico di contro nulla da dire, visto il talento immenso e vistoso nel costruire una location stilizzata e ricca fin nei minimi dettagli, ben lontana dai risultati di una computer grafica slavata e senza anima. Concrete Genie sprizza in questa ottica da ogni poro una visione d’autore autentica e coraggiosa, pronta ad emergere tanto nei dipinti delineati con pennello (molto oltre il graffitismo), quanto nelle animazioni in stop motion delle espressioni dei personaggi. 

È una dimensione intima e coltivata nel profondo, quella di PixelOpus, figlia di una rifinitura meticolosa del particolare e dell’impatto cromatico. Un peccato a proposito l’assenza del supporto all’HDR, specie a fronte della splendida illuminazione costruita nel gioco, abile nel regalare momenti fotografici indimenticabili da inquadrare con la provvidenziale photo mode (qui in realtà decisamente scarna). Le alte risoluzioni supportate da Concrete Genie su PlayStation 4 Pro (piattaforma della nostra prova) vantano infatti un sorprendente numero di particellari, senza considerare gli ottimi shader che vanno in definitiva a rifinire la resa complessiva. 

L’ultimo plauso va infine alle musiche di Sam Marshall, che con tappeti suggestivi di fiati ed archi e con il supporto dell’elettronico immergono il giocatore in un’atmosfera sognante dove le note trasportano sul loro flusso la speranza dell’immaginazione scoperta nell’arte e nell’amicizia. Più in generale, quello portato avanti da Concrete Genie è uno dei migliori sound design degli ultimi anni, un suono volto ad accompagnare i momenti climatici come il semplice tratto di un elemento, sempre con una sensibilità sconvolgente ed autentica ormai rara nell’industria. Apprezzabile tra l’altro il doppiaggio italiano, non scontato in un prodotto simile, seppure di una qualità non eccelsa. 

 

 

81
ME GUSTA
  • Concept estremamente ispirato
  • Il sistema di pittura è un ottimo ibrido tra manuale ed automatizzato
  • Le fasi d'azione sono un buon guilty pleasure
  • La direzione artistica e il comparto tecnico sono eccelsi
  • Musiche e sound design promossi a pieni voti
FAIL
  • Intreccio davvero banale ed eccessivamente risolutivo
  • Gameplay fratturato in due sezioni, senza essere mediato
  • Longevità piuttosto ridotta
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