Dopo tanta attesa, falsi allarmi, stroncature, miti e leggende, il “film maledetto” di Xavier Dolan, La Mia Vita con John F. Donovan, esordio internazionale per il regista canadese che per la prima volta si confronta con il cinema americano e un cast di tutto rispetto, arriva nelle nostre sale con Lucky Red. Ma sarà davvero il disastro annunciato che sembra?
Dolan è un regista giovanissimo che a soli vent’anni ha esordito al cinema con la pellicola J’ai tué ma mère, conquistando negli anni un posto nei Festival più importanti come Cannes e Toronto; ha vinto il Premio della giuria alla 67ª edizione del Festival di Cannes con il film Mommy (2014) e il Grand Prix alla 69ª edizione del Festival di Cannes con È solo la fine del mondo (2016).
Definito un enfant prodige grazie alla sua enorme sensibilità e maestria nel tracciare determinati profili e seguirli con la macchina da presa, Xavier Dolan è da sempre stato un artista eccentrico e stravagante, ma con un enorme senso artistico.
Personalità come Dolan, a lungo andare, diventano quasi personaggi scomodi. Se in un primo momento vengono idolatrati dalla critica (quella più boriosa e piena di sé), spesso poi finiscono col diventare il “nemico pubblico”.
Il ragazzino troppo pieno di sé, sopravvalutato e crollato al primo ostacolo. Sarà veramente così? No, basterebbe solo guardare attentamente un film di Xavier Dolan per rendersi conto che così non è affatto.
Dolan è autoironico, sarcastico, e questo film, La Mia Vita con John F. Donovan, gli ha permesso di comprendere anche i suoi stessi limiti, facendogli compiere quell’inevitabile passo indietro che, proprio nella scorsa edizione del Festival di Cannes, lo ha riportato nel suo Canada con Matthias et Maxime.
Un film che forse tra qualche anno avrebbe avuto un sapore diverso, una visione e confronto di Dolan stesso differente e più matura, ma che nonostante tutto sa esattamente come sorprendere, emozionare e lasciare quel misto di leggerezza e pesantezza nel cuore di chi lo guarda.
Pur non essendo un film autobiografico, è facile ritrovare Dolan in alcuni momenti del protagonista Rupert Turner, tanto nella sua versione giovane quanto in quella adulta.
Un esempio lo è proprio il primo incontro tra Rupert (Ben Schnetzer) e la giornalista Audrey Newhouse (Thandie Newton), in cui quest’ultima lo definisce come un ragazzino pieno di sé e sopravvalutato, divenuto famoso con una storia ormai vecchia e già sentita (un po’ delle solite critiche mosse al canadese); oppure l’incipit del film, con un giovanissimo Rupert (Jacob Tremblay), bambino americano trasferitosi con la madre (Natalie Portman) in Inghilterra che sogna di fare l’attore, che scrive una letterina al suo idolo, John F. Donovan (Kit Harington), esattamente come un giovanissimo Dolan scrisse da bambino una lettere al suo idolo del tempo dopo la visione di Titanic, Leonardo Di Caprio.
Ma a differenza di quest’ultimo caso, John risponde al piccolo Rupert, iniziando così una relazione epistolare tra due amici che si mettono a nudo, lasciando cadere la maschera e iniziando a mostrare le crepe sempre più profonde, sempre più devastanti, che si sono create attorno ad un ragazzo che improvvisamente si è visto piombare addosso un successo ingestibile.
Sotto l’occhio costante dei riflettori, John conduce una vita che non sente sua, incapace di mostrare i suoi veri desideri, la sua vera natura; incapace di farsi accettare per quello che è davvero, tanto da dubitare di sé stesso, compiendo una serie di passi falsi che lo porteranno ad un girotondo fatto di pregiudizio, cattiveria e infelicità.
Preoccupandosi così tanto della sua carriera, di cosa è giusto dire o non dire, di cosa fare o non fare, John ha smesso di preoccuparsi di sé stesso, perdendosi del tutto, diventando unicamente un personaggio inventato.
E qui arrivano le prime grandi domande del regista:
Una personalità nota quanto è tenuta a dire al suo pubblico? Dove finisce l’attore e dove inizia l’essere umano? E quanto facilmente il pubblico si dimentica che dietro ad un sorriso, ad una battuta, una copertina o un premio, c’è una persona?
Quante volte ci siamo trovati di fronte a diversi “John F. Donovan”? Sentendoci in diritto di criticare qualcuno in vista perché “se ci metti la faccia, allora aspettati di essere giudicato”. Abbiamo davvero il diritto di sapere tutto, pretendere e giudicare volti noti solo per il loro essere dei “volti noti” dimenticandoci di parlare con delle persone che hanno il diritto di tenere alla propria privacy, alle proprie relazioni personali, alla propria vita al di là di uno schermo?
La Mia Vita Con John F. Donovan è un’analisi che gira proprio attorno a queste domande, ricostruendo la vita di John attraverso la doppia voce, da adulto e da bambino, di Rupert.
Un film meno intimista, ma al tempo stesso sentito, violento e feroce, che fa riflettere, più di quanto uno possa immaginare, sul mondo dello spettacolo e sui personaggi che ne fanno parte.
Sicuramente, scendendo nel dettaglio, una pellicola troppo urlata, poco equilibrata in molti momenti, anche a causa dei ripetuti tagli e revisione del montaggio, dove non mancano i cliché tipici della filmografia del regista canadese. Eppure ugualmente emozionante, che segue la via percorsa da È Solo La Fine Del Mondo, quasi rendendo le due storie la diverse facce della stessa medaglia.
Esattamente come già avvenuto con Laurence Anyways e poi continuato con Mommy, Xavier Dolan ci mette di fronte alla descrizione di una società dove basta essere omosessuali o semplicemente diversi o affetti da qualche disturbo fisico o psicologico, per essere definiti malati. Una pellicola che riflette ancora una volta sul “non detto”, sull’oppressione e la costrizione del silenzio, dei legami, della solitudine e dove, ancora una volta, la menzogna e la manipolazione sembrano essere le uniche strade per la sopravvivenza; ma non sempre è così.
Xavier Dolan compie anche un piccolo passo falso: si lascia sommergere dalle sue paure, di quegli sguardi carichi di solitudine, di paura e incomprensione, di quegli interrogativi che da sempre il regista pone al suo pubblico, con quel bisogno di crescere e di dimostrare necessariamente qualcosa.
Un “qualcosa” che ha reso pesante, lunga e tediosa la gestazione de La Mia Vita con John F. Donovan – progetto non facile fin dall’inizio e partito addirittura prima delle riprese di É Solo La Fine Del Mondo – portandolo ad essere un film imperfetto ed un po’ gracile, tanto nella struttura drammaturgica quanto nella resa finale, ma assolutamente non brutto o disastroso. Ce ne fossero di “disastri cinematografici” come questo.
Eppure, portando sul grande schermo un film sicuramente meno riuscito degli altri, un po’ zompicante, Dolan riesce a dare spazio alla voce dei suoi meravigliosi personaggi, dei suoi bravissimi interpreti (primi fra tutti Tremblay e Harrington) che sanno toccare l’animo dello spettatore che si siede in sala senza aspettative, senza pregiudizi e aperto verso una storia che, se glielo permetterà, potrà dargli tantissimo, dai sorrisi alle lacrime, dalla leggerezza alla rabbia.
Alla fine La Mia Vita Con John F. Donovan è il manifesto di tutti quei figli sperduti, acciaccati e spaventati, quelli che si aggrappano ad una fantasia, ad una storia e non la lasciano andare.
La Mia Vita con John F. Donovan vi aspetta al cinema dal 27 Giugno.