È Solo La Fine del Mondo: la struggente bellezza dei sentimenti

è solo la fine del mondo

Presentato in concorso al 69. Festival di Cannes, nonché vincitore del Grand Prix della Giura, È Solo La Fine del Mondo è il sesto lungometraggio dell’enfant prodige canadese Xavier Dolan, tratto dall’omonima pièce di Jean-Luc Lagarce e con Gaspard Ulliel, Vicent Cassel, Marion Cotillard, Léa Seydoux e Nathalie Baye.

Dal 2009, con il primo film a soli vent’anni, il giovanissimo regista Xavier Dolan, arriva al cinema con una nuova storia viscerale e dalla rara bellezza, È Solo La Fine del Mondo, incentrata sullo scrittore trentacinquenne Louis che, dopo tanti anni e poche visite, torna a casa per dare una notizia molto importante.

Tratto dall’omonima pièce di Jean-Luc Lagarce, famoso drammaturgo francese morto a soli 36 anni a causa dell’aids, Xavier Dolan porta al cinema un’opera dalla profonda intensità; un dramma fatto per lo più di parole non dette, lunghi sguardi e testi sottointesi. Un dramma familiare dove, in un carnevale di personalità e sentimenti, i personaggi urlano la propria rabbia e sofferenza nei modi più disparati. Mai nessuno, se non per un breve attimo finale, sarà veramente sincero.

Nessuno, nella lunga giornata afosa estiva riuscirà a essere realmente se stesso, mettendo sempre al primo posto un maschera fatta di falsa felicità, ironia o cinico sarcasmo.

Lo stesso Louis, tornato per annunciare l’importante notizia, alla fine non riuscirà a dire nulla, prolungando all’infinito una sospensione della tensione che Xavier Dolan mette magistralmente in scena.

 

 

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Dopo l’incredibile successo di Mommy, un film agrodolce che ancora una volta, come nella maggior parte dei film del regista canadese, indaga sul rapporto madre e figlio, Xavier Dolan decide di fare un altro passo verso la maturità trasportando al cinema un dramma molto complesso, proprio perché fatto da personaggi estremamente passionali ma impossibilitati a dimostrare apertamente le proprie emozioni.

Una scrittura molto viscerale che conduce l’attore verso un’interpretazione, appunto, teatrale.

Lo stile di Lagarce è molto complesso. Un autore che ha fatto del dettaglio, della ripetizione e perfino dell’errore grammaticale, di tutto ciò che generalmente si evita all’interno di un testo, la sua personale firma. Una scrittura molto viscerale che conduce l’attore verso un’interpretazione, appunto, teatrale. Ed è proprio la scrittura teatrale di Lagarce a rendere È Solo La Fine del Mondo, come molti degli altri testi del drammaturgo, un’opera particolarmente unica e sorprendete; ma, al tempo stesso, non è assolutamente un linguaggio adattabile al cinema.

Come dice lo stesso Xavier Dolan, ripensando ai primi mesi di quando aveva iniziato ad abbracciare l’idea di realizzare questo film, dover rinunciare allo stile di Lagarce avrebbe significato rinunciare a tutta l’opera, ma la sfida del regista è stata proprio quella di rendere il più cinematografico possibile il testo, senza cannibalizzare la sua anima teatrale.

 

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Sfida che Dolan riesce a vincere, scrivendo un dramma consumato tra le pareti di un’unica casa, dove i personaggi nuotano in un oceano di parole goffe, ridondanti e ripetitive, parole però che bisogna ascoltare attentamente. Tra le pause di ogni superfluo e superficiale discorso, negli attimi di pacifico ma teso silenzio, in ogni piccolo sospiro, si nasconde una verità tra le righe. In ognuno di questi momenti si nascondono le vere frasi che i personaggi vorrebbero dire, ma che loro malgrado non riescono a fare.

Più o meno a pagina 6 ho capito che sarebbe stato il mio prossimo film. Il mio primo film in età adulta. Finalmente ne capito il testo, le emozioni, i silenzi, le esitazioni, l’irrequietezza, le inquietanti imperfezioni dei personaggi descritti da Jean-Luc Lagarce.

A discolpa della pièce, non credo che all’epoca mi fossi impegnato a leggerla seriamente. A mia discolpa, credo che se anche ci avessi provato, non sarei riuscito a capirla.

Il ritorno di Louis – interpretato da un Gaspard Ulliel superbo – porta nella sua famiglia uno scompiglio caotico. Tra eccitazione e il non sentirsi pronti, si nasconde il rimpianto e il rimorso. Una sofferenza dettata dai silenzi degli anni, da quelle poche parole scritte sulle cartoline per ogni compleanno.

Xavier Dolan apre il suo film con un monologo meraviglioso, che ci svela il motivo di quel breve ritorno in famiglia, ma che funge anche da prologo di tutta la narrazione. La tensione e la paura, ma anche il bisogno di confronto e di togliersi quel peso prima che sia troppo tardi.

 

 

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In ogni caso è solo un pranzo in famiglia, non è la fine del mondo.

Un rumore assordante quello che si crea all’arrivo dell’uomo, sotto gli occhi ammirati ed emozionati della sorella più piccola Suzanne (Léa Seydoux), quelli timidi e riservati della cognata Catherine (Marion Cotillard), quelli falsamente disinteressanti del fratello più grande Antoine (Vincent Cassel) e della madre (Nathalie Baye).

L’arrivo di Louis segna l’inizio di una potentissima tensione drammaturgica che porterà i personaggi in sospensione, assieme allo spettatore, per tutto il tempo del film.

È Solo La Fine del Mondo è un film di attesa e di parole non dette. Attesa che si respira dall’inizio alla fine. Assieme ai personaggi, aspettiamo impazienti anche noi l’attimo in cui Louis, dopo il silenzio entro il quale si chiude, ascoltando paziente ogni cosa che tutti gli altri riversano sulla sua figura, riuscirà finalmente a dire tutto. Ma quel momento, arriverà davvero? E cosa succederà dopo?

 

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Xavier Dolan accarezza i personaggi con inquadrature intime.

Xavier Dolan accarezza i personaggi con inquadrature intime, riuscendo a portare sullo schermo dei ritratti interiori, dandoci la perfetta definizione imperfetta di ognuno di essi. Personaggi diversi ma universali, entro i quali ci si riconosce, inevitabilmente.

Ed è proprio questo che rende È Solo La Fine del Mondo un film dalla bellezza dolorosa.

Personaggi fatiscenti, primo fra tutti quello di Louis. Lui ascolta, non parla. Crea discorsi fatti di sorrisi e sguardi. Pronuncia poche parole, il più delle volte non più di tre, ma per ogni personaggio ha un modo differente con cui approcciarsi. Da quel sentirsi in dover nei confronti di Suzanne, conosciuta poco e niente, e dal porsi sempre a confronto con Antoine, l’unico con il quale vorrebbe davvero parlare.

Ed è proprio Antoine, il personaggio più scomodo di tutti – interpretato da un sorprendente Vincent Cassel, probabilmente alla sua prova come attore migliore di tutte – nascosto da una maschera fatta di cinismo e sarcasmo, senza mai risparmiare nessuno con la sua lingua biforcuta, volgare e scorretto, a sorreggere inconsapevolmente il dramma di Louis, preceduto unicamente dalla moglie Catherine, la più silenziosa, quella che sembra anche un po’ sciocca, ma che prima di chiunque sa cosa Louis sia venuto realmente a fare lì.

 

 

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Come tutte le madri di Dolan, anche il personaggio di Nathalie Baye è una donna colorata ed eccentrica, meno egoista e morbosa rispetto alle altre madri del panorama cinematografico del regista. A modo suo comprende il figlio, spiegandogli come tutti, lì dentro, abbiamo riversato ogni responsabilità su di lui, l’unico con il coraggio di andare via e vivere la propria vita pienamente.

Lei vive nel suo mondo. Una donna di altri tempi che non ha voglia di confrontarsi con la realtà, preferendo vivere i momenti del passato, di quando Louis e Antoine erano piccoli e i pic nic la domenica mattina erano un sogno senza fine. Una donna che, nel suo unico atto di egoismo, chiede al figlio di mentire, ancora una volta, dando la possibilità, la speranza anche agli altri, di staccarsi dalle invisibili catene di quella casa, e iniziare a vivere, una volta per tutte.

È Solo La Fine del Mondo è anche una storia di vita, oltre a essere una storia di morte. Di nascite e rinascite. Un film dove la sofferenza e il dolore cercano di essere sovrastati con la parola, le urla, i capricci come se fossimo di fronte a dei bambini.

 

 

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La complicità degli attori rende questa pellicola ancora più unica e talmente forte da risucchiare totalmente il suo spettatore. Dolan dimostra le sue grandi doti come interprete e narratore di storie, ma anche come regista capace di guidare e fare un percorso con i suoi attori.

I momenti di tensione vengono contrastati dalla musica pop e techno amata dal regista.

I momenti di tensione vengono contrastati dalla musica pop e techno amata dal regista. In ogni suo film Dolan colora le storie con musiche riconoscibili, orecchiabili e cantabili. Musica commerciale che, per quanto non propriamente conforme al momento, riesce a essere incredibilmente armoniosa, definendo sempre quella perfezione nella costruzione tipica dei film del canadese.

Il tutto ovviamente è accompagnato dalla supervisione del compositore Gabriel Yared, creando anche una colonna sonora apposita per i momenti più intimi dei personaggi.

Non manca il contrasto neanche delle luci. I colori e i simboli di Dolan, la perfetta composizione dell’immagine che si forma davanti al pubblico.

 

 

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È Solo La Fine del Mondo è la rappresentazione della vita stessa, quella fatta di continue attese, di gioie nascoste e di dolori urlati. Quella fatta di rimpianti, della parole non dette e dei legami difficili. Una vita fatta di solitudine e di ricerca interiore, ma anche di nostalgia e di quella infantile voglia di non crescere mai.

Una vita in cui il tempo scorre, irrefrenabile e sadico, e contro il quale noi non possiamo fare niente; ma qualcosa, come insegna il personaggio della madre di questo film, che possiamo fare c’è: viverla.

 

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È Solo La Fine del Mondo sarà nelle sale cinematografiche italiane dal 7 Dicembre.

 

 

 

 

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