Quella che vi racconto oggi è una storia di dittatori e partigiani, morti, misteri e tradimenti. E anche un po’ di amore perché alle donne qualcuno ci deve pur pensare.

Ma basta spoiler, come ogni buona telenovela partiamo ora con un rallenty sui protagonisti di questa vicenda!

Dis is de taaaim tooo rimembeeeeer…

 

Benny

La nostra storia inizia con Benny, magistralmente interpretato da Benito Mussolini in viaggio verso una vacanza premio in Svizzera.

Ok, i cattivi diranno che non era un premio, era solo che volevano fargli le fette per le porcherie fatte in vent’anni, ma questa è una visione fortemente di parte e che in realtà cozza col fatto che, se veramente stesse scappando, avrebbe con sé un tesoro per rifarsi una vita altrove.

Tesoro che invece non c’è.

Ah no, wait.

 

 

 

Il Tessssoro

Come pure le più capre di voi avranno studiato, la vita di Mussolini finì a Dongo, estremo nord del lago di Como, il 28 Aprile 1945.

La colonna di mezzi tedeschi che lo stava portando in Svizzera fu assalita qualche giorno prima dai partigiani; dalla 52esima Brigata Garibaldi  “Luigi Clerici” per la precisione.

 

La fucilazione dei gerarchi nazisti fermati insieme a “Benny 56”

 

LVI fu trovato su un furgone tedesco, vestito da tedesco, con un elmo tedesco per coprirsi il volto.

Non so voi, ma nel mio ideale quella è proprio la fine che fanno gli eroi.

Ma torniamo al secondo protagonista della storia, il tesoro. Quando la colonna nazista venne fermata furono confiscati un sacco di preziosi, oltre a documenti top secret che il duce stava portando con sé. Questo è il cosiddetto tesoro di Dongo, famoso soprattutto perché nessuno sa che fine abbia fatto.

Ancora oggi ci sono leggende, da quelle parti, che raccontano di come il tesoro sia sepolto sul fondo del lago, uno dei laghi più profondi e pericolosi d’Italia. Ma sono solo leggende: la verità è che probabilmente quel tesoro è finito in qualche cassetta di sicurezza svizzera.

Di misterioso c’è anche l’ammontare esatto del tesoro. Anche se la fonte più attendibile parla di 190.000.000 di romanissime lire.

Che attualizzato ad oggi vorrebbe dire circa 8 milioni di euro.

Una cifra che ben ci spiega quello che accade ai prossimi protagonisti.

Spoiler: muoiono tutti. E male.

 

 

 

Luigi Canali

Il Capitano Neri

Quando ribellarsi non assomigliava affatto al vanto di una sera ci scegliemmo la bandiera

La preghiera dei banditi – Atarassia Grop

 

Luigi Canali nasce a Como e probabilmente viene cresciuto a pulenta e misultin visto il tempo e il luogo. In giovane età si reca, praticamente obbligato, in quel di Etiopia per combattere una guerra senza senso. Qui ha la prima idea di cosa sia realmente il fascismo.

Perché ok, sappiamo tutti che non è bello dover avere la tessera per fare qualsiasi cosa, ma quando falci neri come fossero mosche qualche domanda in più te la fai.

 

 

Di questo periodo, meglio di tutto, parlano le sue parole:

Saremo in mezzo milione, contro negri forti della metà e male armati, senza aviazione.

Loro muoiono a decine di migliaia. Noi facciamo ancora gli elenchi nominativi precisi delle vittime, tanto sono poche. E ciononostante gli eroi siamo noi.

Personalmente, sento di aver fatto sforzi materiali e morali di maggior portata nella vita civile, senza che nessuno m’abbia detto niente.

È inutile dire che il Canali tornato da quell’esperienza è un fervente anti fascista.

È così che nel 1943 diventa partigiano e arriva a fondare la 52esima brigata Garibaldi della quale diventa poi capitano.

Cambia così il suon nome in Capitano Neri.

Ora potete capire cosa possa c’entrare Neri con tutta questa storia: il suo fu infatti un ruolo chiave nella cattura di Mussolini e nella successiva gestione del tesoro di Dongo.

 

 

 

Giuseppina Tuissi

La Gianna

Il Capitano guardava da lontano una donna con il fucile in mano:
Gianna il suo nome, rosso il suo cuore, due occhi scuri pieni d’amore.

La ballata del Capitano Neri – Atarassia Grop

 

Giuseppina non ebbe bisogno di andare in Etiopia per vedere la vera faccia del fascismo. Gliela consegnarono a domicilio.

Il 30 agosto del ’44 il fidanzato fu trucidato dai fascisti dopo qualche ora di tortura perché stava organizzando un attentato contro il regime.

Lei stessa era famosa tra le camicie nere perché, infermiera, era solita rilasciare false certificazioni mediche in modo da aiutare i soldati in cura a disertare.

Fu questa fuga dalle Brigate Nere che la spinse ad arrivare a Como da Abbiategrasso, suo paese natale.

Quando incontrò il capitano Neri fu colpo di fulmine e tra i due nacque un legame che fu amore e fede politica. Ma anche quei bravi ragazzi dei fascisti vollero celebrare la loro unione ed ovviamente lo fecero a modo loro.

Il 7 gennaio del ’45, l’undicesima Brigata Nera li prese e li portò in caserma, torturandoli per svariate ore.

Neri riuscì a fuggire dal carcere in circostanze non chiare, ma Gianna vi rimase fino a quando venne rilasciata, il 12 Marzo.

Del corredo nuziale gentilmente donatole fanno parte:

  • frusta
  • acqua bollente
  • ipotermia

Gianna venne rilasciata in maniere quasi inspiegabile, probabilmente perché impietosì un ufficiale della Gestapo che stava affrontando con lei il viaggio (chiaramente in due classi differenti) verso un campo di sterminio tedesco. La giovane era talmente mal ridotta dopo un mese e mezzo di torture da toccare anche l’animo di gente che non lo ha.

Quella di Gianna è una figura centrale nella storia del tesoro perchè oltre che essere una staffetta e la fidanzata del Capitano fu anche la persona che più di di tutti ebbe a che fare con i beni confiscati.

Tra i compiti di Gianna, durante la resistenza, ci fu proprio quello di inventariare il tesoro confiscato ai nazisti durante la cattura di Mussolini.

 

 

 

Il Fuoco Amico

Il Capitano e il suo angelo stavano all’ombra di un mondo che non
li voleva più, gli lasciarono soltanto quattro scarpe di cemento
ed un lago dove non parlare più.

La ballata del Capitano Neri – Atarassia Grop

 

Il 25 Febbraio, tuttavia, successe un fatto piuttosto importante. La fuga di Neri dal carcere fu vista come un indizio del suo tradimento, alimentato dalle voci che aveva fatto circolare un compagno di Neri pochi giorni prima proprio al fine di screditarlo davanti al movimento partigiano.

Il tribunale popolare arrivò addirittura ad emettere una condanna di morte per Neri e Gianna, accusati di essere dei doppiogiochisti.

Fu solo l’enorme carisma del capitano a salvar loro la vita. I compagni non riuscirono mai a credere a quelle accuse e di fatto il capitano fu reintegrato nella brigata come se nulla fosse accaduto.

Ma qualcosa si era rotto nel rapporto tra Neri e i vertici del movimento partigiano, che finivano inevitabilmente per essere collusi con il PCI.

 

 

Di Gianna abbiamo addirittura le parole, scritte alla madre di Neri al termine dell’interrogatorio voluto dai vertici partigiani dopo la sua scarcerazione:

Carissima Maddalena, oggi finalmente ho potuto tornarmene a casa: puoi immaginare il mio stato d’animo.

Non sono contenta per il modo con cui sono stata trattata dai compagni di Milano, ad ogni modo ti basta sentire che mi hanno assolutamente proibito di venire a Como, e che mi hanno fatto presente con molta sfacciataggine che Gigi è colpevole e che è stato giustiziato da un tribunale partigiano di montagna.

Dunque io sarei stata graziata solo per la mia buona condotta in passato. Vedi perciò che grande soddisfazione ho potuto avere io!

Sono veramente disgustata dal modo con cui agiscono i compagnissimi.

 

 

 

Bello l’amore,
ma io sono fan di Tarantino

Il Capitano guardava dentro al lago
la sua Gianna senza il fucile in mano,
ma ancora dolce il suo nome,
ancora rosso il suo cuore,
due occhi chiusi ancora pieni d’amore.

La ballata del Capitano Neri – Atarassia Grop

 

Come anticipato dalla lettera di cui sopra il capitano Neri ha fatto una brutta fine. Il 6 Maggio del ’45 uscì di casa salutando la madre, dicendo di avere una faccenda urgente da sbrigare.

Non sarà mai più ritrovato.

Dopo poco lo raggiunse Gianna che, fidatasi delle persone sbagliate, venne portata a “vedere il cadavere di Neri”. In realtà non vedrà mai nemmeno il cadavere, finendo morta sul fondo del lago. Nemmeno il suo corpo verrà mai ritrovato.

L’oro di Dongo è quanto di più simile esista da noi alla maledizione di Tutankhamon. In pochi giorni il lago restituì i corpi di Anna Maria Bianchi, Michele Bianchi, Giuseppe Frangi.

Nonchè quello del custode notturno di Mussolini. Tutti personaggi legati in qualche modo al tesoro di Dongo. Di questi e di altri omicidi furono incriminati come mandanti Gorreri e Vergani, compagni di lotta dello stesso Neri. Il primo, una volta libero, diventò addirittura deputato del PCI.

Il perché doppiamo cercarlo nei giochi di potere del PCI di quegli anni, sospeso tra la sete di giustizia contro anni di fascismo e l’opportunismo di alcuni membri, tra i legami con gli alleati e quelli con la madre Russia.

Alcuni indizi portano infatti a pensare che Neri, durante la resistenza, fu in qualche modo legato ai servizi segreti alleati, in modo particolare a quelli inglesi.

All’interno del movimento partigiano Neri quindi agì più come un alleato che come un comunista fedele alla linea. Voleva consegnare il duce agli inglesi e non farlo fucilare per esibirlo a mo’ di propaganda.

 

L’arma presumibilmente usata per togliere vita a coLVI che bonificò l’Agro Pontino.

 

Allo stesso modo voleva che il tesoro di Dongo fosse confiscato ai nazifascisti, inventariato (come di fatto fu) e poi messo da parte in attesa di capire cosa farne.

In entrambi i casi il PCI non era d’accordo vedendo le sue idee come un grosso freno alla crescita politica del movimento.

Di fatto Neri entrò nella lista nera del partito finendo poi nel peggiore dei modi.

Anche un’altra lettera di Gianna infatti conferma tutto quanto:

Vivendo si soffre vedendo le brutture dell’animo di certi uomini che rappresentano il nostro partito che dovrebbe essere simbolo di giustizia, che gli uomini che lo guidano dovrebbero essere puri di animo, mentre agiscono invece come fascisti e peggio.

Di cosa sia rimasto oggi del tesoro abbiamo pochi indizi.

Secondo le fonti più accreditate comunque 190.000 di lire del tesoro furono depositati in conti correnti esteri riconducibili al PCI e poi utilizzati per gli acquisti di sedi e macchine tipografiche utili alla propaganda e alla crescita di un partito che raggiungerà livelli mai visti in Europa nei decenni seguenti.

Ma quella del tesoro rimane una gran brutta storia, una storia dove ci sono solo cattivi perchè i buoni muoiono tutti come mosche. Ed è per questo che è importante raccontarla. È importante perchè ci mostra come la guerra sia la massima espressione dell’egoismo umano.

Un egoismo che tuttavia non può cambiare un dato di fatto che a distanza di 70 anni oggi sembra troppo poco evidente:

da una parte c’era chi combatteva per la dittatura, dall’altra chi combatteva per la libertà.

 

 

 

 

 

I versi delle canzoni sono di Filippo Andreani, oggi cantautore e ieri membro degli Atarassia Grop, gruppo punk comasco che ha scritto molte canzoni sulla vita partigiana.

Sulla storia di Neri e Gianna hanno scritto “La ballata del capitano Neri”, “Il testamento di Neri” e “L’ultimo minuti di Gianna” che sono tre canzoni bellissime. Consiglio ovviamente ad ogni appassionato del periodo di cercarli su Spotify.