Stargate M87

L’esistenza dei buchi neri è stata ipotizzata attraverso lo studio del moto di altri corpi celesti nelle sue vicinanze ed è proprio con la teoria della relatività di Albert Einstein, all’inizio del ‘900, che si è iniziato ad immaginarli.

 

 

Tutto iniziò con una foto

Già 100 anni fa, una foto di un eclissi di sole costituì la prima prova evidente della teoria della relatività di Albert Einstein.

Buco Nero: regione dello spazio tempo dalla quale nulla, compresa la luce, può sfuggire a causa di un fortissimo campo gravitazionale.

 

Nell’osservare l’eclissi ci si accorse che le stelle avevano una posizione diversa dal previsto in quanto la loro luce era stata piegata dal campo gravitazionale del Sole.
Da questa osservazione si sviluppò la dimostrazione del nocciolo fondamentale della teoria di Einstein: la forza di gravità come manifestazione della curvatura di una nuova entità, lo spazio-tempo (un po’ come il continuum tempo-spazio spiegato da Doc in ritorno al futuro…)

La mente umana è meravigliosa e dopo più di un secolo siamo in grado di osservare quanto teorizzato… con un’altra fotografia.

Non si chiamavano buchi neri, definizione che venne data più avanti, ma sta di fatto  che il fenomeno osservato costituiva un elemento fondamentale della Teoria della relatività di Einstein, teoria elaborata per spiegare meglio l’universo rispetto quella della relatività universale di Newton.
Quello che si è riuscito a fare oggi ha dell’incredibile e sottolinea quanto la tecnologia sia sempre più avanzata.

Ma, sorge una domanda:

Come è stato possibile fotografare qualcosa che non emana luce? Come è stato possibile fotografare qualcosa che per definizione è invisibile all’occhio umano?

Si è visto come si può prevedere la presenza di un buco nero verificando come varia l’orbita di una stella e come si muovono più rapidamente quando queste si avvicinano ai buchi neri.

 

 

 

 

L’Event Horizon Telescope è un progetto globale che ha coinvolto 14 centri di ricerca e 200 scienziati in tutto il mondo.

Ma ci sono anche altre caratteristiche che permettono di verificarne la presenza:
i gas emessi dai corpi celesti che si avvicinano al buco nero si scaldano a milioni di gradi ed emanano luce.

Questo crea una luce di fondo che permette di percepire il contorno del buco nero. Proprio da questi concetti è nata l’idea di fotografare il buco nero.

Il progetto EHT (Event Horizon Telescope), che ha permesso la realizzazione della foto, è un progetto globale che ha coinvolto 14 centri di ricerca e 200 scienziati in tutto il mondo.

Otto telescopi, dal Polo Sud al Polo Nord, passando per il Cile, Hawaii e Germania costituiscono, insieme, il Telescopio, di dimensioni pari alla grandezza della terra, che ha permesso ciò.

 

Se siete appassionati di costruzioni e vi interessa una fedele rappresentazione di uno dei telescopi, potete consultare l’articolo con le immagini della versione LEGO del telescopio ALMA.

 

Il progetto EHT studia l’ambiente circostante Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, così come il buco nero della galassia M87, che poi è stato eletto come il soggetto migliore per la foto, al centro della galassia ellittica supergigante Virgo A, a 55 milioni di anni luce dalla Terra e con una massa 6,5 miliardi volte quella del Sole.

Una volta progettato lo strumento, è stato necessario definire un software tanto potente da permettere lo scatto ad alta definizione a tali distanze. Tanto per capirci, come spiegato in un comunicato del MIT:

è come se si tentasse di leggere un messaggio di Whatsapp in un cellulare di New York da un marciapiede di Parigi.

Oltre alla personalizzazione di questo software, innovativo e installato negli otto telescopi, sono stati aggiunti vari componenti hardware, le cui caratteristiche sembrano fantascientifiche, tra cui un maser (amplificatore di microonde) di idrogeno, che costituisce un orologio atomico ultra preciso per la sincronizzazione della raccolta dati, aggregatore di dati ad altissima velocità e un sistema in fibra ottica per il trasporto delle informazioni stesse.

Ad aprile del 2017 tutti i telescopi coinvolti puntarono verso M87 e cominciarono a raccogliere enormi quantità di dati.

Tra le curiosità c’è che le informazioni raccolte erano una quantità tale che gli scienziati si resero conto che sarebbe stato più facile inviare gli hard disk via aereo ai punti di raccolta dati, dove sarebbero stati analizzati, piuttosto che via internet. Ecco come migliaia di tera di informazioni volarono verso l’istituto Max Planck, Germania, e il MIT, Stati Uniti.

 

Ecco un’immagine, pubblicata da Focus, che ne rappresenta la logistica:

 

 

Da qui iniziò il difficile compito di mettere insieme i dati: 4 petabyte, cioè 4 milioni di gigabyte, per creare una sola immagine.

Miliardi di dati da convertire in pixel

Affinché non ci fossero interferenze nell’interpretazione dei dati raccolti gli esperti di immagini digitali si divisero in quattro squadre, lavorando a diversi algoritmi e giungendo tutti alla stessa conclusione.

Sono stati necessari due anni per ottenere la foto da questo faticoso processo.

Quello che si vede nelle immagini è l’ombra del punto di non ritorno (battezzato orizzonte degli eventi) di un buco nero sul brillante disco di accrescimento. [AFP Frédéric Gueth, vicedirettore del Millimeter Radioastronomy Institute of Europe]

 

Il punto di non ritorno, o orizzonte degli eventi, è quella linea immaginaria al limite del buco nero oltre il quale la forza è tale che niente può uscirne, solo qualcosa che possa avere una velocità maggiore a quella della luce, ma per la teoria della relatività niente è più veloce della luce.

Ciò che entra non esce: i buchi neri sono le porte d’ercole al limite dell’universo conosciuto.

Potrebbe essere possibile che il buco nero rappresenti lo Stargate per universi paralleli?

Alcuni studiosi e fisici teorizzano questa possibilità. Sinceramente non ho le conoscenze per esprimere un giudizio, ma razionalmente e per gli strumenti che ho a disposizione seguirei più la seconda ipotesi e cioè che l’ingresso in un buco nero comporterebbe la scomposizione in particelle infinitesimali, di qualunque corpo, a causa della fortissima pressione e del calore.

Se anche Stephen W. Hawking dichiarò di essere interessato ad un viaggio nello spazio, ma non in un buco nero, direi che la seconda ipotesi è quella che si avvicina di più alla realtà.

Devo ammettere, però, che la visione romantica della possibilità di attraversare il portale delle stelle per essere catapultata in un universo parallelo, è intrigante e curiosa!

Come essere nella divisione Fringe, e affiancare lo scienziato Walter Bishop.

Da scienziati prima di Albert Einstein, fino a Stephen W. Hawking la teoria dei buchi neri ha affascinato, appassionato e spinto l’immaginazione oltre i confini della realtà.

Quindi, anche se un grande fisico come Antonino Zichichi la definisce una scoperta inutile, io penso che quello che è stato fatto per raggiungere il risultato finale ha dell’incredibile e stupisce e appassiona.

Dopo tante parole quello che ne risulta è che l’universo è tanto affascinante quanto complesso e ci fa capire quanto piccoli siamo rispetto la sua immensità, ogni piccolo passo per scoprire o corroborare teorie è di infinita importanza!

 

 

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