È arrivata anche su Nintendo Switch la vastissima raccolta SEGA Mega Drive Classics. Scoprite come ci è sembrata nella nostra recensione.

Quando escono compilation di vecchie glorie come SEGA Mega Drive Classics sulle prime avverto come un fremito di entusiasmo, spento pochi istanti dopo, immancabilmente, da un generico senso di vuoto.

Ogni volta non riesco a fare a meno di domandarmelo: ma a chi dovrebbe importare, nel 2018, di giocare a cariatidi come Alex Kidd, Space Harrier o Sonic?

Un interrogativo simile l’avevo in testa un mesetto fa mentre ammiravo un ingrassatissimo Billy Corgan dimenarsi sul palco a Bologna: tutto esaurito all’Unipol Arena, gran concerto, che bello rivedere la formazione originale (quasi) al completo dopo il ritorno di James Iha, ma di fronte agli Smashing Pumpkins c’erano praticamente solo over 30, ovvero la medesima generazione che vent’anni prima ne acquistava gli album in formato CD e avrebbe fatto follie per sentirli dal vivo. Delle nuove leve, nemmeno l’ombra.

 

 

Ecco, il target di questa raccolta sono esattamente io, che a dicembre compio la veneranda età di 35 anni, non ho alcuna intenzione di procurarmi un catorcio a tubo catodico o accrocchi per collegare una console di trent’anni fa a un 4K e, quando ho voglia di retrogiocare, mi accontento, flaccidamente, delle macchine attualmente disponibili sul mercato.

SEGA Mega Drive Classics sembra cucito su misura per il sottoscritto: i videogiochi qui inclusi hanno segnato profondamente la mia infanzia, per essi ho speso migliaia e migliaia di lire nei cabinati a gettone e tuttora su di me esercitano, istintivamente, un misterioso fascino, hanno il potere di farmi sognare. Forse perché in fondo tutti restiamo dei ragazzi che il tempo cerca di spegnere, come scriveva John Updike.

Resta il fatto che almeno il 90% degli adolescenti di oggi neanche avrà sentito nominare i cumuli di pixel pubblicati in questo compendio. E del 10% restante vien da chiedersi quanti siano poi effettivamente disposti a scucire 29€ per portarsi a casa un pezzo di storia dei videogiochi che essi nemmeno hanno vissuto. Insomma, dovessero infischiarsene preferendo qualche partita a Fortnite, mi ficcherei due dita in gola, ma non li biasimerei. Non troppo, almeno.

 

Tutto ciò nulla toglie al valore storico e ludico di SEGA Mega Drive Classics.

L’appassionato non ne resterà deluso e troverà nella raccolta un breviario minimo della SEGA stellare di Tom Kalinske, la SEGA che dopo anni di fallimenti per la prima volta spaccava il monopolio di Nintendo e divideva, come mai era accaduto in passato, il pubblico in due talebanissime fazioni, Sonic contro Mario, Mega Drive contro Super Nintendo, velocità contro colori.

Chi volesse approfondire la storia di questa, straordinaria, compagnia troverà in Console Wars di Blake Harris pagine sfiziosissime.

Era la SEGA che in Italia aveva quali testimonial Roberto Mancini, Walter Zenga e Jerry Calà (“ocio però, sono Giochi Preziosi”), la SEGA che buttava fiumi di denaro per congegnare assurde periferiche come gli occhiali 3D o il TV Tuner per Game Gear, la pazza, grandissima SEGA insomma, mica l’aziendina che è oggi. Chi volesse approfondire la storia di questa, straordinaria, compagnia troverà in Console Wars di Blake Harris pagine sfiziosissime. Ma niente rende l’idea di cosa siano stati gli anni ‘90 prima all’arrivo di Playstation, come avviare uno SNES Classic Mini o, per l’appunto, questa valanga di meraviglie.

Mancano tuttavia le produzioni esterne agli studi di SEGA.

Cui difettano tuttavia, meglio chiarirlo subito, in primo luogo tutte le produzioni estranee agli studi interni della casa giapponese: per intenderci, il fan che voglia divertirsi con il trittico di pezzi da novanta marchiato Disney – ovvero Castle of Illusion, Quackshot e Aladdin – rimarrà a bocca asciutta. Ma il discorso può essere esteso ad altre esclusive come Ecco The Dolphin, a first party inspiegabilmente assenti, come Out Run o After Burner, a stramberie totalmente rappresentative di un momento storico quale Michael Jackson’s Moonwalker.

 

 

Ma lagnarsi di quello che poteva essere e alla fine non è, non serve a un tubo: tanto vale ritrovarsi nella cameretta tipo di un teenager del 1993, ovvero la schermata iniziale di Mega Drive Classics, riprodotta – oscenamente – in tre dimensioni, con tanto di poster, scrivania, mobiletto per televisore a tubo catodico e inserire, virtualmente si intende, la cartuccia del gioco selezionato nel Mega Drive.

Per dirla di nuovo con Jerry, ocio però, perché la memoria umana è per definizione selettiva e tende ad ammantare di splendore solo quel che le fa comodo, rimuovendo chirurgicamente gli aspetti più spiacevoli. Prendete, ad esempio, un peso massimo come Altered Beast, ovvero il titolo che SEGA includeva nella confezione della console: giocare oggi a un prodotto del genere è roba per palati foderati d’amianto, il tempo è stato davvero impietoso con quei pixel e a livello di controlli la frustrazione si nasconde dietro l’angolo.

 

 

 

 

Anche riavviare uno degli esponenti più gloriosi e rappresentativi dei picchiaduro a scorrimento, Golden Axe, vero e proprio cult da sala giochi, si è rivelato un mezzo trauma: è come se fossi tornato nella mia stanza del 1993 e avessi preso a calci il me medesimo piazzato, pad alla mano, davanti al televisore. Stessa musica vale Virtua Fighter 2: tra uno sberlone e l’altro, non ho potuto fare a meno di chiedermi, dopo tutto questo tempo, come sia possibile che l’evoluzione dei piacchiaduro sia passata anche di lì.

Per fortuna nel frigorifero non tutto è andato a male e tra gli oltre 50 titoli presenti nella raccolta troverete senza ombra di dubbio più di un gioiellino sopravvissuto all’usura del tempo che risulterà di vostro gradimento. Basta soffiar via la polvere dalla cartuccia e torna la meraviglia. Sonic resta, decenni dopo la sua prima pubblicazione, uno dei migliori giochi di piattaforme di tutti i tempi, consigliatissimo a chiunque ami il genere di appartenenza e sia curioso di riscoprirne le radici.

 

https://www.youtube.com/watch?v=UEannNh8ihA

 

Considerazioni del tutto simili valgono per la trilogia di Streets of Rage in rapporto ai beat’em up. E poi c’è lui, il primo gioco che, una volta terminato il download di Mega Drive Classics, ho avviato senza esitare, andasse al diavolo tutto il resto. Lui, il mio grande amore da bambino, l’immortale, per quanto oggi ormai dimenticato, Shinobi, presente con il tuttora godibilissimo, sia pure insopportabilmente difficile in relazione agli standard odierni, Shinobi III: Return of the Ninja Master. Che spettacolo. E che bestemmie.

Da un punto di vista tecnico c’è poco da dire: il multiplayer online in genere funziona senza troppi patemi, l’emulazione è accettabile (ma non perfetta) ed è possibile attivare una serie di opzioni – che faranno senz’altro storcere il naso ai puristi – per ammodernare e rendere più digeribili montagne di vetustissime pixel. Potendo scegliere, consiglio l’edizione per Nintendo Switch – il meglio di SEGA su una macchina Nintendo: negli anni ’90 sarebbe stato come smadonnare in chiesa – vista la comodità di annegare nell’oceano della nostalgia anche seduti in autobus o in treno.

Per quanto mi riguarda poi le opzioni più imprescindibili restano quelle destinate a rendere la vita più semplice ai giocatori non hardcore, come me: c’è, ad esempio, una modalità che permette di tornare indietro per qualche secondo e rifare il salto finito in tragedia e, soprattutto, il banalissimo, mai troppo lodato, salvataggio rapido, per cui all’epoca avrei fatto carte false.

Sarà mica la volta buona che riesco a finire Shinobi?
84
SEGA Mega Drive Classics
Recensione di Luca Fabbri
ME GUSTA
  • Tantissimi classici che rappresentano una console formidabile
  • Qualche opzione grafica godibile
  • Molti giochi ben si prestano alle partite in mobilità su Switch
  • Chiunque voglia approfondire la storia dei videogiochi da questi titoli prima o poi deve passare
FAIL
  • Mancano alcuni pezzi da novanta di troppo
  • Il prezzo poteva essere leggermente inferiore