Hill House è la nuova serie horror di Netflix ispirata all’omonimo romanzo di Shirley Jackson. Se siete degli amanti del genere non dovreste perdervela, scoprite perché nella nostra recensione.

Disponibile su Netflix dal 12 ottobre in tutto il mondo, Hill House è la nuova serie firmata da Mike Flanagan (Oujia) e liberamente ispirata al romanzo L’incubo di Hill House, scritto nel 1959 della scrittrice statunitense Shirley Jackson. Flanagan trasporta le atmosfere e il cuore del romanzo nei tempi moderni, creando una storia nuova che sarebbe inutile star qui a paragonare con il romanzo a cui si ispira.

Lo fa con scelte registiche consapevoli che innestano il prodotto in quell’ampio filone di film horror duepuntozero, se mi passate il termine. Oggi, infatti, non si può più mettere in scena una storia horror alla Nightmare o alla Holloween (lo ha dimostrato chiaramente il nuovo film di David Gordon Green che cambia completamente tono rispetto all’originale, che per un qualsiasi spettatore “moderno” risulta inevitabilmente datato).

 

 

Questo per un motivo molto semplice: dopo decenni e decenni di jumpscare, situazioni studiate ad hoc per terrorizzare lo spettatore e maschere improbabili, certe tecniche narrative sono talmente note al grande pubblico che non suscitano più paura, piuttosto ci fanno ridere, quando realizzate senza un budget adeguato.

L’asticella qualitativa per spaventare o – e qui volevo arrivare – inquietare lo spettatore si è alzata, in virtù di quello che fin dai tempi dell’antica Grecia era il risvolto più importante della tragedia: far immedesimare chi guarda per poter toccare le corde più sensibili del suo cuore e della sua psiche.

E Hill House riesce proprio in questo intento, ti entra nel cuore e nella testa, in vari modi. Ma partiamo dall’inizio…

https://www.youtube.com/watch?v=gTZyG1mpz4k

 

È il 1992 quando la famiglia Crain decide di trasferirsi a Hill House, una vecchia casa in cui un tempo abitava la famiglia Hill. Hugh e Olivia Crain (i genitori) si spostano spesso ristrutturando vecchie case per poi rivenderle, ecco spiegato il motivo che li ha condotti a Hill House. Insieme a loro i cinque figli Steven, Shirley, Theo e i gemelli Luke e Nell. La storia però si divincola su due linee temporali: oltre a quella negli anni ’90, dove vediamo i protagonisti da bambini, c’è anche quella del presente, dove ormai i fratelli Crain sono cresciuti e vivono in rapporti fortemente conflittuali gli uni con gli altri.

Hill House non è una casa come le altre, e la famiglia Crain l’ha imparato a sue spese. A noi spettatori viene costantemente mostrata una storia piena di ambivalenze, gli eventi si possono leggere in modo diverso a seconda di quello in cui vogliamo credere, è un po’ come vedere una moneta che gira e rigira su se stessa senza mai toccare terra: ci sono due facce, ma quale sarà quella rivolta verso l’alto alla fine?

Hill House è infestata da spiriti e oscure presenze, o forse ciò che vediamo è il frutto di paure e suggestioni dei bambini, e insanità mentale degli adulti?

 

La paura è l’abbandono della logica, o la combattiamo o ci arrendiamo, non c’è una via di mezzo.

Il fantasma di una donna col collo spezzato, una bambina solitaria nel bosco, un uomo che vaga di notte per i corridoi bui della casa, sono solo alcune delle cose che noi, dal punto di vista dei piccoli Steven, Shirley, Theo, Luke e Nell, vediamo. Ma sono reali o un frutto della paura di questi bambini? La paura è l’abbandono della logica, o la combattiamo o ci arrendiamo, non c’è una via di mezzo. Quale che sia la verità che si cela dietro gli eventi di Hill House, sappiamo per certo che a mandare in frantumi la famiglia Crain è la morte della madre, Olivia.

L’ultima notte a Hill House è il mistero che avvolge dalla prima all’ultima puntata l’intera serie, tenendoci col fiato sospeso per capire cosa sia realmente accaduto. Hugh Crain ha portato via con sè in fretta e furia i suoi figli, scappando in macchina da Hill House senza la madre. I figli non avrebbero mai più rivisto Olivia, e come noi anche loro sono cresciuti senza sapere cosa sia accaduto precisamente quella notte.

 

 

Crescendo i fratelli Crain hanno elaborato il lutto in modi diversi, e allegoricamente ciascuno di loro rappresenta una delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto.

I fantasmi dell’infanzia erano veri? Perché la madre è morta, come è morta? Crescendo i fratelli Crain hanno elaborato il lutto in modi diversi, e allegoricamente ciascuno di loro rappresenta una delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto di Elisabeth Kübler Ross. Il più grande, Steven, è diventato un romanziere di successo scrivendo storie dell’orrore, tra cui proprio il resoconto biografico delle vicende di Hill House. Lui incarna la fase del rifiuto, della negazione del lutto, e infatti è quello che più di tutti ritiene che Olivia fosse malata di mente e avesse bisogno di cure, che avesse un qualche tipo di insanità che ha colpito in modo ereditario tutti i membri della famiglia.

Shirley, che da adulta gestisce un’agenzia di pompe funebri, incarna invece la seconda fase del lutto, la rabbia. È arrabbiata con sua madre per averli lasciati soli, col padre per non aver mai spiegato loro la verità, e con Steven per aver lucrato sulle disgrazie della loro famiglia con i suoi racconti. Theo, che vive nella depandance della casa di Shirley, è l’incarnazione della terza fase, la contrattazione. È diventata una psicologa infantile per poter aiutare i bambini in difficoltà a scendere a patti con le stranezze del mondo, senza necessariamente capirle o accettarle. Semplicemente patteggiando, come ha fatto lei.

 

 

 

 

E infine i due gemelli, Luke e Nell. Luke incarna la disperazione, lo sconforto. Era solo un bambino indifeso che si è dovuto sobbarcare il peso di una situazione che non ha mai capito pienamente, e per questo si è rifugiato nella via di fuga più semplice: la droga. Da adulto è letteralmente le pecora nera della famiglia, nessuno ha più fiducia in lui visto che entra ed esce continuamente da cliniche di recupero. Nessuno, a parte Nell. Tra loro due c’è un rapporto speciale, c’è sempre stato, poiché sono gemelli.

Nell è l’anima più solitaria e incompresa, rappresenta l’ultimo stadio del lutto, cioè quello dell’accettazione. Lei non ha mai messo in dubbio le visioni, il terrore, il paranormale. Non l’ha razionalizzato come Steven, non l’ha odiato come Shirley, non è scesa a nessun compromesso come Theo, non si è abbandonata alla tossicodipendenza come Luke. Lei ci ha semplicemente convissuto, senza neanche pretendere la verità dal padre, sapeva già che ogni cosa che aveva visto, sentito, provato, era vera.

 

 

 

Per un lutto che li ha separati, ce n’è un altro che li ruinirà. Proprio Nell, la più piccola tra i fratelli Crain, deciderà di tornare a Hill House e togliersi la vita. Perché lo ha fatto? Cosa l’ha spinta a un gesto tanto estremo, sapendo quello che avrebbe comportato per i suoi fratelli? Essi sono come un unico cuore, frantumato da mille crepe, che pure resta unito. La serie si divincola in dieci episodi che sono una corsa contro e attraverso il tempo, al solo scopo di capire cosa sia successo nel passato e nel presente.

Alle due linee temporali di cui si diceva sopra se ne aggiunge ben presto una terza, che ci racconta gli intrecci dei fratelli Crain prima e dopo la morte di Nell. Oltre a portarci in una serie di riflessioni importanti sui concetti di paura, malattia e di legami famigliari, la serie ha l’enorme merito di trattare in termini tutt’altro che scontati la morte. C’è un momento preciso in cui si parla di essa in un modo a tutti noto ma sempre sottaciuto, la paura ancestrale del nulla, del vuoto, dell’assenza totale di sensazioni. L’idea che dopo la vita non ci sia più nulla, che la nostra coscienza sia uno scherzo del caso, che va a contrapporsi alla speranza che invece ci sia qualcos’altro dopo, o persino durante.

Una via di transizione per le anime irrisolte, i fantasmi. O forse i fantasmi sono soltanto la raffigurazione delle nostre paure, dei nostri traumi, talvolta dei nostri desideri?

 

Oltre a una messa in scena di altissimo livello e a una regia tutt’altro che banale (il sesto episodio è un enorme piano sequenza che vi lascerà sbalorditi) Hill House funziona in modo magistrale perché riesce a porre degli interrogativi profondi nello spettatore, mette in relazione il paranormale con il quotidiano e con la nostra interiorità.

Ci terrorizza non tanto perché riesce a farci saltare sul divano (lo fa anche, ogni tanto) ma principalmente perché riesce a farti svegliare la notte in preda a sensazioni e paure che tutti abbiamo, e chi vi dice il contrario sta semplicemente mentendo. Ci terrorizza perché, volendo fare una doppia citazione:

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa sognare la tua filosofia.

Se siete degli amanti del genere horror non dovreste assolutamente perdervi questa serie, che riesce nella difficile impresa di innovare un genere ormai un po’ bistrattato dal cinema. Che siano le serie tv la nuova frontiera per l’intrattenimento horror? Diteci cosa ne pensate, e se avete già visto Hill House raccontateci la vostra nei commenti.