La Città Incantata è il film che ha consacrato a livello internazionale Hayao Miyazaki. Orso d’Oro al Festival di Berlino del 2002 e Premio Oscar come miglior film d’animazione nel 2003, la pellicola segue la vicenda di Chihiro, bambina di 11 anni che si ritrova in un mondo incantato. Riuscirà a non smarrire sé stessa e a salvare i suoi genitori?
La Città Incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi, 2001) è l’ottavo film di Hayao Miyazaki. La pellicola è tratta dal racconto per bambini Il meraviglioso paese oltre la nebbia (KiriroMukouno Fushigina Machi, 1980) della scrittrice Kashiwaba Sachiko.
La Città Incantata è film che ha consacrato a livello internazionale Miyazaki grazie all’Orso d’Oro al Festival di Berlino e al Premio Oscar come miglior film d’animazione.
Il film arriverà nelle sale italiane solo due anni dopo, nel 2003. La Città Incantata è il primo film di Miyazaki masterizzato e distribuito in digitale. Inoltre farà sì che il regista venga riconosciuto non solo come regista di film d’animazione, ma di regista in assoluto. Riconoscimento dovuto all’assegnazione dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino del 2002 (parimerito con Bloody Sunday, Paul Greengrass) e al Premio Oscar come miglior film d’animazione nel 2003, per la prima volta assegnato a un anime.
Chihiro è una bambina di unidici anni e sta traslocando insieme ai suoi genitori. Durante il viaggio la strada asfaltata si interrompe. La famiglia Ogino si ritrova in un sentiero avvolto dagli alberi, in fondo al quale si trova un enorme edificio. I genitori decidono di entrarvi e Chihiro per non restare sola è costretta a seguirli. Percorsa la lunga galleria di ingresso si ritrovano in una stanza simile alla sala d’attesa di una stazione, oltre la quale si estende un prato. Il padre è sicuro, è un parco giochi chiuso in seguito alla crisi economica. Ma il luogo dove si trovano Chihiro e i suoi genitori non è ciò che sembra. Per la bambina inizierà un’avventura che le insegnerà ad avere fiducia in se stessa.
La Città Incantata è un film sulla potenza della parola, cui Miyazaki conferisce un valore magico. È tramite il nome che l’individuo viene riconosciuto tale. Parola che però ha perso potere e fascino, e la cui conseguenza è un impoverimento del linguaggio e quindi dell’identità.
La causa di ciò è la globalizzazione culturale. Fenomeno che permette ai bambini di tutto il mondo di condividere esperienze e speranze; bloccando di fatto la loro capacità sia di crearsi un proprio mondo fantastico, sia di assorbire le proprie tradizioni culturali.
Questo è dovuto all’industrializzazione, che non solo ha cancellato le tradizioni delle culture popolari, ma ha impedito che se ne formassero di nuove. Queste sono dirette conseguenze di una società caratterizzata dal consumismo e dall’ingordigia, che nell’anime sono rappresentati da Senza Volto (Kaonashi).
La Città Incantata è un film sulla potenza della parola.
Molto significativo è il nome che Yubaba dà a Chihiro. Sen vuol dire un migliaio, sottolineando come il bambino è la base su cui costruire una nuova personalità.
L’incapacità dei bambini odierni di fantasticare viene impersonificata dalla protagonista. Chihiro ha perso il sorriso e la vitalità essendosi isolata, poiché non è guidata nella crescita dai propri genitori. Persone troppo egoiste e distratte per occuparsi della figlia, o troppo protettivi, come Yubaba con il figlio Bo.
L’iperprotezione e l’isolamento causano nei bambini l’incapacità di affrontare la realtà e la paura di essa. Aspetti che sono rappresentati rispettivamente da Bo e da Chihiro. Il figlio della strega ha l’aspetto di un neonato gigante che ha paura di tutto ciò che c’è oltre la sua stanza. La protagonista è goffa, maldestra e smarrita. Inoltre ha un corpo esile, simbolo del suo fragile ego.
Nonostante lo smarrimento iniziale, grazie alla sua determinazione e all’aiuto delle persone che incontra nel suo cammino – come Haku, Kamaji e Linn – la protagonista sarà in grado di reagire a tutte le difficoltà che incontra.
Dimostrando di sapersi adattare a ogni situazione. Una vera e propria eroina che riesce a salvare la sua identità e quindi se stessa attraverso un lungo viaggio costellato di difficili prove. Tra queste: riuscire a farsi assumere da Yubaba; la pulizia del dio okusare-sama (allegoria dei disastri ambientali); il viaggio in treno sino alla palude di Zeniba per salvare Haku; la prova finale in cui deve riconoscere i propri genitori trasformati in maiali.
Nonostante l’avventura di Chihiro ne La Città Incantata abbia punti di contatto con il viaggio dell’eroe, in realtà non lo è. Questo risulta evidente nel modo in cui si conclude il film. Mentre nei racconti di iniziazione il viaggio porta l’eroe in paesi lontani ma esso tornerà comunque a casa, questo non accade ai personaggi di Miyazaki. I protagonisti dei film del Maestro al termine del viaggio si fermano nel luogo in cui sono giunti .
La Città Incantata sembra contraddire tale regola poiché la famiglia Ogino torna nella radura in cui aveva lasciato la macchina. La radura però è ancora un posto sconosciuto. A riprova di ciò Miyazaki inserisce all’inizio e alla fine le stesse inquadrature, con un ordine differente, e gli stessi dialoghi. Si ha così ancora un volta un tempo di narrazione circolare, il cui scorrere continuo permette la maturazione dei protagonisti.
Temi portanti del film sono la fiducia in sé stessi e la responsabilità.
Infatti alla fine del suo viaggio Chihiro è la stessa bambina di sempre, ha solo imparato ad avere più fiducia in se stessa. Il viaggio intrapreso dalla protagonista è un percorso di maturazione che le ha permesso di passare dall’età infantile all’età adulta. Tale passaggio è sottolineato dallo sguardo finale di Chihiro. Un’espressione malinconica perché consapevole della perdita dell’innocenza.
Maturità raggiunta grazie sia alla fiducia che ha imparato ad avere in se stessa che alle responsabilità che ha imparato ad assumersi tramite il lavoro meccanico e alienante (come in Metropolis, Fritz Lang, 1927). Aspetti che sono i temi portanti del film.
Come ne Il mio vicino Totoro anche in questo film non mancano i ricordi di infanzia del regista. Tra i più curiosi vi è quello legato a Yubaba. La strega è ispirata a una custode di bagni pubblici che Miyazaki ricorda come una vecchia terribile dalla testa enorme.
Inoltre da Il mio vicino Totoro il regista riprende elementi soprannaturali – ritroviamo i susuwatari, gli esseri di fuliggine, che qui sono gli aiutanti dell’infaticabile Kamaji – sia elementi paesaggistici.
Sono riproposti la risaia, che qui diviene una palude, dove vive Zeniba, gemella di Yubaba; gli altari shinto abbandonati a se stessi a voler sottolineare come non siano cambiati epoca, mentalità e cultura, ma sopratutto che nella società odierna il passato e le tradizioni non contino nulla; e l’albero di canfora che non si trova più in un enorme giardino ma circondato dalle strade, a voler sottolineare l’inesorabile avanzamento dell’urbanizzazione.
Miyazaki si è ispirato alla letteratura occidentale, in particolare ad Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e al Pinocchio di Collodi.
Miyazaki si ispira inoltre alla letteratura occidentale, in particolare ad Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e al Pinocchio di Collodi. Dal primo riprende l’idea di un mondo parallelo cui si accede tramite un ingresso. Una tana di coniglio di nel libro di Carroll e l’entrata di un parco giochi ne La Città Incantata.
Dal secondo l’idea del parco giochi, che nell’anime diviene un bagno termale. Un luogo che come il Paese dei balocchi trasforma gli esseri umani in animali. Una località che attrae con le sue lusinghe, incarnazione di una società ingorda.
Per di più il bagno termale è metafora dello stesso Studio Ghibli. Kamaji è una caricatura di Miyazaki stesso stesso, la strega Yubaba lo è del produttore Suzuki e Chihiro rappresenta i giovani artisti che si presentano allo Studio chiedendo lavoro.
Infine i bagni termali (yuya) sono ispirati a quelli di Dogo, dove lo staff si reca regolarmente per ritemprarsi. Un posto che ha forte valenza simbolica. Infatti come le terme degli dei, lo Studio Ghibli è il luogo dove ci si prende cura delle fantasie di Miyazaki.
La parola è il simbolo della tradizione.
Con La Città Incantata Hayao Miyazaki crea un mondo in cui la parola è il simbolo della tradizione, la quale è assorbita tramite i ricordi personali e associata alla realtà tramite l’esperienza. Un mondo magico dove l’unico modo per non perdere se stessi è non dimenticare le proprie tradizioni e origini.