Dopo The Lobster torna a Cannes il regista greco Yorgos Lanthimos con il dramma, dal black humor, The Killing of Sacred Deer, presentato nella sezione In Concorso del Festival.
Yorgos Lanthimos è un habitué dei Festival. Da Cannes a Venezia, il regista greco ha saputo farsi conoscere per il suo linguaggio e stile complesso e teatrale. Al 70. Festival del Cinema di Cannes si presenta nel concorso con The Killing of Sacred Deer, pellicola simile a una tragedia greca ma con sfumature che vanno dal grottesco al black humor, tergiversando verso lo splatter.
Lanthimos non è mai stato un grande amante delle narrazioni semplici, cercando sempre di rappresentare storie che andassero ad attingere direttamente dal teatro, raccontando realtà disturbanti e disturbate.
Lo abbiamo visto nel 2009 con Kynodontas, così come due anni fa con il più accessibile The Lobster. Qualcuno ha definito questa recente opera, con protagonisti Nicole Kidman e Colin Farrell, il film più commerciale del regista greco.
Sicuramente The Killing of Sacred Deer è il film di più facile assetto visivo e narrativo mai definito da Lanthimos, ma questo non lo rende davvero di facile accesso al grande pubblico.
Pur adoperando un cast molto conosciuto, come era già successo in The Lobster, e giocando con una storia capace di rifarsi direttamente alle tematiche più centrali del dramma greco, come per esempio la vendetta, l’inganno, il tradimento, The Killing of Sacred Deer resta un film eccessivamente complesso.
Una pellicola fatta di strati su strati, che non riesce mai a trovare una vera e propria direzione, ma conduce lo spettatore verso un vortice di suggestioni e sensazioni che più che far entrare in contatto con i personaggi, scaraventa direttamente fuori.
Parte della regia di Lanthymos si basa proprio sull’estraniazione da parte dello spettatore. La sua regia molto fredda, le immagini impeccabili ma al tempo stesso rigorose, non permettono mai un vero avvicinamento intimo con i personaggi. Non un regista da colpo di fulmine, non un regista per tutti. Un regista che, forse, risponde perfettamente alla definizione: o lo si ama o lo si odia.
In quasi tutte le pellicole del regista greco l’obbiettivo è quello di disturbare lo spettatore.
Nel bene o nel male, Lanthymos è un vero maestro nel creare malessere e insofferenza nel suo pubblico, sia nella rappresentazioni di immagini molto forti e violente, ma anche nella metodologia di linguaggio narrativo adoperata dal regista.
Probabilmente The Killing of Sacred Deer è la pellicola più “chiacchierata”, dove il dialogo ha una componente piuttosto centrale e c’è un continuo uso dell’ironia, doppio senso e metafora.
Vero protagonista di questa pellicola è il chirurgo Steven Murphy (Colin Farrell), che domina tutta la pellicola sia nella sua prima parte che nella seconda. Se, infatti, in un primo momento vediamo questo morboso e particolare avvicinamento da parte di Murphy nei confronti di un giovane sedicenne (Barry Kheogan), il quale inizierà a frequentare la stessa famiglia del dottore, nella seconda parte il dramma di Lanthymos diventa un thriller psicologico.
Una sorta di ibrido tra Macbeth ed Eyes Wide Shut dove Steven, e tutta la sua famiglia, verranno tormentati, portanti all’esasperazione da parte della paranoia, fino a sfiorare una follia.
Un morbo che avvolge la figura del dottore e si rimette ai suoi cari, trasformando la pellicola in una sorta di conti con il passato. Fantasmi del passato che ritornano e in parte vorrebbero spiegare tutti gli elementi privi di senso della prima parte della pellicola, ma che riescono solo in parte al raggiungimento del loro compito.
Sicuramente man mano che la pellicola va avanti si respira un clima sempre più carico di pathos e ansia. Un’atmosfera estremamente teatrale che si consuma tra il grottesco e, addirittura, lo splatter. Una giostra che trascina lo spettatore, ma senza mai condurlo verso delle spiegazioni razionali, un filo conduttore che possa dare quel minimo di armonia, e non per forza logicità, alla narrazione.
Il tentativo di voler rendere più accessibile la lettura del film, subisce l’effetto letteralmente opposto. C’è solo una continua sovrapposizione di materiale. Dal tragico si passa al comico, dall’horror si passa al thriller. Una combinazione negativamente letale che, a lungo andare, sfinisce.
Ciò che alla fine resta della pellicola, oltre a uno stato di nausea poco piacevole, è l’incredibile interpretazione dei due attori protagonisti, Nicole Kidman e Colin Farrell, tra i veri protagonisti di questo 70. Festival del Cinema di Cannes.
Molto più di qualsiasi vera trasposizione di un dramma greco, Kidman e Farrell sono assorti all’interno del mondo di Lanthymos e si lasciano ben guardare dallo spettatore, scivolando nelle viscere di un incubo apparentemente senza fine.
Un continuo risvegliarsi nel sogno, senza trovare la via d’uscita ma solo una sequela di terribili orrori direttamente risvegliati dal passato e dagli abissi del proprio animo.
Premesse e intenzioni ottime, ma Lanthymos continua a ristagnare nella sua “elevazione”, senza voler davvero rendersi accessibile al pubblico. Sicuramente non un difetto del regista, che giustamente sceglie di fare un cinema molto diverso da quello a cui siamo abituati, ma neanche un pregio.
Del resto, se non è un ghiotto botteghino e l’approvazione quella che interessa, ma il solo riconoscimento all’interno di un Festival, allora Lanthymos può anche continuare su questa strada.
The Killing of Sacred Deer uscirà nelle sale statunitensi 3 Novembre.