Tutti ne parlano e tutti la guardano. Tredici, la nuova serie originale Netflix, sta diventando un vero tormentone, non solo per l’intrattenimento, ma anche per fare un po’ di luce su tematiche molto importanti come il bullismo, la depressione e il suicidio. Tredici episodi per sette cassette audio, ma… chi ha veramente ucciso Hannah Baker?

Ci ho messo un po’ a scrivere questa recensione. O meglio, ci ho messo un po’ a trovare il coraggio di scrivere questa recensione. Molto probabilmente questo pezzo non sarà nemmeno una vera recensione, ma più un pensiero/esperienza molto personale su quella che è la serie del momento, Tredici.

Tratto dal romanzo young adult 13 Reason Why di Jay Asher, psicologo ed esperto di letteratura per ragazzi, Tredici è una serie originale Netflix, arrivata sulla piattaforma on demand da meno di un mese.

La serie, sviluppata in tredici episodi tra i 55 e i 60 minuti, parla di Hannah Baker, una ragazza di diciassette anni che si è suicidata. Apparentemente sembra che nessuno conosca veramente questa Hannah Baker, ma come da manuale per le scuole americane, la febbre del suicidio sembra aver creato uno stadio di allarmismo puro.

E mentre i professori, più per paura di perdere il posto e la causa contro i genitori della ragazza, iniziano una crociata di propaganda alla “non sei solo”, Hannah Baker ha fatto in modo che la sua voce si potesse ancora sentire. E sette cassette audio sono state spedite, pronte per fare il giro di tredici persone: i tredici motivi per cui Hannah ha deciso di farla finita.

 

 

Tredici

 

 

In un misto tra presente e flashback, guidati dalla voce narrante di Hannah.

In un misto tra presente e flashback, guidati dalla voce narrante di Hannah, scopriamo quanto tanti piccoli (o quasi, in alcuni casi) torti possano far sentire un ragazzo o una ragazza tremendamente soli, inadeguati, inutili, a tal punto da pensare: non mancherò a nessuno, staranno tutti meglio senza di me.

E senza troppi preamboli Tredici inizia nella battaglia di Hannah Baker contro chi, nel momento del bisogno, le ha voltato le spalle. E, improvvisamente, il “sacrificio” di una persona – in parte estremamente bisognosa di attenzioni – diventa il manifesto più efficace contro qualsiasi forma di violenza giovanile.

Non stupisce, quindi, scoprire come Tredici abbia avuto un successo sempre più progressivo. Una serie che, relativamente piano, è riuscita a raccogliere attorno a sé sempre più spettatori, di generazioni differenti, e che adesso sembra essere diventato un vero e proprio inno, qualcosa di molto più concreto di un mero volantino infarcito di belle parole.

Una serie pronta ad aprire gli occhi di chi la guarda, a seconda della propria età ed esperienza di vita, e a fare il giro delle scuole, perché Tredici sa parlare, urlare, soffrire, picchiare, amare, violentare, uccidere, proprio come un adolescente farebbe. 

 

Tredici

 

Senza retorica ma con realismo crudo e viscerale, Tredici è quel pugno in pancia che aspettavamo di dare o di ricevere.

Tredici è quella realtà che, in un modo, o nell’altro abbiamo vissuto. Si, perché tutti noi siamo i protagonisti. Tutti noi potremmo essere i Tredici motivi, volti, che hanno portato la giovane protagonista a suicidarsi. Oppure potremmo essere stati nella stessa situazione di questa ragazza o, ancora, potremmo aver avuto nella nostra vita una Hannah Baker, un Bryce Walker o una Jessica Davis.

E quante cose sarebbero state diverse se solo avessimo saputo? Se solo avessimo visto in faccia la realtà per quella che è davvero, senza drammi esageratamente ingranditi o la paura di deludere e vedere la colpa riversa su di noi?

Se solo problematiche come il bullismo, il cyberbullismo, lo stupro, la depressione, il suicidio, venissero trattate nelle scuole in modo sensato e non semplicemente con volantini, propagande pregne di retorica e solo a ridosso di quando è ormai troppo tardi, quante cose sarebbe andate diversamente?

Tredici porta a porsi questa domande. Non importa se siamo stati i bulli, i nerd, i fighi, i belli o i brutti, gli strani o i tipi giusti. Tredici parla del macro andando verso il micro e ci mostra quello che non abbiamo mai visto,  o voluto vedere, fino a questo momento, con sguardo freddo e oggettivo.

Ma andiamo per gradi e lasciatemi spiegare perché, per me, Tredici è quella serie che avrei voluto vedere a sedici anni.

 

 

Tredici

 

 

 

Quell’inferno chiamato adolescenza

Prima di tutto, riconosco che la parola young adult mi aveva fatto storcere non poco il naso, considerando il becero livello generale di questa tipologia di libri. Jay Asher, per forza di cose, è qualcuno che sa esattamente di cosa sta parlando e fa ricredere subito, se non poco dopo, che con Tredici devi liberare la mente, immergerti nella storia e ricordarti di quell’inferno che la gente si ostina ancora a chiamare adolescenza.

 

Certo, non voglio fare di tutta l’erba un fascio.

Certo, non voglio fare di tutta l’erba un fascio. C’è chi dell’adolescenza ne ha una tenera nostalgia, chi non la vuole vedere nemmeno in cartolina e chi, invece, l’ha vissuta come una fase naturale della propria esistenza. Ecco, io faccio parte di quelle persone che ringraziano di aver superato da tanti anni quei terribili sedici anni.

Sicuramente dipende tutto dalla propria personalità, dal proprio contesto sociale e culturale. Assai probabile è che l’adolescenza di un liceale di una grande città sia diversa da quella di uno di una piccola città di provincia, così come è piuttosto certo che l’adolescenza di un ragazzo italiano, forse anche europeo, è nettamente diversa da quella di un ragazzo americano.

 

Tredici

 

La cultura del fanatismo americano non è certo uno stereotipo. Esaltati fin da bambini a essere perfetti: i più bravi, belli, atletici, socievoli. Se non sei nessuna di queste cose, sei un perfetto nessuno. Ragazzi pressati dagli insegnanti, dai genitori, dai continui messaggi  e stimoli sparsi da uno spot pubblicitario a un libro. Ragazzi destinati a diventare vittime o carnefici, a volte entrambi. Adulti del domani cresciuti con il falso mito di potere tutto o con la tragica consapevolezza di doversi piegare, sempre e comunque.

Tredici ci mostra le molte facce della medaglia di questa ombra, a volte piccola e altre volte gigante, chiamata adolescenza. Questo piccolo germe che ci cresce dentro, fagocitato dagli stimoli esterni, e che rende gran parte degli adolescenti bombe a orologeria pronti a esplodere: alcolismo, stupro, omicidio, suicidio.

Parole che fanno inorridire ma che in questa serie, e nelle realtà dello scenario che racconta, sono all’ordine dell’episodio.

 

 

 

Una serie imperfetta ma dalla storia reale

Partiamo da una doverosa premessa: Tredici non è una serie perfetta. La grande potenza di Tredici risiede proprio in questo, perché nel suo essere così grezza, o meglio acerba, riesce a rappresentare perfettamente quella fase dell’esistenza di tutti che è una sorta di limbo.

L’adolescenza la si può vivere in tanti modi, questo ormai, è stato assodato, ma è innegabile che ognuno di noi, nel segreto dei propri silenzi oppure cercando di esorcizzarlo in qualsiasi modo possibile, non si sia sentito almeno per una volta, in quel periodo, in bilico tra l’essere qualcosa o non essere qualcos’altro.

 

 

Tredici

 

 

Inadeguati al contesto, alla situazione. Incompresi. Indecisi. Spaventati.

Inadeguati al contesto, alla situazione. Incompresi. Indecisi. Spaventati. Capita, è normale! Una fase di transizione come l’adolescenza comporta proprio questo.

Tredici rappresenta visivamente, ma anche da un punto di vista più strettamente legato alla narrazione, questo. Un minutaggio eccessivamente lungo. Una gestione delle tempistiche non propriamente giusta, spesso condensando verso gli episodi finali i climax più alti e con una parte iniziale particolarmente ingombrante.

Una serie non raffinata e che rispecchia perfettamente il genere teen movie, a volte cadendo nelle stesse piccole incongruenze e risoluzioni che puntano più alla storia in sé per sé piuttosto che a una resa visiva eccelsa e originale.

Per qualcuno riuscire a superare i primi quatto/cinque episodi potrebbe essere un’impresa, proprio perché macchinosi, costellati di punti morti e con un protagonista che vorrebbe essere picchiato anche dallo spettatore, per la sua lentezza. Eppure, più si va avanti, più questa scelta stilistica di Tredici diventa assolutamente necessaria, fondamentale.

Non stiamo parlando di un prodotto che vuole spiccare con il suo aspetto esteriore. No, Tredici è una serie viscerale, che vuole arrivare direttamente all’interno. Colpire come un pugno, inaspettato, in pieno stomaco.

E più si va avanti con la visione, più le immagini si fanno sempre più crude e dure. Una violenza veritiera e specchio di una generazione 2.0 sempre più bombardata da continui stimoli negativi, mettendo a repentaglio la propria autostima e quella degli altri, spesso anche la vita.

 

Tredici

 

Non parliamo di una serie predicatoria, una serie che vuole fare della retorica, ma Tredici è una serie che può insegnare tanto, non solo alle generazioni più giovani, ma soprattutto agli insegnati, ai genitori, a quelle figure più adulte che spesso sono le prime, consapevolmente o meno, a chiudere le porte in faccia quando si ha più bisogno di aiuto.

A volte si agisce in un modo, si resta in silenzio, si decide di non fare nulla e ingoiare l’ennesimo rospo, proprio in funzione di genitori troppo pressanti, genitori autoritari o genitori assenti. Insegnanti che credono di sapere tutto, avendo molto probabilmente dimenticato cosa voglia realmente dire avere sedici anni.

E non sono pochi, soprattutto qui in Italia, insegnanti che sono peggio del bullo che ci aspetta fuori dall’uscita della scuola

E non sono pochi, soprattutto qui in Italia, insegnanti che sono peggio del bullo che ci aspetta fuori dall’uscita della scuola. E non si parla di voti bassi, note, ma si parla di minare l’autostima di un ragazzo con insulti, ridicolizzando di fronte all’intera classe, proprio nel momento più delicato della sua vita. Cosa si può realmente fare in quel momento? La prima cosa che ci insegnano è: il coltello dalla parte del manico non ce l’hai tu. Come potremmo mai reagire sapendo questo? Spesso restando in silenzio, e sperando in un futuro di avere la forza di reagire, di essere una persona diversa rispetto a quella dipinta in quel modo da un perfetto estraneo che pensa di poterci giudicare in base al nostro andamento in storia, filosofia o tedesco.

 

 

Tredici

 

 

 

 

Il coraggio di guardare la realtà, agire e dire basta

Tredici si rivolge a chi non vuole guardare. Tredici ti ricorda che anche tu hai avuto quell’età. Tredici è una serie che non ti fa sentire solo, e guardando Hannah, Clay, Alex, Justin, Jessica, e tutti i personaggi coinvolgi in questa tragica storia, si può fare il confronto con parte della propria vita.

Tredici invita a reagire, non solo per se stessi ma anche per gli altri. Si può essere colpevoli di un suicidio, di un ragazzo che perde il controllo, dopo anni di abusi, impugnando un fucile e sterminando una scuola, semplicemente stando in silenzio. Semplicemente senza fare nulla o pensando “meglio farsi i fatti i propri”.

 

Tredici

 

Tredici insegna che se sei una ragazza nessuno da il diritto agli altri di fare delle allusioni sessuali, palparti, toccarti, o peggio.

Tredici insegna che se sei una ragazza nessuno da il diritto agli altri di fare delle allusioni sessuali, palparti, toccarti, o peggio. Sei un essere umano, al di fuori del proprio sesso, e il consenso è un elemento fondamentale. E assistere a uno stupro, o essere stuprati, non è un’infamia, ma il punto di partenza per denunciare una persona che deve pagare l’aver negato a un’altra un proprio diritto: dire no.

Se sei omosessuale non devi vergognarti. Non è un bollino rosso sulla tua esistenza. Resti una persona, un fantastico essere umano che farà tantissimo nella sua vita, e che il gusto sessuale non è un’etichetta, non è un qualcosa che fa di te una persona migliore o peggiore di un altro.

Essere bullizzati non ti da il diritto di bullizzare a tua volta un’altra persona solo perché tu non sai/puoi/vuoi reagire, o che il becero slut-shaming a volte può fare molto peggio di un pugno in faccia.

 

Tredici

 

Tredici è esattamente questo, ma anche l’opposto.

Tredici è esattamente questo, ma anche l’opposto. Perché questa serie mostra come queste dinamiche avvengono realmente nel mondo degli adolescenti, soprattutto all’interno della realtà americana molto più spigolosa rispetto alla nostra, senza romanzare.

La serie creata da Brian Yorkley e prodotta da personalità come Tom McCarthy e Steve Golin (vincitori dell’Oscar per Il Caso Spotlight), Michael Sugar e Selena Gomez, riesce ad arrivare al cuore di tutte queste questioni, diventando uno dei prodotti di intrattenimento meglio scritti e riusciti sulle tematiche di violenza giovanile.

Si fa affidamento su storie realmente accadute e trasposte in documentari e pellicole, come The Hunting Ground sulla cultura dello stupro o La strage di Columbine Hight, documentario sul massacro della stessa scuola, al quale si è poi ispirato Gus Van Sant con Elephant.

 

 

 

Una serie senza mezzi termini

Questo non fa di Tredici un “classico” prodotto sul malessere giovanile, che vuole fungere da celestiale predica contro la società. La serie parla senza mezzi termini. Agisce come si agirebbe nella realtà e mostra una faccia cruda e brutale, la quale porta lo spettatore verso un malessere costringendolo a un coinvolgimento estremo, dove l’empatia gioca un ruolo fondamentale, rendendo difficile un vero e proprio binge-watching a causa dell’anima più violenta della serie.

Merito è anche dell’incredibile e giovane cast, in primis la protagonista interprete di Hannah, Katherine Langford. L’attrice è talmente tanto brava da farci vedere, anche solo con uno sguardo, il cambiamento di Hannah dalla prima scottatura fino all’estrema e fatale decisione fatale. Dal sorriso di chi è nel pieno della sua vita, alla paura e il terrore di chi non trova più una ragione per sopravvivere.

 

 

Tredici

 

 

Una protagonista che suscita diverse emozioni e sensazioni. Un personaggio particolare, a volte fin troppo drammatico come ogni ragazza di quell’età.

Una protagonista che suscita diverse emozioni e sensazioni. Un personaggio particolare, a volte fin troppo drammatico come ogni ragazza di quell’età, altre volte risolute, sottile. Katherine ci fa rendere conto, sul finale, dell’estrema solitudine provata da Hannah in quegli ultimi giorni di consapevolezza e di incisione dei nastri, narrando a uno a uno gli eventi e i protagonisti che l’hanno portata a uccidersi.

In Tredici sono molto interessanti le reazioni di tutti i personaggi. Giovanissimi attori che riesco a caratterizzare, con estrema naturalezza, il loro ruolo, diventando un tutt’uno con esso. Il continuo non metabolizzare di Clay (Dylan Minnette), che nel suo esasperato e dilatato ascolto, ci porta ad approfondire la breve esistenza di Hannah Baker ma anche il senso di colpa di chi c’era e non si è accorta di nulla. Guardare e non guardare, chiedendosi continuamente se solo quella volta, in quel momento, una parola o uno sguardo, avrebbero realmente potuto fare la differenza.

La non accettazione di una violenza, il continuare a nascondere la verità per paura di diventare complici o agli occhi di un adulto, un genitore o insegnate, qualcuno che se l’è cercata perché aveva bevuto troppo o perché aveva una gonna troppo corta. La non accettazione della propria sessualità, a discapito degli altri, pur di “salvare” la propria reputazione.

 

Tredici

 

 

 

Tredici: una riflessione sulla realtà per il futuro

Tredici espone l’esigenza di una società che deve necessariamente, nel 2017, fare i conti con questo tipo di problematiche. Non si può affidare tutto a uno stereotipo, tutto al “era un ragazzo complesso” o “era una ragazza facile” o peggio “mio figlio non farebbe mai una cosa del genere”, perché Tredici sbatte in faccia a queste persone, a questi genitori, quanto non sappiano niente dei propri figli e non sanno minimamente il mondo che li circonda.

L’adolescenza è una giungla, lo sarà sempre, ma si può rendere questa giungla un posto più sicuro. Un posto dove non è necessario essere delle vittime o dei carnefici. Un posto che non deve essere l’addestramento militare, perché c’è tempo per fare i conti con la vita, e  l’insulto del professore, lo schiaffo dal bullo, o una violenza su una ragazza, non deve più fare di un giovane adolescente la persona che sarà o non sarà nel futuro.

 

 

Tredici

 

 

Ogni piccolo problema, quello che adesso potrebbe sembrarci insignificante, in quegli anni è una montagna, un ostacolo insormontabile, e Tredici a modo suo da l’opportunità di avere uno sguardo oggettivo, quasi analitico, su quel tipo di situazione, di momento.

Una realtà che riguarda moltissimi ragazzi, ed è questo l’aspetto più importante di questa serie. Riesce a non far sentire soli e, così come Hannah Baker, spinge, in un modo o nell’altro, alcune delle tredici persone a parlare e fare finalmente giustizia, Tredici può davvero smuovere qualcosa, a favore del futuro, all’interno dei suoi spettatori, perché a volte imparare a dare una mano, dire una parola di più nel momento giusto, può davvero salvare qualcuno.

Tredici è quella serie che può non far sentire più soli e che ogni adolescente, del passato, presente o futuro, dovrebbe vedere.