Sette mesi dopo la sua uscita in Giappone, abbiamo finalmente messo le mani sull’ultimo capitolo della serie JRPG Atlus più famosa di sempre: Persona 5.

La serie Persona, lo precisiamo fin da subito, è decisamente rivolta a una nicchia di giocatori. Qui in Italia poi, considerando che il gioco è localizzato e sottotitolato esclusivamente in inglese, ad una nicchia ancor più ristretta di quanto già non sia per il genere di gioco. Quindi è bene tenere a mente questo fattore se siete interessati al titolo, trattandosi di un’opera estremamente verbosa e nella quale dialoghi e sequenze filmate hanno un peso estremo e fondamentale.

Se però il concept del gioco vi affascina si può vedere il bicchiere mezzo pieno non considerando la presenza della sola lingua inglese come fattore impedente, bensì come un valido metodo di apprendimento e/o consolidamento della vostra conoscenza di questo idioma. Tutta questa premessa per dire che in Persona 5 c’è da leggere, e parecchio. Il giocatore veste i panni di uno studente giapponese delle superiori, dovendo gestire le sue giornate tra impegni ordinari e combattimenti con terrificanti demoni. Con un approccio narrativo e uno stile grafico tipico degli anime, il titolo vi intratterrà per centinaia di ore in una storia che tocca i temi di amicizia, crescita e cambiamento, ma anche di ribellione, politica e società del nostro tempo.

Lo fa in modo eccellente, senza risultare banale e alterando tonalità anche allegre a tematiche molto forti, spesso in relazione al “lato oscuro” della società giapponese che i prodotti d’intrattenimento gioiosi e romanzati non mostrano. La versione da noi testata per la recensione è quella PlayStation 4, vi ricordiamo che Persona 5 è disponibile anche per PlayStation 3 ed è stato rilasciato in occidente il 4 aprile 2017.

 

La recensione di questo titolo arriva con un discreto ritardo in quanto la copia per la recensione ci è stata consegnata al day one. Ci scusiamo per l’attesa ma abbiamo preferito aspettare qualche giorno extra invece che essere precipitosi, al fine di dare una valutazione completa e non approssimativa del prodotto.

 

 

 

 

La storia parte fin da subito ponendo il giocatore su un doppio binario narrativo, legato al presente e al passato del nostro protagonista. Sarà fin da subito possibile scegliere il nome che preferiamo (anche se il suo vero nome è Akira Kurusu) in quanto come sempre per la serie Persona l’obiettivo è quello di far immedesimare totalmente il giocatore con la storia e gli intrecci narrativi, ponendolo nei panni di questo alter ego e facendo sì che si comporti come ci comporteremmo realmente noi se fossimo al suo posto.

Un doppio binario narrativo, dunque, che ci porta nel presente/futuro in cui le cose sono andate storto e ci ritroviamo a ripercorrere le vicende che ci hanno condotto fin lì tramite dei flashback.

Un doppio binario narrativo, dunque, che ci porta nel presente/futuro in cui le cose sono andate storto e ci ritroviamo a ripercorrere le vicende che ci hanno condotto fin lì tramite dei flashback, seduti in una cella e interrogati dalla polizia. Il nostro protagonista è un liceale giapponese come tanti, che a causa di un incidente discutibile subisce un’accusa e viene affidato al proprietario di un bar di Tokyo, in libertà vigilata, per trascorrere un anno lontano, in una nuova scuola e più di ogni altra cosa senza combinare guai. La prima cosa che salta all’occhio è proprio questa continua preoccupazione degli adulti affinchè Akira non faccia nulla di sbagliato, eppure la cosa appare come un ossimoro vista la pacatezza e la sensibilità che il personaggio dimostra fin dalle battute iniziali. Qui la prima riflessione importante: il pregiudizio.

Quel pregiudizio che porta le persone a non preoccuparsi di capire se una situazione sia davvero come è stata loro descritta, a prendere per assodato che un ragazzo tanto gentile sia in realtà un piantagrane da cui aspettarsi solo guai. Vittime di pregiudizi sono anche gli altri personaggi che Akira incontra e che formeranno il nostro “team”, più di tutti il biondo Ryuji Sakamoto, che a scuola viene etichettato da tutti come quello da cui stare alla larga.

Persona 5 gioca molto su diversi dualismi: passato e presente, il vero carattere dei personaggi contro la percezione che gli altri hanno, il mondo reale e la dimensione parallela del Metaverse.

 

Akira e soci riescono ad interagire con il Metaverse grazie ad una misteriosa app che apppare sul loro smartphone e che una volta lì è impossibile cancellare. Una volta entrati in questa dimensione parallela, che permea la realtà e le sue strutture, i nostri protagonisti scoprono che i desideri inconsci di individui malvagi prendono fisicamente forma in delle strutture chiamate Palazzi. Così la loro scuola diventa un castello ove regna sovrano il perverso prof. Kamoshida, e in cui incontreremo il gatto parlante Morgana che si unirà alla nostra squadra e ci insegnerà i segreti di questa dimensione, rivelandoci che rubando il tesoro custodito nel Palazzo è possibile innescare un ripensamento nella mente del nemico.

Persona 5 è un titolo che parla per metafore e che nasconde, tra le righe del suo colorato spirito da anime, una profonda storia di riscatto generazionale.

I Palazzi però rappresentano dungueon da affrontare non solo esplorando e risolvendo enigmi ambientali, ma anche combattendo creature demoniache. I nostri protagonisti si faranno strada evocando il potere psichico dei Persona, e fondando la banda dei Phantom Thieves, con il preciso scopo di cambiare la società dall’interno. Non ci dilungheremo oltre sulla trama che, come già detto, è una delle componenti più importanti e affascinanti della serie e di questo titolo in particolare. Quanto detto finora raschia appena la superficie delle prime ore di gioco, ma tenete bene a mente che Persona 5 è un titolo che parla per metafore e che nasconde, tra le righe del suo colorato spirito da anime, una profonda storia di riscatto generazionale.

 

 

 

 

In Persona 5 la narrazione si fonde al gameplay in modo tamente naturale che risulta difficile analizzare una componente separatamente dall’altra. Man mano che proseguirete nella scoperta della storia dei Phantom Thieves infatti, apprenderete anche tutte le varie dinamiche di gameplay che vanno dall’esplorazione di ambienti mai troppo vasti, ad altri più intricati quali i Palazzi in cui dover lottare con una struttura a turni molto intuitiva che difficilimente annoia anche dopo centinaia di ore di gioco.

 

 

La struttura fondamentalmente è quella di un jrpg, ma con diverse caratteristiche atipiche. Abbiamo persino l’avanzamento di livello del personaggio e dei Persona, ma di sicuro la caratteristica più originale è la progressione dei Confidant che ci permetterà di sbloccare abilità in combattimento, bonus, servizi e molto altro attraverso conversazioni tra loro e il nostro protagonista, in cui dovremo scegliere accuratamente le parole da utilizzare.

A brillare come mai prima d’ora in questo capitolo è però la gestione del tempo libero del nostro protagonista.

Starà totalmente a noi scegliere quali siano le attività più strategiche e congeniali ai nostri obiettivi da svolgere. Superato un certo momento del gioco che funge quasi da enorme tutorial a tutte le meccaniche, potrete liberamente gestire ogni minuto senza mai aspettare tempi morti, per cui anche uno spostamento in metropolitana può risultare utile per leggere qualche pagina di un libro ed aumentare il vostro livello di Knowledge.

 

 

Infine spendiamo qualche parola per il comparto tecnico di Persona 5. Premettendo che il titolo tradisce la propria natura cross-gen essendo stato sviluppato anche per PlayStation 3 a causa di texture in bassa risoluzione, la versione PlayStation 4 risulta in ogni caso molto godibile per via della direzione artistica e di uno stile davvero unico.

Con sequenze filmate che sono veri e proprio corti d’animazione giapponese e uno stile che ancor più del cell-shading richiama quel look anche nel gioco vero e proprio, Atlus ha riprodotto diversi angoli di Tokyo con una cura per i dettagli maniacale e ci porta anche in una dimensione onirica con giochi cromatici tanto spettacolari da volersi soffermare anche solo ad ammirare i colori degli scenari e dei dungeon più intricati. Decisamente meritevole anche la colonna sonora e il doppiaggio inglese, accurato e ben interpretato per i diversi personaggi, in grado di coinvolgere tutti coloro che masticano abbastanza tale lingua.

Tirando le somme, Persona 5 è uno dei giochi migliori su cui abbiamo messo le mani per ora in questo 2017, può vantare una delle storie più profonde e coinvolgenti mai viste in un videogioco, personaggi carismatici, un gameplay complesso ma appagante e diversificato e un comparto artistico tanto grafico quanto sonoro di altissimo livello. Resta però un titolo estremamente verboso ed estremamente focalizzato sulla componente narrativa, legata a doppio filo con tematiche e stile squisitamente nipponici. Questo fattore lo rende meno appetibile per tutti quegli utenti che non amano il genere, e la mancata localizzazione per l’occidente in altre lingue che non siano l’inglese rende l’accesso al titolo ancor più ostico.

Se però siete curiosi di avventurarvi in queste atmosfere o se avete apprezzato i precedenti capitoli della serie, amerete incondizionatamente Persona 5.
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Persona 5
Recensione di Francesco Ventrella