Vi eravate resi conto che il multiplayer locale nei videogiochi è praticamente morto? Ma quando è successo, come è successo? In questo approfondimento proviamo a cercare delle risposte.

Ricordate quanto era bello giocare ai videogiochi insieme ai propri amici? No, non come fate con Overwatch o con Battlefield. Intendo giocare insieme, offline, trovarsi fisicamente nello stesso luogo con uno o più amici e passare un pomeriggio o una serata giocando, e magari sgranocchiando qualcosa e parlando della ragazza che avete conosciuto al pub la sera prima.

Se ricordate queste sensazioni, vuol dire che il vostro rapporto con il medium videoludico affonda le proprie radici quantomeno tra gli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. Dall’epoca d’oro che ha reso i videogiochi un fenomeno pop con l’arrivo di PlayStation, fino ai primi anni della settima generazione di console. Periodi in cui anche solo l’idea del multiplayer online ai livelli a cui oggi lo vediamo era impensabile.

Per comodità distingueremo questi due periodi come “era offline” ed “era online”

Non credo occorra spiegare cosa sia il multiplayer online e quanti benefici ed innovazioni abbia portato all’industria, qui non gli si vuol fare una critica. Piuttosto ci si dovrebbe interrogare sul perché la componente online, invece che affiancare quella locale, abbia finito col rimpiazzarla nella stragrande maggioranza dei casi.

 

Due esperienze concettualmente diverse

 

 

Parlando di multiplayer locale chiunque rievocherà alla propria memoria i più disparati generi, chi vi scrive non può non pensare subito ai pomeriggi passati con Crash Team Racing, alle botte da orbi con Tekken e Dragon Ball Budokai Tenkaichi nelle pause delle sessioni di D&D o alle faide a schermo condiviso nel multiplayer di Halo 2 nel garage di un amico su un tubo catodico da 22”. Si ricordano con facilità quei giochi e quei momenti perché li associamo al ricordo di giornate passate insieme ai nostri amici, non si può dire lo stesso per le sessioni di multiplayer online.

La componente locale fungeva sempre da contorno ad un videogioco che si classificava necessariamente come single player o arcade

La componente locale fungeva sempre da contorno ad un videogioco che si classificava necessariamente come single player o arcade. Era un qualcosa in più, funzionale, appunto, a giocare in compagnia di amici, con uno scopo meramente ludico e non competitivo. Il multiplayer online ha assunto invece una connotazione ben diversa negli anni, man mano che le infrastrutture miglioravano si è arrivati ad avere interi videogiochi basati sull’esperienza online (si pensi al primo Titanfall o a Evolve). Non più un contorno, dunque, ma la portata principale.

Eliminando il fattore fisico, si finisce poi inevitabilmente per giocare anche con sconosciuti online e, come è giusto che sia, con un approccio più competitivo che da passatempo, se non da parte vostra magari da parte dei vostri compagni di squadra o avversari.

Per questo motivo il multiplayer online e quello locale rappresentano due esperienze concettualmente diverse, e il primo avrebbe dovuto affiancare il secondo, non soppiantarlo. Ma allora cosa è successo?

 

Analizziamo la scena del crimine

 

Sono successe tante cose: il mondo è cambiato radicalmente, soprattutto nell’ultimo decennio, con l’avvento dei social network che hanno portato internet alla portata di tutti. Se nei primi 2000 chi passava tutta la giornata davanti a un computer era un nerd, oggi siamo tutti così nerd che i computer ce li portiamo in tasca e li usiamo anche per controllare l’ora.

Questo ha portato di certo a un graduale distacco da vecchie abitudini, e il tempo che gli adolescenti dell’era offline impiegavano a far chiacchiere a casa di amici, quelli dell’era online lo impiegano su Facebook.

È cambiato moltissimo anche l’impatto di pubblico che diversi generi videoludici hanno iniziato a riscontrare. Se l’era offline vedeva ancora un forte successo delle esperienze arcade, di platform, picchiaduro e anche party games, nell’era online dominano incontrastati i first person shooter, un genere che si presta molto bene alla struttura del multiplayer online.

 

 

 

 

Si è poi creata tutta una nuova generazione di videogiocatori che ragiona molto su binari. Un gioco o è un single player di stampo cinematografico, o un multiplayer online. Bianco o nero, niente sfumature di grigio. Ci sono stati diversi tentativi, soprattutto nella prima parte della settima generazione di console, di giochi in cui la componente multiplayer locale veniva affiancata da quella online. Ma la tendenza generale si è orientata decisamente a favore di quello online, come la storia ci insegna.

Per una software house, piccola o grande che sia, nello sviluppo di un gioco ci sono moltissimi costi da sostenere.

Per una software house, piccola o grande che sia, nello sviluppo di un gioco ci sono moltissimi costi da sostenere. Nel momento in cui i consumatori orientano le proprie scelte in una direzione ben precisa, eliminare una componente che finisce per l’essere desueta comporta anche una riduzione dei costi seppur minima, ma in questo caso soprattutto più introiti grazie a contenuti extra: micro transazioni, abbonamenti e tutto quanto suscettibile di valutazione economica orbiti attorno al multiplayer online.

Ma quindi chi ha ucciso il multiplayer locale? Facebook, o forse Instagram? Le software house? Sarebbe bello poter puntare il dito contro uno qualunque di costoro, ma la dura verità è che l’assassino sono gli stessi giocatori. I giocatori che hanno tacitamente accettato che tutto ciò accadesse, continuando a comprare tutto e a farselo andar bene. Sono quelli che, per esempio, continuano a comprare i vari Need For Speed nel ricordo di quando giocavano con gli amici ad Undeground 2, salvo poi meravigliarsi che il multiplayer sia implementato solo online.

 

 

Non ci resta che…Switch!

 

Nella speranza che anche le nuove generazioni maturino il desiderio di ritrovarsi a casa di amici per giocare insieme ai videogiochi, e che di conseguenza usino i nuovi strumenti per fare sentire la propria voce non soltanto pretendendo la localizzazione italiana di giochi che poi non acquistano, non ci resta che consolarci con l’unica software house che non ha mai abbondonata la propria filosofia e il supporto anche al multiplayer in locale, ovvero Nintendo.

Sebbene integri anche l’online nei suoi titoli di punta (basti pensare a Mario Kart o Smash Bros., o ancora a Splatoon che nasce proprio con una vocazione competitiva) Nintendo non lesina ancora oggi di regalare una riuscitissima componente multiplayer locale nelle sue produzioni. Sia Wii U che Nintendo 3DS incarnano tuttora una filosofia d’altri tempi, quando la cosa più importante per l’industria dei videogiochi erano ancora, pensate un po’, i videogiochi.

 

 

Questa filosofia sembra continuerà a perdurare anche con l’arrivo di Nintendo Switch, che già dai titoli presenti per la line-up di lancio si prospetta molto aperta all’idea del giocare insieme agli amici. Lo vediamo nei first party 1-2 Switch e Arms, ma anche in giochi third party come Ultra Street Figher II: The Final Challengers e soprattutto Super Bomberman R, che permetterà il multiplayer in locale anche solo tramite la cartuccia di uno dei giocatori. Una dinamica interessante che sfrutta il sistema Download Play e che potrebbe segnare, perché no, un ritorno di fiamma per il gioco in locale.

Voi invece cosa ne pensate? Siete dei nostalgici dei bei tempi andati in cui si giocava offline e la sfida si consumava guardando negli occhi l’avversario, o credete sia giusto che l’online abbia soppiantato il multiplayer locale perché retaggio di un’altra epoca videoludica?

Diteci la vostra nei commenti!