AJ Styles vs. John Cena: le regole della rivalità perfetta

A fine Gennaio 2017 si è svolta la Royal Rumble, evento storico della WWE. Uno dei suoi main event ha visto battagliare John Cena contro AJ Styles per il titolo di campione del mondo dei pesi massimi (o, se preferite, il WWE World Heavyweight Title). Si tratta di una delle rivalità più interessanti degli ultimi anni, e forse una delle ultime migliori della carriera di Cena.

Spoiler Alert
L’articolo seguente contiene spoiler riguardanti la Royal Rumble 2017 svolta a San Antonio, Texas. Procedete a vostro rischio.

 

 

 

 

Buoni o cattivi

L’inizio di ogni rivalità

 

Uno dei motivi per cui il Wrestling è probabilmente, ad oggi, uno degli sport-spettacolo più amati e seguiti a livello mondiale è la sua immediatezza. Basta una palestra, o un palazzetto dello sport, un ring, un punto su cui gli sguardi si possano puntare e due persone che sappiamo menarsi. Con metodo, ovviamente.

Due avversari, un buono, un cattivo. Bene contro male.

Con le dovute proporzioni, può ricordare gli spettacoli di gladiatori di epoca romana. Lo scontro è, nel bene e nel male, presente nella natura umana. Il wrestling è in grado di raffigurarlo, aggiungendo dramma, pathos, partecipazione, drammatizzazione e caratterizzazione dei personaggi. Il tutto, se eseguito bene, può diventare catartico e coinvolgente.

All’interno delle corde si svolge uno spettacolo a dir poco semplice: ci sono due uomini o donne che si danno battaglia.

Uno dei due, solitamente, incarna il bene, ossia il voler combattere secondo le regole, il meritarsi la vittoria, l’applauso del pubblico, l’onore e la gloria. L’altro è il cattivo di turno. Disposto a tutto, pur di vincere, anche a scorrettezze, colpi bassi portati quando l’arbitro non vede, tecniche al limite del regolamento.

Nel ring, così come in ogni storia di scontro tra nemici, la qualità della storia è direttamente proporzionale alla profondità e caratterizzazione dei personaggi. Soprattutto del cattivo.

I rispettivi nomi, nel gergo tecnico, sono face ed heel. In essi ci si può impersonare molto facilmente. Quando si è più giovani, o più inesperti della disciplina, solitamente si tiene per il buono, dato che da piccoli si tiene sempre per il buono, essendo una delle regole non scritte dell’universo.

Diventando più grandi, acquistando probabilmente anche più esperienza di vita, si inizia ad apprezzare anche lo stile del cattivo, a comprenderlo. Se poi colui che ricopre il ruolo del cattivo è talmente bravo nella sua interpretazione, nelle sue movenze, nelle sue espressioni facciali, nel suo ring attire, allora si va a creare il cosiddetto cool heel. Colui che, sebbene a livello di storia sia quello da disprezzare, ma a livello di intrattenimento è il vero motore narrativo, nonché star della scena.

 

A riprova del fatto che anche un attore oggi di fama mondiale ha dovuto pur incominciare, da qualche parte. E non necessariamente in maniera proprio ‘cool’. Discendente della prestigiosa famiglia samoana Maidia, il suo esordio col botto alle Survivor Series in uno dei classici match ad eliminazione peculiari di questo ppv, non fu seguito, nel breve tempo, da un grande riscontro col pubblico. Fu il passaggio ad heel e la creazione del personaggio di The Rock a cambiare le sorti.

 

Solitamente è opinione comune che sia più semplice fare il cattivo.

Solitamente è opinione comune che sia più semplice fare il cattivo. Dopotutto, basta tenere un’espressione imbronciata, infrangere qualche regola e insultare il pubblico con qualche “You suck!” nei momenti di stanca nei match. Il buono, di media, è più complesso da rappresentare.

Si tratta di camminare su di un filo, col rischio di cadere nello stucchevole, nel banale e nel ripetitivo. Uno degli esempi più rappresentativi di ciò è The Rock, il quale iniziò la sua carriera come face in maniera piuttosto insoddisfacente. Insultato e fischiato dal pubblico, si decise di farlo diventare heel. In questo ruolo poté sfogare il risentimento che aveva covato nei mesi precedenti, dando vita ad uno dei personaggi più iconici degli anni ’90.

Spesso appare come se esistessero persone tagliate per una parte piuttosto che per l’altra, e che il vero trucco sia individuare la loro vera anima.

 

 

Oggi Dwayne Johnson è diventato un attore di fama internazionale dopo una straordinaria carriera nel mondo del wrestling. Le sue capacità in ring, unite ad un look accuratamente studiato e ad una loquacità fuori dal comune, lo hanno reso un personaggio amato ed ammirato all’interno di tutta la community di fan di wrestling.

 

 

Se le cose vanno bene, se gli atleti sono bravi nelle loro interpretazioni dentro e fuori il ring, se hanno buona connessione con il pubblico e quella piccola cosa chiamata carisma, possono nascere le rivalità, le storie che possono durare da qualche settimana sino addirittura ad interi anni, in grado di definire carriere e portare alla ribalta atleti o, viceversa, affossarli per sempre nell’oblio.

Tradizionalmente, può essere infatti definito un “classico” solo un match tra due lottatori, un uno contro uno dove, di fatto, viene determinato chi dei due è il migliore.

Tradizionalmente, può essere infatti definito un “classico” solo un match tra due lottatori, un uno contro uno dove, di fatto, viene determinato chi dei due è il migliore. Vi sono infinite categorie e sotto categorie di match, da quelli tre o quattro tutti contro tutti, fino a match di coppia, last man standing, dentro uno gabbia e match senza squalifiche.

Ma, storicamente, è sempre e solo l’uno contro uno che va a determinare i punti fondamentali di una rivalità, e sono quelli i match che vengono percepiti (tranne le debite eccezioni) come il big deal nello sviluppo narrativo che fa da spina dorsale al senso del wrestling ed alla sua capacità di intrattenere.

È quindi un evento tra i più rari poter vedere battagliare due atleti tra i migliori della loro generazione, un cool heel, ed un face che verrà ricordato per sempre come sinonimo dell’aggettivo stesso, in uno dei pay per view più iconici e importanti nella scaletta annuale della WWE.

 

 

 

John Cena e la definizione di rappresentante di una federazione

 

John Cena è ad oggi all’incirca quello che Hulk Hogan fu negli anni ’80 e prima metà dei ’90. Bene o male lo conoscono tutti, anche quelli che di wrestling non sanno molto, non vogliono averci nulla a che fare, non parlarmene nemmeno, ommioddio tienilo distante dai miei bambini.

 

Oggi John Cena è, per certi aspetti, quello che Hulk Hogan fu per la sua generazione. Sebbene il topos del rappresentante del patriottismo americano fosse molto più spinta in Hogan, è indubbio che questi due personaggi abbiano saputo accentrare su di sé gran parte dell’attenzione del pubblico e della federazione nel corso degli anni di carriera.

 

La carriera di John Cena copre quasi venti anni. Negli ultimi quindici, è quasi sempre stato tra i migliori della sua federazione. Che piaccia o meno.

Di fatto, è il volto rappresentante della WWE. Ha passato la quasi totalità della sua carriera all’interno della federazione di Stanford, divenendone in pochi anni uno degli uomini di punta.

È rimasto nell’upper card, ossia nelle posizioni più importanti nei match mostrati nei vari eventi, gravitando spesso intorno alla scena titolata, per un periodo che supera i dieci anni e che continua ancora oggi. È di fatto un piccolo record sui generis.

 

Gli inizi di John lo vedono partire con un personaggio prevalentemente heel, un rapper di Boston piuttosto tamarro, palestrato e sicuro di sé. Nel tempo l’evoluzione del suo personaggio, mai veramente profonda o particolarmente degna di nota a dirla tutta, si è fermata su di una sorta di soldato del ring, buon esempio da seguire ed imitare per i più giovani, rappresentante di moralità, rispetto per le regole e per l’avversario (almeno, in linea di massima).

 

La sua vita è stata forgiata intorno alla sua carriera, alla sua dedizione per la disciplina e alla fedeltà alla federazione di cui fa parte da così tanto tempo (a differenza di Hogan, che fu spesso un carattere difficile da gestire negli spogliatoi, fino alla sua dipartita dalla federazione che lo rese famoso nel mondo e all’approdo alla WCW. Ma questa è un’altra storia).

Si tratta di un perfetto poster boy, dall’aspetto pulito, eroe e paladino dei bambini, accompagnato da motti come “hustle, loyalty, respect” e “never give up“. Capace nel ring sia come atleta sia come affabulatore, dal grande carisma, una capacità sinergica con il pubblico innata, un fisico da body builder (alcuni dicono aiutato da qualche sostanza non esattamente nella norma, ma non siamo qui a discutere di questo), talmente dedito al suo ruolo di icona e di modello per i più giovani da dedicare moltissimo del suo tempo per attività collaterali come beneficienza (fu il primo a realizzare 300 desideri incontrando bambini per la Make-A-Wish Foundation, associazione che si prefigge di realizzare un desiderio di bambini malati terminali), sessioni di autografi, interviste, apparizioni televisive, da renderlo, in pratica, il perfetto golden boy.

 

 

 

Cena e l’amore – odio dei fan

Come essere troppo buoni possa portare la gente ad odiarti.

 

Cena ha saputo di fatto incarnare uno dei suoi motti, “Nevergive up”. Uno dei suoi vanti principali è infatti quello di non essersi mai arreso sul ring, ossia di non aver mai ceduto per sottomissione. Non ha mai perso quindi un “I quit match”, che è di fatto una sorta di stipulazione trademark per lui, così come l’Hell in a Cell lo era per l’Undertaker.

In questi anni Cena non è stato un semplice face, è stato il babyface. Non per nulla, tra i tanti soprannomi che in un ambiente come quello del wrestling sono soliti fioccare, vi è quello di Superman della WWE.

Curiosamente, uno dei canti più usati e probabilmente abusati dal pubblico, durante i suoi match, è un fastidioso alternarsi di “Let’s go Cena!”, cantato da voci bianche di bambini, qualche genitore e qualche ragazza, e “Cena sucks!”, cantato solitamente dagli adolescenti e gli uomini dai venti anni in su.

Perché “Cena fai schifo”, considerato tutto quello che è stato detto poco fa riguardo all’uomo? In verità siamo già avvezzi a fenomeni del genere nell’era dei social network in cui ci troviamo oggi.

Basta che qualche celebrità posti qualche foto o qualche testo riguardante qualche sua azione di beneficienza piuttosto che qualche appello per una raccolta fondi qualsiasi che appare una più o meno minoritaria, più o meno intelligente, sicuramente sempre molto rumorosa, che inizia a cercare disperatamente qualche macchia in ciò che dovrebbe sembrare immacolato e puro, in maniera quasi mai pacata ed educata.

Cena è un moderno paladino del bene, a modo suo. Lo è il suo personaggio ma lo è anche lui, nella realtà, per quello che concretamente ha fatto e fa ogni giorno. Per i bambini più piccoli è, di fatto, come avere Superman in carne ed ossa di fronte a sé. Non c’è nulla di meglio per loro che poter ammirare le imprese di un supereroe reale. Per i più grandi, e, forse, disillusi dalla vita e dalle proprie aspettative disilluse nel corso della stessa, trovarsi di fronte un soggetto del genere può essere in qualche modo destabilizzante.

Cena, con la sua vita, il suo successo sia dentro che fuori dal ring, la sua parvenza da bravo ragazzo, i suoi motti, si pone come buon esempio da seguire. Tuttavia, quando un esempio appare fin troppo lontano ed irraggiungibile, a molti può finire per risultare quasi una presa in gira, una barzelletta. O peggio, un indice puntato verso la loro mediocrità, che viene così messa a nudo di fronte ai loro occhi. Risultando insopportabile.

 

Dopo una prima evoluzione iniziale, il personaggio di Cena non ha più subito grandi cambiamenti,divenendo a tratti stantio, ripetitivo e fin troppo buonista per molti fan.

 

Nell’ambiente dei fan, viene quindi spontaneo spesso unirsi sotto un coro comune, che insulta, denigra, sminuisce. Tra le tante critiche mosse al campione nel corso degli anni, almeno tra quelle più obiettive e di fatto condivisibili, vi sono quelle di aver tenuto per molto tempo un personaggio stantio, privo di una caratterizzazione profonda o di uno sviluppo nel corso degli anni; di aver spesso ostacolato, anziché aiutato, le carriere di altri giovani prospetti a cui è stato affiancato e, sopra tutte, quella di avere nel suo arsenale solo 5-6 manovre.

 

 

 

The moves of doom

Ovvero, l’importanza di chiamarsi Stunner.

 

Originariamente, le five moves of doom erano le manovre che il campione Bret “The Hitman” Hart era solito usare nei suoi match per avvicinarli alla conclusione. I fan le amavano così tanto da averle ribattezzate in questo modo in quanto la loro esecuzione non faceva che avvicinare l’avversario “al suo fatale destino”.

Quest’ultima è in realtà una critica piuttosto interessante, poiché nasconde diversi retroscena. Cena, soprattutto in alcuni match di rilievo, ha mostrato di avere un parco mosse molto più esteso rispetto a quello che è solito mostrare nel resto delle occasioni.

 

Stone Cold che esegue la stunner su Bill Goldber nell’ultima Wrestlemania ad oggi gisputata da quest’ultimo, al termine di un match che lasciò delusi molti fan tra lui e Lesnar. Di fatto, la manovra è un semplice spezza mandibola e prima di Steve Austin non aveva lo status di cui gode oggi. La maniera con cui la eseguiva, la fisicità e la determinazione che ci metteva, nonché il modo in cui i suoi avversari la “vendevano” (primo tra tutti The Rock, che saltava letteralmente dall’altra parte del ring, imitando un rimbalzo fisicamente impossibile) la rendono ad oggi una delle manovre a livello di storytelling più micidiali in circolazione, utilizzata molto raramente, per rispetto e come citazione di solito al grande campione.

 

Molti associano ciò ad una sua carenza di talento e voglia di crescere a livello di lottato, ma questo è quantomai ingiusto. In verità, è la federazione stessa a limitare le manovre che gli atleti portano poi sul ring. Questo per diverse ragioni. La più importante è per permettere agli atleti di conoscere le manovre gli uni degli altri e di se stessi, e così di eseguirle al meglio possibile, riducendo l’incidenza di infortuni.

Secondariamente, il ripetersi delle manovre le rende riconoscibili anche a chi il wrestling lo segue più sporadicamente, i telespettatori casual per così dire, aiutando a riconoscere di riflesso anche il lottatore che le esegue. Si tratta dello stesso principio per cui i lottatori, da anni ormai, sono soliti concludere i match con le cosiddette manovre finali, che fa un po’ da anime se vogliamo, ma che permette anche di creare pathos e veri e propri miti attorno alle manovre in questione.

A tutt’oggi, quando qualche atleta utilizza ad esempio la Stunner o la figure Four Leg Lock durante uno dei suoi match, subito ai fan di più vecchia data torna in mente Stone Cold Steve Austin o Ric Flair nei loro anni migliori, tanto queste manovre si sono legate ai nomi di coloro che erano soliti usarle.

Lo stesso Cena non è assolutamente esente da questa tradizione, ed ha, tra le altre cose, costruito la sua carriera attorno alla sua manovra risolutiva, la Attitude Adjustment.

Come nota a margine, è simpatico ricordare che originariamente la manovra si chiamava FU, iniziali ovviamente di F**k You. Questo nome nacque nei primi tempi della carriera di Cena (vedere foto più sopra), e come presa in giro alla manovra di un altro lottatore di quei tempi (e nel bene o nel male anche di questi), Brock Lesnar, detta F5, come la categoria di tornado.

 

 

 

Once a face, forever a face

 

Il personaggio può effettivamente alla lunga diventare stucchevole.

Il personaggio può effettivamente alla lunga diventare stucchevole. Persino Hulk Hogan, proprio nella sua run nella WCW, ad un certo punto, in una serata storica, cambiò il suo atteggiamento sul ring, passando da face ad heel.

La mossa, studiata dai booker della federazione (gli sceneggiatori della situazione, possiamo dire), fu come una piccola bomba atomica nell’ambiente. La carriera di Hogan, che aveva di fatto intrapreso una fase di declino, ne venne ringiovanita, galvanizzata, mettendolo nuovamente al centro dell’attenzione insieme ai suoi compari, Kevin Nash e Scott Hall, primi membri di quello che sarebbe diventato l’NWO, il New World Order, storica stable (il cui nome oggi forse viene rievocato fin troppo a sproposito) della storia del wrestling.

 

Hulk Hogan, nella serata storica in cui voltò le spalle al pubblico, dando una svolta ad una carriera che sembrava non avere più nulla da dire. Il pubblico si imbufalì a tal punto da lanciare spazzatura sul ring.

 

Da anni invece Cena è per antonomasia il face della situazione. Ormai già da qualche anno i fan, soprattutto i più anziani, rumoreggiano sull’internet. Vorrebbero vedere un turn heel per John così come lo videro per Hulk.

Ritengono sia la cosa migliore per dare una spinta, l’ultima,  alla carriera di Cena, affinché possa splendere proprio in questi che sono le battute finali. L’uomo, effettivamente, ha ormai 40 anni. Dopo una carriera vissuta al massimo, fatta di una dedizione pressoché assoluta alla causa, lui stesso sta iniziando a prendersi degli spazi al di fuori del ring. Ad oggi, ufficialmente, è un part timer.

Nel corso di questi anni Cena è divenuto famoso, tra le altre cose, per le sue riprese al limite del sovrumano da infortuni che secondo i medici avrebbero dovuto tenerlo al di fuori delle scene per periodi di recupero molto più lunghi. Questo non ha fatto che aumentare l’assonanza tra lui e Superman. I due, perfino, condividono gli occhi azzurri.

Il problema che lo affligge, e che in parte giustifica i fischi “Cena sucks!” nella cantilena che spesso accompagna gli inizi dei suoi match, prima che entrino nel vivo, è lo stesso che affligge Superman e lo rende, probabilmente, un personaggio più distaccato dal pubblico, con cui è più difficile immedesimarsi se non si è, appunto, dei ragazzi molto giovani, che tutto quello che vogliono vedere è qualche cattivo essere preso a calci nel deretano.

Cena fa proprio questo. E lo fa fin troppo bene. Una delle critiche che gli vengono mosse dai suoi detrattori è il fatto di essere stato ed essere tuttora una figura fin troppo ingombrante nella scena della WWE. Il suo status è proprio quello di un superuomo. In pratica, per tirarlo giù, non bastano nemmeno le cannonate.

Una delle critiche che gli vengono mosse dai suoi detrattori è il fatto di essere stato ed essere tuttora una figura fin troppo ingombrante nella scena della WWE. Il suo status è proprio quello di un superuomo. In pratica, per tirarlo giù, non bastano nemmeno le cannonate.

Nel wrestling, un po’ come nei fumetti, vi è uno status per quasi ogni lottatore. Vi sono i lottatori aggressivi, vi sono i lottatori scaltri, vi sono i lottatori più o meno resistenti, più o meno forti. C’è il lottatore che dopo la prima mossa finale va giù, e c’è quello più coriaceo e testardo. Cena rientra nella categoria Kryptoniano.

Nella memoria recente si ricordano pochissimi match in cui Cena sia stato sconfitto pulito in un uno contro uno. Con pulito nel gergo del wrestling, clean, si intende senza interferenze da parte di persone esterne (spesse utilizzate nei match di setup, per inasprire le rivalità, sviluppare la storia e crescere il contrasto tra i due contendenti principali), o senza scorrettezze come dita negli occhi, colpi bassi, uso di oggetti proibiti e così via.

Uno di questi è stato lo storico duello contro Daniel Bryan del 2013 a Summerslam, in cui soccombette pulito dopo la ginocchiata in rincorsa, ribattezzata “B+” per ragioni che non starò a spiegare qui, dell’atleta underdog. Un altro match in cui venne sconfitto pulito verrà descritto più avanti.

Alla lunga, uno status da supereroe può stancare molti fan. Soprattutto se sono fan anche di altri atleti, che spesso e volentieri, se non quasi sempre, devono perdere di fronte ad un atleta che è diventato così forte nell’immaginario collettivo della community che le sue sconfitte devono essere concesse con oculatezza, in quanto possiedono un peso specifico eccezionale.

Lo stesso Cena riconobbe in un’intervista di come la sua vittoria nel match contro la stable allora nota come Nexus al Summerslam del 2010 fu una scelta tutt’altro che positiva per le carriere dei cinque giovani ragazzi che in quel periodo avrebbero dovuto essere lanciati alla federazione, invece che sacrificati all’altare dell’atleta.

Dei cinque membri originali del Nexus, Wade Barret, l’allora capo, ad oggi si è ritirato dal mondo del wrestling mentre gli altri, dopo carriere più o meno soddisfacenti all’interno della federazione (ma mai più a livelli di main event, a parte Ryback) ad oggi se ne sono o andati o gravitano senza infamia e senza gloria nella midcard. Basti dire che, nelle fasi finali, Cena subì da parte di Barrett una DDT sul pavimento al di fuori del ring (una manovra che nella vita reale, portata con la concreta intenzione di fare del male, porterebbe a tremende conseguenze e danni fisici sia a chi la esegue che a chi la subisce).

Un colpo del genere, anche nel magico mondo del wrestling, ossia in quello che si chiama livello mark, è comunque una manovra memorabile, capace di cambiare le sorti del match. Cena sarebbe dovuto rimanere giù. Invece, poco dopo vinse il match facendo arrendere Barrett in una manovra di sottomissione. I fan più anziani, i csiddetti smart, urlarono ovviamente alla Bullshit. E, in effetti, lo era.

La cosa si è ripetuta più e più volte nel corso della storia. Molti atleti che sembravano in rampa di lancio, tra cui lo stesso Wade Barrett, Bray Wyatt e Kevin Owens, sono dovuti soccombere quando è arrivato per loro il turno di affrontare Cena. Quello che sarebbe dovuto essere per loro un trampolino di lancio è divenuto di fatto un ostacolo contro cui si sono schiantati, per poi doversela vedere con la ripresa.

Un esempio ancora più emblematico è Kevin Owens, l’ultimo di questi. La rivalità che lo vide partecipe insieme a Cena del 2015 si svolse fondamentalmente su tre match, a partire dal Money in the Bank di quell’anno. Il primo, tra lo stupore e il gaudio incondizionato del pubblico smart, venne vinto pulito da Owens. Gli altri due, senza appello, da Cena.

In pratica, è ormai diffuso tra i fan il pensiero che contro Cena non si vince. O, se si vince, lui si rifarà, con gli interessi, negli scontri successivi.

Se questo sia dovuto a un suo espresso desiderio di non lasciare la scena, o a decisioni della dirigenza, che lo ama troppo (è, in ogni caso, solo col suo merchandising e la sua pubblicizzazione negli eventi principali una calamita per denaro straordinaria), quello di guidare in questo modo i suoi match, ad oggi non è dato saperlo. Sebbene molti meme nell’internet fanno intendere altro.

 

 

 

 

Enter the challenger

A questo punto, ci si trova di fronte lo stesso problema a cui si trova di fronte probabilmente qualsiasi sceneggiatore di una storia di Superman. Chi si manda contro il Kryptoniano, che possa essere credibile, al fine di creare una grande storia, un grande feud?

La risposta, sembrerà scontata, è una sola: Batman.

E il Batman della situazione risponde al nome di AJ Styles.

 

AJ Styles esordisce nella Royal Rumble 2016, tra le ovazioni del pubblico.

 

Presi a confronto, i due atleti fanno entrambi parte della Justice League della WWE, se vogliamo dire così. AJ Styles è un heel, ma è un cool heel, come spiegato più sopra.

Mentre Cena è di fatto nato e cresciuto come atleta nella WWE, Styles per anni è stato il caposaldo di un’altra federazione americana, la Total Nonstop Action, TNA, che ad oggi non se la sta passando troppo bene dal punto di vista economico.

Tuttavia, per un certo periodo, tra il 2002 e il 2006, la TNA era forse l’unica vera nuvola nel cielo della WWE, l’unica vera alternativa alla corte di Vince McMahon. Una delle ragioni per questo, era AJ Styles.

 

Per annu Styles ha militato nella TNA. Era per quella federazione più o meno quello che Cena era ed è per la WWE. Uno scontro tra i due era visto tra i fan come una collisione tra due universi opposti che difficilmente si sarebbe mai potuta vedere.

 

Un talento nel ring così puro da meritare il soprannome di “the Phenomenal One”, che si porta dietro con orgoglio da diversi anni. AJ Styles è, a detta di molti, tra cui lo storico commentatore Jim Ross, il talento puro migliore attualmente presente nella scena internazionale. Non particolarmente alto, non particolarmente grosso.

Non solo potenza, non solo atletismo, non solo acrobazie, non solo tecnica. AJ Styles è riuscito a trovarsi uno spazio tra le definizioni di lottatore di wrestling, talmente stretto e sottile, che se non lo vedessi starvi in equilibrio sopra non crederesti nemmeno che esiste.

In questo spazio, in questo punto di incrocio tra diversi stili e modi di stare sul ring, sta un lottatore che non ha ad oggi eguali in quanto a palmares, avendo vinto il titolo massimo in quasi tutte le federazioni in cui è stato (eccettuata solo la Ring of Honor). A livello di kayfabe, la sua manovre finale, la Styles Clash, è ritenuta una delle più efficaci, al pari forse solo, ad oggi, di Stunner, RKO, F5, Pedigree e Tombstone Piledriver (parlando di America, quantomeno).

Styles è, volente o nolente, quello che oggi si definisce un Indie boy, ossia un atleta di wrestling che ha passato la sua carriera, è cresciuto e diventato famoso nelle federazioni indipendenti che operano in tutto il territorio Americano e non solo. Ad essere precisi, è difficile associare l’allora TNA e l’odierna New Japan Pro Wrestling a federazioni indipendenti (una federazione indie solitamente presenta show spesso con non più di un centinaio di spettatori, in palestre o comunque piccoli palazzetti dello sport).

Tuttavia Styles, rispetto a Cena, ha viaggiato sicuramente molto di più a livello di federazioni in cui ha militato, e il suo stile ne ha senz’altro risentito, portandolo ad includere manovre di origine più prettamente orientale, come l’Ushigoroshi o altre manovre di sottomissione, fino ad altre più prettamente della scena indie, come la Spiral Tap o il Pelé Kick. La stessa Styles Clash non era stata mai vista prima in WWE, almeno portata da un uomo.

 

 

La vittoria di AJ del titolo massimo, sebbene non la prima da parte di un indie boy, è particolarmente rappresentativa considerando il suo passato e la fama acquisita in altre federazioni esterne alla WWE.

Il momento in cui Styles vinse il suo primo titolo del mondo WWE, contro Dean Ambrose, potrà, un domani, essere ricordato come un passaggio storico. In passato infatti la WWE era orgogliosa dei suoi talenti home made, fatti in casa. Ha sempre storto il naso ad atleti di altre federazioni, cresciuti e sviluppatisi al di fuori della sua ombra protettrice. Più di una volta uscirono interviste a dirigenti della WWE riportanti l’intenzione di non assumere assolutamente atleti che avessero lasciato il loro posto nella TNA.

I recenti acquisti, soprattutto per il brand di NXT, hanno invece dimostrato il contrario.

Molti temevano che AJ Styles sarebbe stato per questa generazione quello che Sting fu per la precedente. Quando fece il suo debutto nella Royal Rumble del 2016, quando la scritta “I am Phenomenal” comparve sul maxischermo, molti compresero quanto i tempi stessero e stiano cambiando, e di quanto sempre di più le federazioni indipendenti stiano divenendo fucina di talenti sempre più richiesti e contesi dalle major.

Alcuni storsero il naso quando Styles divenne heel a pochi mesi dal debutto in WWE. La cosa era tuttavia necessaria in quanto in quel periodo vi era bisogno di un heel che avesse anche un grande talento in-ring, nonché l’abilità di poter portare in un main event l’allora campione, Roman Reigns.

Un campione in verità ancora molto acerbo, corrispondente a canoni più tipici forse degli anni 2000 che di oggi, segno evidente di come in tempi di cambiamento e innovazione il futuro e il passato convivano in un connubio strano quanto stridente a volte, mentre le idee che plasmeranno gli anni a venire ancora sgomitano per farsi spazio nel presente.

Uno dei molti talenti di Styles, riconosciutogli anche nello spogliatoio, è quello di realizzare match coinvolgenti con la quasi totalità degli avversari che si ritrova. Ossia, a tirar fuori il meglio di chiunque. Altri lottatori a cui è stato riconosciuto questo talento si contano sulle punte delle dita. Tra questi, nel recente passato, Daniel Bryan e Shawn Michaels.

 

AJ Styles fu uno dei contendenti al regno titolato di Roman Reigns, senza mai batterlo tuttavia nelle due occasioni in cui si confrontò con lui. Molti gridarono allo scandalo per questo. Reigns non è mai stato un lottatore particolarmente amato dal pubblico più smart, che lo ritiene un sopravvalutato, un atleta dalle capacità mediocri rispetto agli altri nel roster e soprattutto raccomandato, essendo cugino di The Rock. Per lunghi periodi di tempo la federazione è sembrata voler ignorare i fischi e le contestazioni del pubblico, giungendo nella wrestlemania del 2016 addirittura a smorzare parzialmente l’audio della diretta per non far sentire in mondovisione la pesantissima contestazione ai danni del lottatore da parte del pubblico internazionale di Wrestlemania (composto quindi per lo più da appasisionati ed esperti della disciplina che mal lo digerivano). Molti hanno visto in Roman un tentativo della federazione di “costruire” un nuovo Cena. Purtroppo la materia prima non sembra starsi rivelando della stessa qualità.

 

 

 

Lo sviluppo della rivalità

 

La rivalità tra John Cena ed AJ Styles si sviluppa, come la maggior parte delle rivalità, in tre match. Questa non è ovviamente la norma, ma tre solitamente è un buon numero.

Storicamente, ossia nei tempi in cui lottava Bruno Sammartino, i match validi per un titolo erano al meglio delle tre cadute, ossia allo sfidante servivano due vittore su tre per poter strappare il titolo al campione. Questo perché un passaggio di titolo non era cosa da poco. Oggi, a modo suo, questa tradizione si perpretra in quelle rivalità che ripropongono uno schema simile, sebbene diluito nel tempo.

 

 

Il primo match tra John Cena ed AJ Styles venne disputato a Money in the Bank del 2016. Cena era rientrante da un infortunio, ed era di fatto la prima volta che i due si incontravano sul ring. Il casus belli è quasi irrilevante quando si parla di Cena. Il solo fatto che cammini, respiri e si muova nelle prossimità degli spogliatoi fa di lui un target con le gambe, considerato lo status che possiede ad oggi.

Ciò che davvero contava, per moltissimi fan, è stato poter vedere un dream match che diventava realtà. John Cena, nell’immaginario, era comunque il federation guy, l’uomo della WWE. AJ Styles, dal canto suo, si porta ancora addosso i molti anni passati in TNA, forse alcuni dei suoi periodi migliori, e in ogni caso appariva come outsider.

A scontrarsi non erano semplicemente due atleti, ma due modi di intendere la disciplina e tutto il business che vi gira intorno. Da un lato il campione della federazione, il superuomo, l’uomo immagine, la dedizione fatta persona. Dall’altro l’atleta completo, colui che ha girato il mondo, che ha fatto esperienza, e che intende ritagliarsi il suo spazio anche in questa sua ultima avventura.

Ancora, da una parte si aveva un Cena quindici volte campione del mondo in WWE (un’enormità, solo a pronunciarlo, un numero ridicolo, a dirla tutta, e infatti costituito anche da regni non poi così memorabili), dall’altro un AJ Styles che, di fatto, era un rookie, un esordiente, per quel che riguardava la compagnia.

La cosa fa sorridere quando si considera che i due sono nati entrambi nel 1977 ed hanno debuttato nello stesso anno, 1999. È stata la collisione di due stili di wrestling, di vivere la disciplina ancor prima che praticarla. Due stili che, di fatto, si sono incarnati in questi due straordinari atleti. A quel punto, da una parte vi era tutto il tifo dei più giovani, i bambini ed adolescenti, che vedono il wrestling nella sua maniera più ingenua e, forse, più pura e divertente.

Dall’altra i più grandi, gli sgamati, coloro autoproclamatisi smart, non senza una punta di nostalgia per quell’altro modo di vedere le cose e al contempo ad esso ormai avulsi ed irritati. Da un lato Superman, colui che ha sempre potto fare tutto, colui contro cui i nemici sembravano cadere come birilli con il solo soffio. Dall’altro Batman. Colui che ha dovuto allenarsi tutta la vita, prepararsi, costantemente migliorarsi viaggiando e combattendo, diventare una lama talmente affilata da ferire anche solo con la sua intenzione. Un lottatore dalla resistenza incredibile e dalla tecnica sopraffina.

I fan storsero il naso di fronte al finale di questo primo incontro in quanto la vittoria di Styles giunse in maniera non pulita, in quanto aiutata dall’interferenza di altri due lottatori, Anderson e Gallows, suoi amici e membri di una stable di cui aveva fatto parte in Giappone, il famoso e temuto Bullet Club.

 

 

 

Again and better

 

Tuttavia la storia era appena iniziata. Sebbene AJ ora potesse vantarsi di aver sconfitto Cena, era una vittoria incompleta, o quantomeno macchiata. E una vittoria macchiata, contro John Cena, è quasi come una sconfitta.

La rivalità doveva ovviamente continuare, tutti lo sapevano. Money in the Bank è sempre stato uno show che, sebbene cosiddetto minore, ha regalato match straordinari e memorabili. Uno su tutti, quello tra lo stesso John Cena e CM Punk, quando sembrò che quest’ultimo, dopo aver vinto il titolo WWE, se ne volesse andare dalla federazione, creando una delle storie più interessanti degli ultimi anni. Ancora oggi si discute delle fourth-wall breaking che si sperimentarono grazie all’incredibile favella di Punk in quei giorni.

Nonostante questo, nel periodo estivo è Summerslam il più grande evento organizzato dalla WWE. Curiosamente, la stessa federazione ha votato negli ultimi anni come miglior match dell’anno incontri che si sono disputati in questo evento, piuttosto che nel ben più pubblicizzato ed osannato Wrestlemania.

Questo match, rispetto al primo, è sicuramente ben più spettacolare e soddisfacente per i fan. I due atleti si conoscono meglio, Cena è tornato a carburare, libero della ring rust che lo aveva forse afflitto nel primo incontro. La battaglia è aspra e combattuta. Per la prima volta da moltissimo tempo, AJ Styles riesce a interrompere il conto di 3 dell’arbitro dopo una Attitude Adjustment di Cena dalla seconda corda. Manovra che, fino a quel momento, era stata una sorta di arma di distruzione di massa per l’atleta di Boston, una extrema ratio da usare solo con gli avversari che non sarebbero andati giù in nessun altro modo. Dove passava lei, non cresceva più l’erba.

 

 

Poco dopo, Styles riesce ad individuare una combinazione di manovre, culminanti con un flying forearm, che mettono ko Cena. La prima vittoria pulita di AJ Styles contro Cena fa impazzire il pubblico. Nessuno ci credeva. Nessuno ci credeva fino in fondo. Tutti si aspettavano, con tutta probabilità, che Styles, se avesse vinto, lo avrebbe fatto barando in un altro modo.

Emblematica è la scena finale, dopo che Styles è uscito vittorioso dal ring. Cena è seduto in mezzo alle corde, appare affranto, incredulo. Tanto più pesante appare per lui, così abituato a vincere, una sconfitta del genere. Tra le ovazioni del pubblico, che di fronte ad una performance tale si riunisce sempre e comunque nell’apprezzamento degli atleti, John si toglie uno degli ammennicoli che porta sempre con sé, una fascia per il braccio. Su di essa vi è ricamato uno dei suoi motti trademark: never give up. Un motto che ha reso famoso e che porta come personaggio nel ring ad ogni incontro, in quanto da anni Cena non cede per sottomissione nei suoi match (alcuni vorrebbero far intendere che non ha mai ceduto in carriera, ma questo è facilmente smentibile con una rapida ricerca in internet. Kurt Angle ne sa qualcosa).

Prende questa fascia, e la poggia sul ring, al suo centro. Poi, in silenzio, avvolto comunque dall’affetto dei fan, se ne va.

Il gesto assume un simbolismo molto potente. Non è certamente la prima volta che John viene battuto pulito, né tantomeno battuto pulito da un indie guy (c’era già riuscito Kevin Owens solo l’anno prima). Tuttavia il messaggio è chiaro, diretto, arriva con una potenza a dir poco sorprendente. Il superman è caduto. L’imbattibile non è più imbattibile. L’età, le lunghe e numerose battaglie lo hanno cambiato, lo hanno piegato.

E l’avversario è, in ogni caso, uno degli atleti più fenomenali della sua generazione, se non il più fenomenale. Non vi è più tempo per uno slogan come Never give up. Non è più tempo di una lezione come questa. Ora è il tempo della sconfitta. E potrebbe essere partito da adesso. potrebbe essere che Styles sia semplicemente superiore a John, e che nulla possa essere fatto per cambiare questo. L’uomo senza sconfitta, infine di fronte ad un muro che stavolta è lui a non poter superare.

Che sia ora, finalmente, il tempo per un turn heel? Per un cambiamento di attitudine? Ancora una volta, molti lo spererebbero, ma non avviene.

Che sia ora, finalmente, il tempo per un turn heel? Per un cambiamento di attitudine? Ancora una volta, molti lo spererebbero, ma non avviene. Probabilmente non avverrà mai. John è semplicemente sempre stato troppo bravo nel fare il buono, anche fuori dal ring. Tutti ormai lo sanno. Vederlo cattivo, tra le corde, oggi come oggi, con l’internet, Facebook, Twitter e tutto il resto a sputtanare un simile personaggio mostrando le foto della sua vita privata, renderebbe il tutto quantomeno pretestuoso e poco credibile.

Da lì, la storia si scrive praticamente da sola. AJ Styles diventa campione del mondo, ha sconfitto John Cena, e ha reclamato per sé il titolo di centro dell’universo WWE.

If you want to be the man, you got to be the man. Questo era solito dire uno dei più grandi campioni della storia moderna del wrestling, Ric Flair. Tra un Wooooooo! e l’altro, si intende.

 

Se conoscete Ric Flair, o anche solo un minimo di wrestling, ma anche solo se lo avete guardato un paio di volte in vita, c’è una probabilità non trascurabile che abbiate sentito il pubblico esplodere in un “Woooooo!” al momento giusto dello spettacolo.

 

Tuttavia c’è un’altra cosa che John e Ric condividono, ed è il numero esorbitante di titoli vinti in carriera. Ric 16, John 15.

In verità la WWE non riconosce alcuni titoli mondiali comunque vinti da Flair in altre situazioni, che farebbe arrivare il conteggio probabilmente oltre la ventina. E, in ogni caso, si parla di titoli vinti in un periodo in cui le difese titolate erano molto più rarefatte rispetto ad oggi, dove il titolo comunque è messo in palio mediamente una volta al mese, se non di più.

Ad ogni modo, quando si parla di pubblicizzare una storia non si bada a queste sottigliezze.

E la storia, come detto, si scrive da sola.

Per quanto buffo possa sembrare, in quanto i due hanno esattamente la stessa età e lo stesso numero di anni da professionisti sulle spalle, AJ Styles afferma che il tempo di Cena è terminato, e che ora tocca a lui sedere sul trono in cima alla piramide. Dal canto suo, Cena, e tutti i fan, sanno che in situazioni come questa, con uno status come il suo, il discorso del meglio delle tre va a farsi allegramente fottere.

Quello che succede è che, mesi dopo, John Cena ritorna (è pur sempre un par timer ora, va e viene a seconda di altri impegni televisivi e non che si susseguono) e fa un discorso molto semplice di fronte al pubblico. Il discorso fa più o meno così:

Io. AJ. Titolo del mondo. Royal Rumble. Perché? Perché io sono John Cena, dannazione, quale altro perché vi serve?

 

Che, a dirla tutta, è una frase più da heel che da face. Uno che arriva e dice una cosa del genere verrebbe quantomeno tacciato di nonnismo, in una situazione, per così dire, non predisposta. Ma il wrestling, lo sappiamo bene, è pre-scripted.

E, diciamoci la verità, ha ragione. Tutti vogliono vedere AJ Styles contro John Cena un’altra volta. Questa volta con il titolo in palio. Da un lato, la possibilità per John di equagliare Ric Flair, uno dei più grandi di tutti i tempi, per quel che riguarda il numero di titoli conquistati. Dall’altra parte, AJ può dimostrare, per la terza e definitiva volta, di essere superiore a John, e di spettarsi veramente il titolo di “Face that runs the place” che da settimane si è affibbiato.

 

 

 

Un’immagine da mille parole

C’è modo e modo di scrivere un capitolo come questo. Styles decide di intraprendere, tra le tante, la strada di colui che vuole dimostrare che il tempo del suo avversario è quasi finito, ed ora tocca a lui. In quest’ottica, tira fuori il poster dell’evento.

 

 

In esso, Cena appare sulla prima fila dei lottatori pubblicizzati (in totale, assieme faranno più di 150 anni, alla faccia del nuovo che avanza). AJ invece è dietro, sulle retrovie, quasi messo da parte. e lui è il campione.

Se fatto apposta per l’occasione, qui dentro vi è del genio e della lungimiranza. Ciò infatti dà al campione una scusa per imbufalirsi. Lo status di Cena (e di altri nella prima fila) è davvero talmente alto da eclissare in quel modo colui che pure è il campione della federazione? Ciò grida vendetta.

 

 

 

This is (not) the end

Quello che è successo, il 29 gennaio, alla Royal Rumble, è che AJ Styles ha perso. Il match, nelle battute finali, ricorda molto il loro incontro di Summerslam. La differenza sta nella terzultima manovra, quella tentata da AJ e contro ribattuta da John con due Attitude Adjustment una in fila all’altra. Da un certo punto di vista, questo infierire con due manovre finali ricorda lo stile giapponese. In alcuni match, soprattutto quelli più lunghi e sofferti, in terra nipponica si arriva alla fine quando uno dei due avversari approfitta di un errore dell’altro. Esasperato dalla lotta, dalla fatica e dalla frustrazione, appare sfogare sull’altro una cattiveria quasi inquietante, una freddezza ed un istinto omicida, per così dire, che sono le uniche qualità che, sfruttate al momento giusto, fanno la differenza in incontri di siffatto livello.

AJ Styles perde. Perde contro John Cena, allo stesso modo di molti altri. Diversamente da molti altri, egli è l’uomo che, per sempre, sarà ricordato come colui che ha fatto sì che John raggiungesse il magico (almeno in questa circostanza) numero 16. La battaglia è stata combattuta alla pari, e il finale è apparso deciso da chi è riuscito a sfruttare il momento, piuttosto che da chi fosse effettivamente più bravo. Ognuno, poi, la vedrà come vorrà.

Alcuni fan potrebbero lamentarsi di questa sconfitta, temendo che possa far tornare ancora una volta John Cena in un olimpo nel quale, forse, sarebbe meglio lasciasse posto ad altri prima che diventi troppo tardi. Tuttavia questo non appare vero, ad oggi. John è ancora in ottima forma, e, quel che più conta, è ancora appassionato di questo lavoro. Il suo sedicesimo titolo appare in quest’ottica come qualcosa di più rispetto all’ennesimo trattino sugli annali.

Appare come una metaforica pacca sulla spalla da parte della federazione, un simbolico riconoscimento, che parla molto di più di discorsi o onorificenze. Da sempre, il traguardo di Ric Flair, il Nature Boy, è visto come uno dei più ambiti e, probabilmente, mai più raggiungibili nella storia del wrestling. Sempre che le dinamiche continuino ad evolversi così come stanno facendo. C’è da dire che si sapeva, o quantomeno si dava quasi per scontato, che Cena sarebbe arrivato al fatidico 16. Il modo con cui l’ha fatto, la storia attraverso cui l’ha fatto, hanno mostrato come un personaggio come il suo, e soprattutto un atleta come lui, possa ancora oggi raccontare storie piene di significato e capacità di ispirazione. Un po’ come Superman.

Alla fine di tutto una parte di noi non può che restare ammirata dallo spettacolo offerto, e dall’idea che un uomo, attraverso il suo impegno, la dedizione, il talento (e le scelte di booking) possa raggiungere simili traguardi. Nel wrestling, ormai sarà chiaro, non è importante il numero di traguardi che raggiungi. Quello è deciso da altri. È come ci arrivi che è importante. È quello su cui ha voce l’alteta, e il suo modo di raccontare la storia. E’ il suo modo di parlare al pubblico, fargli sentire la sofferenza, la fatica, la gioia e la sconfitta.

AJ Styles non scomparirà. Per un atleta come lui, questo è solo un altro trampolino.

AJ Styles non scomparirà. Per un atleta come lui, questo è solo un altro trampolino. Questa è una di quelle sconfitte che nessuno guarderà mai come tale. Nonostante tutto, gli anni che ancora ha di fronte a sé come lottatore (purtroppo non così tanti, data l’età avanzata per la disciplina) promettono un ruolo centrale all’interno delle storie della federazione.

Come ogni grande rivalità quindi, la sua fine non porta ad un termine di tutte le cose che vi hanno preso parte, ma ad un nuovo inizio, un cambio di capitolo e di prospettiva.

 

Cena diventa campione per la sedicesima volta (14 da campione WWE e due da campione dei pesi massimi, se vogliamo essere precisi). come numeri siamo (in un certo senso) alla pari con Ric Flair.

 

Alla fine del match si può vedere uno scambio di battute tra l’arbitro Charles Robinson e John Cena. Parlano per diversi secondi. Alla fine, leggendo il labiale, l’arbitro ringrazia John. A mio parere, probabilmente per aver avuto l’opportunità di aver arbitrato un match storico come quello. Dopodiché, i due si abbracciano, per un breve istante, nel centro del ring.

 

 

Queste cose forse i bambini le noteranno un po’ meno, e siamo noi, i più adulti e ormai sgamati, a notarle e ad apprezzarle. Cose come quella, insieme a tutto il resto, fanno comprendere quanto questa gente ami ciò che faccia. Ed è questo amore che fa la differenza tra ciò che varrà la pena raccontare, e ciò che potrà essere tralasciato.

 

 

 

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